Zagreb è la capitale della Croazia. Ma dimentichiamo la geografia. Zagreb ora è un grido di guerra, stridente e cacofonico. Un suono netto, diretto, ripulito da ogni sovrastruttura, come la storia che Robertazzi ci racconta. Un atomo di un organismo devastante ed orrendo com’è stata la guerra dell’ex-Jugoslavia.
Dalla prima pagina il lettore è catapultato in una fabbrica abbandonata trasformata in lager per esecuzioni capitali. La guerra sembra fuori, lontana. Il luogo in cui ci si ritrova ne è solo un ingranaggio, una “ovvia” conseguenza. La fabbrica, in fondo, ha solo cambiato funzione, ma mantiene intatta la stessa logica. Ogni giorno il medesimo compito da portare a termine diligentemente: fabbricare o uccidere.
Il romanzo ci viene raccontato in soggettiva da un soldato che, come ogni altro personaggio in questa storia, abbandona le sue vesti di pace e indossa quelle che la guerra gli ha cucito addosso. Ci sono “Loro” , quelli vestiti da vittime e “Noi” quelli con l’abito del carnefice. Nessun dubbio, nessuna incertezza, nessuna possibilità, per gli uni e per gli altri, di immaginare una realtà diversa da quella data. Solo vivere il proprio ruolo sino in fondo.
Nemmeno un antico rapporto di amicizia sembrerà scalfire le certezze del soldato, il suo freddo rigore. L’impossibilità di far prevalere la pietà sugli ordini impartiti dal Comandante. Qualsiasi legame appartiene al passato. Prima si era amici, ora la linea delle diversità demarca il confine che non si deve superare. Ora l’amico è vittima. Ricordare i tempi trascorsi è la dissonanza , è frattura di tempi e di luoghi, da ricomporre con la morte. Cosa farne del residuo di umanità rimasta?
La forza del romanzo risiede in questo. Zagreb dimentica la guerra raccontata dalle televisioni, con l’aiuto di cartine in sovraimpressione, o quella dei reportage di guerra dei giornali. Questa è una storia di azioni e reazioni. E’ storia di uomini e donne. Si scava nella propria interiorità. Immedesimazione imprescindibile ed inevitabile. Si comprende che quel soldato-aguzzino non è poi così diverso da ciascuno di noi. In altre circostanze, in altri modi ed in altri tempi tutti possono diventare assassini sulla base della demarcazione arbitraria tra il noi ed il voi. Noi diversi da voi . Voi non dovreste esistere. Noi poniamo fine, in modo ovvio, a questa disfunzione cosmica.
Robertazzi, scrive e descrive egregiamente. Il romanzo , volutamente essenziale e diretto, utilizza periodi brevi , ma meravigliosamente densi, a dar valore ad ogni singolo vocabolo. Una scelta che ha impegnato dieci anni di vita dell’autore. Evoca immagini che mettono alla prova, con una crudezza vuota di ideali, ma profondamente umana e disumana al contempo. Coglie di sorpresa il lettore che apre, con leggerezza ed accondiscendente simpatia, il romanzo di un esordiente. E ne rimane stordito.
Zagreb obbliga a guardarsi dentro e a sfogliare ogni pagina con un timore : di provare compassione per la vittima, ma di essere, in fondo, carnefice. E di sentirsi sollevato a questo pensiero.
E’ un libro che sentiamo di consigliare. Scritto benissimo, con uno stile che, attingendo con discrezione da nomi più blasonati, ha saputo trovare una propria, e autonoma identità. Un’ottima opera prima.