In L’erba di Grace, graziosa e scorretta commedia Britsh diretta da Nigel Cole, la protagonista Grace Travethen (una splendida Brenda Blethyn) è “la migliore giardiniera del mondo” con un debito di 300.000 sterline da saldare, eredità del marito appena morto. Come fare? La soluzione è facile e a portata di mano: coltivare la cannabis nella serra di casa e rivendere il raccolto nella ricca e goduriosa Londra.
Un’idea narrativa che ha ispirato anche la serie televisiva trasmessa da Showtime Weeds, nella quale la periferia della California diventa teatro di spaccio per Nancy Botwin (Mary-Louise Parker), vedova con due figli a carico che scopre come le aree residenziali di Los Angeles siano densamente popolate da consumatori di marijuana. I tratti sono paradossali e grotteschi, i legami con il quotidiano quanto mai attuali. Perché in tempi di crisi globale, qualsiasi consumo può far accrescere il guadagno. Legalizzare o meno? Tassare o adeguare ai mutamenti dei mercati? Due Paesi tradizionalmente liberali e riformisti, rispondono a questi quesiti con politiche opposte. L’Olanda è da sempre nazione all’avanguardia nella legalizzazione degli stupefacenti. Innanzitutto la distinzione base tra droghe pesanti (come eroina e cocaina) e derivati della canapa (marijuana e hashish) è stata risolta giuridicamente da tempo in differenza di “sostanza”, catalogata di categoria I (droghe pesanti) e II (la cannabis). Una differenziazione basata sui diversi livelli di dipendenza e sul calcolo del rischio per la salute indotto dall’uso delle varie droghe. La “Opiumwet” (legge sull’oppio) è entrata in vigore nel 1975 e sin dagli inizi ha posto dei paletti alla vendita al consumatore: non più di 5 grammi per persona al giorno in ciascuno dei coffee-shop autorizzati; nessun tipo di pubblicità sui mezzi di comunicazione; nessuna vendita ai minorenni, i quali non possono entrare nei coffee-shop. Una politica che ha avuto risultati importanti nel corso degli anni: il numero di decessi collegati all’uso di droghe nei Paesi Bassi è il più basso in Europa; si è intensificata la lotta alle droghe pesanti; il numero di tossicodipendenti è diminuito (2,5 ogni 1.000 abitanti) rispetto all’Italia (6,4), alla Spagna (4,9) e alla Francia (3,9).
Il weed pass, per solo residenti
Una politica sana dunque, scossa negli ultimi tempi dalle ondate iperconservatrici e dalle proposte di legge che spingono verso la chiusura dei coffee-shop olandesi ai turisti. Sono molti gli osteggiatori di un provvedimento che viene percepito come un grave danno, soprattutto di carattere economico. A maggior ragione in tempi di crisi. In primis ovviamente la città di Amsterdam, che continua a ribadire un fermo no alla possibile introduzione di un cosiddetto “weed pass”. Ossia un documento rilasciato ai soli residenti, che di fatto impedirebbe ai semplici visitatori di acquistare marijuana e hashish nei locali preposti alla vendita. Se Amsterdam sorride perché il provvedimento è stato rimandato a data da destinarsi (probabilmente il 2013), non fanno altrettanto altre aree prese dal governo olandese come zone-test. Il provvedimento di limitazione entrerà infatti in vigore a maggio per le città di frontiera a sud dell’Olanda (Noord-Brabant, Limburg e Zeeland, distretti di città chiave quali Eindhoven, Den Bosch, Tilburg, Breda, Middelburg e Terneuzen). Secondo il Ministro della Giustizia Ivo Opstelten (appartenente alla destra liberale del VVD, il Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia), il provvedimento dovrebbe porre fine al via vai dei quasi quattro milioni di cittadini francesi, tedeschi e belgi che ogni anno attraversano il confine con l’intento di acquistare droga. Prima città campione è stata Maastricht e i risultati sono stati disastrosi: a tre mesi dall’entrata in vigore, la cittadina ha perso il 16 per cento dei turisti e un ingente patrimonio in entrate. Lo stesso Opstelten aveva annunciato che la cannabis venduta nei coffee-shop non potrà più superare il 15 per cento di THC, il tetraidrocannabinolo principio attivo responsabile dell’effetto dell’hashish e della marijuana. Per il governo quindi, un tipo di erba come la Skunk o un tipo di hashish come il Charas saranno trattati al pari delle droghe pesanti e inseriti nella tabella delle “hard drugs”.
Doppio controllo sui coffee-shop
Un principio che è stato colto come primo passo del progetto di chiusura dei coffee-shop, disegno al quale si sono fermamente opposti gran parte dei sindaci del paese. L’idea del governo è duplice: da una parte controllare la qualità della droga venduta legalmente ai consumatori (secondo nuovi studi – non ancora verificati – , le alte percentuali di THC sarebbero tra le principali cause dell’insorgere di manifestazioni di schizofrenia); dall’altra proibire la vendita ai non residenti lungo i territori di confine, per evitare che il traffico illecito prenda il sopravvento. La strategia, secondo osservatori e amministratori locali, appare tuttavia abbastanza miope. Oltre l’ingente danno economico, è evidente come l’eventualità di un ritorno allo spaccio per strada rappresenti, per cittadini e autorità, un notevole problema. Senza considerare come l’introduzione di un “weed pass” possa essere facilmente bypassato: ad Amsterdam già fioccavano ipotesi di passaggi di tessere dai portiere degli alberghi e degli ostelli ai turisti, ovviamente in cambio di soldi. Più realisticamente, l’idea concreta pare essere l’introduzione di un pass a pagamento per i turisti che vogliono usufruire dei coffee-shop olandesi.
Il referendum danese
Se i Paesi Bassi si avviano ad una politica di restrizione, ben diverso il discorso affrontato in Danimarca. Lo scorso novembre due eventi hanno caratterizzato la vita della capitale Copenhagen: i cittadini si sono espressi tramite referendum con voto favorevole e ampiamente maggioritario, per la depenalizzazione e legalizzazione della marijuana. Opinione ribadita dal Consiglio comunale cittadino che ha approvato un piano in cui la canapa sarà somministrata – soprattutto per usi medici – attraverso una rete di negozi e coffee-shop. Ora il Congresso danese dovrà confermare il voto popolare; in caso di esito positivo, Copenhagen diventerà la prima città dove il consumo di cannabis sarà completamente legalizzato invece che soltanto tollerato. «Pensiamo di aprire 30-40 punti vendita», ha dichiarato il membro agli affari sociali della municipalità di Copenaghen, Mikkel Warming. «Da chi comprano la cannabis i consumatori? Da uno spacciatore di droga che vuole vendere di più e spinge ad utilizzare droghe pesanti, o da un venditore ufficiale?». Rimarrà comunque illegale importare o coltivare canapa privatamente: l’obiettivo fissato è quello di sconfiggere lo spaccio e affidare alla sicurezza dello stato il consumo controllato. Resta invece un caso a parte quello di Christiania, “Città Libera” parzialmente autogovernata, che ha stabilito uno status semi-legale come comunità indipendente e dove il commercio di droghe leggere è già attivo nella sua famosa via principale, nota come “Pusher Street”. L’hashish e la marijuana vengono venduti in appositi chioschetti, mentre le droghe pesanti sono vietate in tutte le loro forme. Dopo che lo scorso giugno i residenti della comune hanno comperato l’intero complesso residenziale per 76,2 milioni di corone danesi, circa 10,2 milioni di euro, una nuova utopia attende il paese intero?