I Musei Capitolini ospitano sino al 4 ottobre la mostra L’Età dell’Angoscia. Da Commodo a Diocleziano (180-305 d.C.). Si tratta del quarto appuntamento del ciclo I Giorni di Roma, un progetto che mira a dare un’idea di come i Romani elaborarono nell’arco di 400 anni un proprio linguaggio artistico sulla base dell’esperienza greca e di come riuscirono ad emanciparsi dall’onnipresente modello. Si tratta di fenomeni artistici importanti, che influenzarono la cultura europea dal Medioevo all’età Contemporanea.
La chiave di lettura offerta al pubblico è semplice ma scientificamente rigorosa e aggiornata. L’iniziativa, promossa da Roma Capitale, assessorato alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, è organizzata da Zètema e MondoMostre, con la cura di Eugenio La Rocca, Claudio Parisi Presicce e Annalisa Lo Monaco. Le meravigliose opere dell’arte greca e romana custodite nei Musei Capitolini sono affiancate da splendidi prestiti provenienti dai più prestigiosi musei del mondo, come il Louvre di Parigi, Il Metropolitan Museum of Art di New York, il Museo Archeologico Nazionale di Atene, il Museo Archeologico di Dion e quello di Astros, e ancora i musei di Magonza, Treviri e Monaco di Baviera. Importanti prestiti sono arrivati anche da musei nazionali, come i Musei Vaticani, il Museo Archeologico di Bologna e quello di Aquileia. I cambiamenti figurativi e formali sono mostrati attraverso 200 opere, tutte di straordinario livello artistico, esposte insieme per la prima volta. Si tratta di statue in marmo e bronzo, alcune a grandezza naturale, mosaici, decorazioni pittoriche parietali, busti, ritratti, rilievi marmorei, argenti da mensa ed elementi architettonici che mostrano il nuovo gusto dell’epoca.
Il percorso espositivo è organizzato in sette sezioni. I protagonisti racconta, attraverso 92 tra ritratti, statue e busti, i personaggi più in vista dell’epoca, gli imperatori e le loro consorti. La seconda sezione è dedicata a L’esercito, il grande protagonista dell’epoca. La città di Roma racconta i grandi cambiamenti che trasformarono la città di Roma, come la costruzione delle Mura Aureliane e delle grande caserme militari, la realizzazione di una pianta marmorea della città, nota come Forma Urbis Severiana. Le 52 opere esposte ne La religione mostrano l’arrivo dei nuovi culti orientali mentre la quinta sezione è una finestra su Le ricche dimore private e i loro arredi. C’è spazio anche per i cittadini romani al di fuori della Capitale, raccontati nella sezione Vivere (e morire) nell’impero. A conclusione del percorso sta I costumi funerari dove viene mostrato in che modo i temi e i soggetti tradizionali vengano ripresi a adattati al nuovo gusto. Quello che emerge è una nuova forma di arte che cerca di dare nuove risposte alle profonde inquietudini e in cui i volti degli imperatori e le immagini di privati assumono espressioni nuove, malinconiche, a volte drammatiche, oppure assenti e distaccate, secondo modi sperimentati per la prima volta.
La mostra infatti analizza i profondi cambiamenti che segnarono il III secolo d.C., considerato un periodo di crisi ma che contiene in sé quei germogli destinati a mutare le età successive. In soli 150 anni si passa, usando le parole di Cassio Dione, “dall’impero d’oro di Marco Aurelio a uno di ferro arrugginito” di cui Roma non sarà più la capitale. Novità determinante fu la fine della trasmissione del potere per via dinastica: ora era l’esercito il vero detentore del potere, in grado di imporre o eliminare un imperatore se a lui sgradito. A mutare è anche la struttura sociale, emergono nuove forze sociali mentre si sfaldano le istituzioni tradizionali. E ancora, guerre civili, spinte secessionistiche, crisi del tradizionale sistema economico, inflazione, carestie, epidemie e l’onnipresente pressione dei barbari ai confini avevano creato un clima di grande ansia, di angoscia del reale, a cui ben presto fece seguito una profonda crisi spirituale che portò all’abbandono delle religioni tradizionali e, viceversa, all’adesione a culti orientali e salvifici come quello di Iside, Cibele, Mithra e soprattutto Cristo. Tale aspettativa di salvezza, tale speranza in un futuro migliore, era alla base della nuova religiosità ed era legata alla figura dell’imperatore, in quanto suprema autorità religiosa ma anche garante della giustizia e della sicurezza militare dell’impero. La quotidianità della vita delle persone era stata oramai compromessa dalla grande instabilità politica. Alcuni studiosi hanno fatto notare come gli elementi che caratterizzano la crisi dell’impero romano richiamino fortemente la nostra attualità, pur con le dovute differenze, tanto che lo stesso Papa Francesco, in un discorso tenuto nel 2010, ricordando l’attuale decadenza degli ordinamenti e dei valori morali ha detto che “viviamo la crisi che fu dell’impero Romano”.