Lo Yemen rischia di diventare “un nuovo hub per i migranti del Corno d’Africa e per i terroristi che intendono arrivare nei paesi del Golfo e in Europa. A lanciare l’allarme è stato Abdullah Bin Abdulaziz al Rabeeah, consigliere della Casa reale di Riad e supervisore generale della “King Salman Humanitarian Aid and Relief Center” (KSrelief).
Nel corso della sua recente visita a Roma, il funzionario della Ong governativa saudita ha spiegato che l’instabilità rende lo Yemen sempre di più un paese di transito dei migranti e dei rifugiati di diverse parti del mondo diretti in Occidente, alla pari di quello che è diventata la Libia per l’Italia”. E’ questa la tesi espressa durante il suo viaggio nel nostro paese a capo di una delegazione di alto livello del governo saudita che comprende funzionari del ministero degli Esteri e della Difesa di Riad. Il consigliere della Casa reale saudita ha incontrato in due giorni una serie di personalità tra cui politici e intellettuali in Italia, per discutere della crisi yemenita e delle attività che la KSrelief sta svolgendo per aiutare la popolazione del paese arabo. “I ribelli Houthi che controllano Sana’a con un colpo di stato attuato più di due anni fa – ha affermato – hanno danneggiato lo Yemen creando questa situazione di instabilità provocando problemi anche per i paesi vicini. Per l’Arabia Saudita lo Yemen sta diventando un hub del terrorismo e un hub per rifugiati e migranti di vario tipo”.
A Riad sono convinti che “ora in Yemen si stiano ammassando migranti provenienti dal Corno d’Africa per poi entrare in Arabia Saudita e provocare una crisi dei migranti come accade in Europa. Per questo noi come KSrelief cerchiamo di avere un ruolo nell’alleviare le sofferenze di chi si trova in quel paese fermando il flusso dei migranti verso l’Arabia Saudita e verso l’Europa. Per questo Riad lavora per stabilizzare il paese in modo da stabilizzare anche tutta la regione e prevenire danni non solo al suo paese ma anche alla Comunità internazionale. Bisogna evitare che il Yemen diventi un hub per terroristi e migranti. Quello che noi denunciamo è che gli Houthi stanno sfruttando il dramma umanitario che si registra in Yemen per fini politici”. L’Arabia Saudita sta portando avanti un programma “al suo interno dedicato ai rifugiati che prevede un’attenta analisi di ogni singola persona in modo da evitare che arrechi danni alla sicurezza del paese. Solo dopo gli viene concesso di entrare e questo vale per lo Yemen ma anche per i siriani che arrivano dalla Giordania. Non viene impedito loro di entrare ma devono essere controllati. Oggi abbiamo in Arabia Saudita più di 290 mila studenti yemeniti venuti nel paese di recente”.
L’obiettivo è anche quello di evitare un uso politico da parte degli Houthi del dramma umanitario in corso in Yemen. Uno degli esempi dell’uso politico della crisi umanitaria secondo al Rabeeah è “quello che sta avvenendo con il dramma della diffusione del colera nel paese. Quello che non dicono è che il colera si è diffuso nelle regioni sotto il controllo del gruppo ribelle. Questo perché hanno fermato le Ong che sono nostri partner e si occupano del campo sanitario. Sono venute meno quindi le misure di prevenzione sanitaria in quelle zone. Il colera non si è diffuso invece nelle aree sotto il controllo del governo legittimo del presidente Abd Rabbo Mansour Hadi. Noi stiamo supportando l’Onu e le sue agenzie come l’Unicef per risolvere questo problema mentre voi state vedendo girare un video prodotto da quelle milizie, come quello trasmesso dalla britannica Bbc, dove si usa il problema del colera per fare propaganda. Si usano i problemi umanitari per fini politici”.
Il KSrelief invia ogni giorno convogli umanitari nel paese che però, come denuncia il funzionario saudita, “subiscono minacce di ogni genere da parte dei ribelli. A Mareb ad esempio hanno lanciato un missile contro un nostro camion. Hanno poi arrestato tutti i nostri impiegati dei centri di Sana’a e di Sada. Noi cerchiamo di lavorare e di portare aiuti nelle regioni controllate dagli Houthi ma loro ostacolano il nostro operato. Nonostante questo noi non intendiamo fermare il nostro lavoro e affrontiamo il pericolo spendo che dobbiamo alleviare le sofferenze della popolazione locale”. Una causa di questa crisi in Yemen “è l’alta presenza di armi contrabbandate dall’estero. La Coalizione svolge attività di controllo in mare per fermare il traffico di armi, ma ferma solo le navi il cui carico supera le 100 tonnellate. Questo vuol dire che tutte le navi dirette in Yemen piccole e con carichi leggeri non vengono controllate. Alcune piccole imbarcazioni riescono quindi a penetrare le maglie dei controlli portando in Yemen componenti dei missili balistici che vengono poi assemblati. Si tratta di armi che arrivano dall’Iran e che riteniamo facciano scalo sulle coste della Somalia, nelle aree al di fuori del controllo del governo”.
Si chiede quindi anche all’Onu “di lavorare per controllare le navi dirette in particolare al porto di al Hodeida se davvero contengono aiuti umanitari o se invece portano armi”. E’ per questo che al momento il porto di al Hodeida è l’unico ancora chiuso da parte della Coalizione araba, non essendoci una garanzia di controllo sulla merce in arrivo, mentre sono stati riaperti i porti in mano al governo di Hadi come Aden, Mukalla e Mokha chiusi il 4 novembre scorso per precauzione dopo il lancio di un missile balistico dallo Yemen verso Riad.