Sono stati i diritti delle donne e i diritti umani i temi dominanti dell’edizione 2013 del Forum Sociale Mondiale che si tiene questa settimana a Tunisi. Per la prima volta da quando è stato fondato 12 anni fa a Porto Alegre, in Brasile, il Forum Sociale Mondiale si svolge nel mondo arabo, in un contesto di cambiamento che riguarda tutta la regione.
Tuttavia il Forum Sociale Mondiale si è però macchiato di una grave violazione delle regole che le stesse associazioni e Ong si erano date nell’organizzare questo evento. Non è stata infatti garantita la libertà a tutte le associazioni di tenere liberamente i loro forum e i loro incontri.
Si sono registrati infatti momenti di tensione nella seconda giornata del forum all’interno del campus dell’università di al Manara. Durante una conferenza organizzata dalle associazioni marocchine dal titolo: “Negazione dei diritti dell’Uomo nei campi di Tindouf in Algeria”, un gruppo di attivisti algerini ha fatto irruzione sventolando bandiere algerine e scandendo slogan offensivi nei confronti del re del Marocco, Mohammed VI. Gli attivisti hanno rapidamente occupato il palco interrompendo il dibattito e provocando di fatto l’interruzione dell’iniziativa. L’irruzione è avvenuta intorno alle 14, dopo che alcuni prigionieri marocchini detenuti nei campi del Fronte Polisario a Tindouf avevano parlato della loro esperienza nei campi del sud dell’Algeria. La rissa è stata fermata solo dall’intervento del servizio di sicurezza del forum, composto dai giovani volontari del Partito Comunista tunisino, i quali sono intervenuti in forze allontanando gli attivisti algerini dalla tenda dove si teneva la conferenza. In mattinata gli attivisti vicini al Fronte Polisario hanno organizzato un incontro analogo sempre nel campus universitario di Tunisi, al quale hanno partecipato alcuni attivisti marocchini, senza che si fossero registrati momenti di tensione ne’ scontri. Secondo Yassin Belkassem, presidente della Rete delle Associazioni della Comunità Marocchina in Italia (Racmi), che figura tra gli organizzatori dell’evento, “si è trattato di un episodio spiacevole. Noi volevamo solo raccontare la storia delle violazioni dei diritti umani subite dai marocchini a Tinduf e non capiamo perché non abbiamo il diritto di parlare delle sofferenze del nostro popolo per il decennale conflitto del Sahara occidentale”.
Dopo due anni di rivolte e lotte che hanno rovesciato quattro regimi autoritari: il primo è stato proprio quello di Ben Ali in Tunisia, il 14 gennaio 2011, migliaia di attivisti si riuniscono nel paese nord africano. Ma la lotta contro la dittatura continua in molti paesi, inclusi alcuni, come l’Egitto, dove il processo democratico è tutto fuorché già compiuto uno dei temi più dibattuti nei workshop in lingua araba. È per questa ragione che questa, che è una manifestazione che si oppone al capitalismo e promuove lo sviluppo di una società più sostenibile, assume una carica simbolica probabilmente maggiore rispetto alle passate edizioni. L’evento si svolge a Tunisi presso il campus dell’università di El Manar tra il 26 e il 30 marzo e vi parteciperanno 4.578 organizzazioni che, insieme a 20 mila partecipanti provenienti da tutto il mondo, assistono alle attività in programma: 1.000 workshop, 70 eventi musicali, 100 proiezioni, e altre esibizioni di vario genere.
Il forum si è aperto con l’assemblea delle donne che ha visto la partecipazione di centinaia di esponenti delle principali associazioni femministe del mondo arabo e occidentale. L’assemblea che si è tenuta nella sala dell’università di al Manar, a Tunisi, ha portato subito a riempire la sala costringendo molti partecipanti a rimanere all’esterno. La giovane Wili Taqwa, dell’associazione donne democratiche tunisine, ha spiegato a Golem che “noi operiamo in difesa delle donne tunisine, al momento la donna tunisina non gode di pieni diritti anche se la situazione non è cattiva rispetto al passato. Dal punto di vista politico sono poche le donne che partecipano alla vita pubblica, ad esempio nel governo c’è solo una donna, così come nei programmi televisivi nazionali vengono invitati solo gli uomini e non ci sono mai donne. La situazione della donna ora è migliorata rispetto all’era di Ben Ali solo in apparenza, in realtà è peggiorata perché ha meno diritti soprattutto per l’ascesa al potere degli islamici”.
Tra le più attive è stata anche Aishra Rahel, dell’associazione per i diritti delle donne saharawi. “Siamo qui per rappresentare la dignità della donna saharawi – ha aggiunto – il fatto di essere a Tunisi spinge tutti i paesi arabi a giocare il loro ruolo soprattutto nella difesa dei diritti delle donne. E’ anche un’occasione per porre in primo piano i problemi dei paesi del maghreb arabo. la nostra lotta è per la difesa delle dignità delle donne attraverso la difesa delle leggi e degli articoli delle costituzioni che le garantiscono. Ci sono paesi arabi dove le donne soffrono ma il Marocco in questo fa eccezione, in particolare nel sud dove invece ha un ruolo importante nella società”.
La Rahel ha denunciato “la gravità della situazione delle donne saharawi tenute con la forza nei campi profughi di Tindouf che non hanno la libertà di ritornare in Marocco”.
Nel pomeriggio, l’iniziativa è stata aperta ufficialmente con una manifestazione nel centro di Tunisi. Circa 30 mila persone hanno sfilato per il centro della città concludendo la marcia in serata, dove si è tenuto un concerto. Associazioni dell’America Latina e dell’Europa hanno sfilato insieme a quelle dei paesi islamici e in particolare palestinesi, siriane e marocchine. Tra le associazioni italiane presenti al Forum di Tunisi la più attiva è la Rete delle Associazioni della Comunità Marocchina in Italia (Racmi), che raccoglie 130 organizzazioni, che proporrà una serie di incontri e seminari relativi al mancato rispetto dei diritti umani nei campi di Tindouf, in Algeria, e sui pericoli imminenti e le minacce alla sicurezza provenienti da quell’area regionale. Toccante è stato il workshop organizzato dal suo presidente, Yasin Belkassem, dal titolo: “I marocchini rapiti e detenuti nei campi di Tindouf”.
I lavori sono stati aperti da Lamani Abdullah, un civile marocchino di Casablanca, detenuto per 23 anni nei campi dei Fronte Polisario nel sud dell’Algeria. “Dall’inizio della guerra del Sahara tra Marocco e Polisario ho registrato un gran numero di violazioni di diritti umani – ha affermato – molti cittadini marocchini sono stati rapiti dal Polisario e tenuti nel centro di Markala, dove abbiamo registrato i primi casi di torture. Ci hanno inviato in carcere Rabboni a Tinduf, dove sono rimasto 23 anni. Sono stati 2400 i marocchini rapiti, tra loro militari ma anche civili come contadini e autisti. Io sono stato rapito mentre mi trovava a Tanta insieme a degli amici per un puro caso”. Un altro marocchino sequestrato dal gruppo separatista saharawi, Dahi Aguai, ha raccontato “sotto sequestro per anni a Tindouf ed è solo grazie ad un giornalista italiano, Massimo Alberizzi, se la mia famiglia ha potuto sapere che ero ancora vivo. Dopo avermi visto nel campo di prigionia in Algeria, è andato in Marocco dai miei familiari ai quali ha portato una mia foto per dimostrare che ero ancora vivo”.
Ma a Tunisi non si è parlato solo del conflitto del Sahara occidentale. In forze sono arrivate le associazioni palestinesi, ed in particolare quelle islamiche vicine al governo di Hamas che controlla la striscia di Gaza. La denuncia più accorata è stata quella di Anees Abu Shammala, sindaco della città palestinese di al Bureij, nella striscia di Gaza. “Siamo qui per portare il nostro grido d’aiuto alle associazioni di tutto il mondo – ha spiegato – questo perché anni di embargo hanno portato la nostra popolazione a subire grosse sofferenze. L’embargo israeliano fa si che io come sindaco non sia in grado a garantire ai miei cittadini i loro diritti e i servizi essenziali. Non c’è acqua corrente ne’ elettricità in modo continuativo. La corrente elettrica può essere garantita solo per 8 ore al giorno, perché nonostante l’aiuto di Qatar e Egitto non abbiamo abbastanza carburante per le centrali elettriche. Speriamo che le associazioni presenti possano fare pressioni sui loro governi per porre fine all’embargo imposto da Israele sul nostro territorio”.