La costrizione ai rapporti intimi contro la propria volontà è illegittima ovviamente anche nell’ambito del matrimonio. Altrettanto illegittima è la posizione del marito che pretenda di esercitare diritti od il possesso sul coniuge, non esistendo alcun diritto assoluto al compimento di atti sessuali, con mero sfogo dell’istinto, contro la volontà del partner.
Ciò precisa la Cassazione penale  (n. 39865 del 5/10/2015), tanto più se tali rapporti avvengano in contesti di sopraffazione, infedeltà o violenze che costituiscono l’opposto rispetto al sentimento di stima, affidamento e reciproca solidarietà, in cui il rapporto sessuale si pone come una delle tante manifestazione.

LA COMPLESSA PROBLEMATICA DELLA SESSUALITA’

La questione dei rapporti sessuali viene in continuazione esaminata dalla Cassazione, in quanto il rapporto fisico tra coniugi può costituire sotto vari profili motivo di addebito della separazione, a seconda della fattispecie, a carico dell’uno o dell’altro coniuge.
Può comportare infatti la pronuncia di addebito, come nella sentenza sopra richiamata, allorché i rapporti vengano imposti, ma può egualmente costituire motivo di addebito, allorché i rapporti fisici vengano rifiutati costantemente.

IL RIFIUTO DEI RAPPORTI SESSUALI

L’art. 143 c.c. unitamente alle norme costituzionali, stabilisce una serie di obblighi vicendevoli che nascono dal rapporto matrimoniale  (dovere di collaborazione, di assistenza familiare, coabitazione, contribuzione,  fedeltà, etc.).
La violazione di tali diritti-doveri, con caratteristiche ben determinate dalla giurisprudenza, da luogo all’addebito della separazione.
La Cassazione ha ritenuto ormai costantemente che il rifiuto di avere rapporti sessuali nell’ambito della coppia, può senz’altro portare all’addebito della separazione, in quanto verrebbe violato in questo caso l’obbligo di assistenza e collaborazione familiare.
Se certamente vanno abbandonati antichi orientamenti giurisprudenziali, che indicavano tra gli altri lo scopo del matrimonio, nella “sedatio concupiscientiae” tuttavia non vi è dubbio che, se uno dei coniugi (maschio o femmina), rifiuti di partecipare ai rapporti sessuali, (come si è già visto in altri precedenti articoli), ben il Tribunale potrà  addebitare la separazione anche solo per tale motivo.
Infatti in questi casi va esclusa la comunione tra i coniugi che costituisce uno dei fondamenti del matrimonio, e per di più il rifiuto persistente nei rapporti fisici può creare un pregiudizio anche psicologico in danno del coniuge che non riesce a coinvolgere l’altro nell’intimità.
Tra le tante ricordiamo Cassazione n. 19112 del 2012 che espressamente statuisce come il continuo rifiuto di intrattenere rapporti fisici, provoca oggettivamente frustrazione e disagio e può provocare anche danni irreversibili sotto il profilo psicofisico, talché non può che configurarsi come una grave offesa alla dignità ed alla personalità del partner, integrando la violazione dell’inderogabile dovere di assistenza morale sancito dall’art. 143 c.c.

SCAMBIO DI COPPIE, CLUB PRIVE’ ED ADDEBITO

Ovviamente, perché possa essere addebitata la separazione ad un coniuge per mancanza di partecipazione nei rapporti sessuali, deve trattarsi di situazioni nell’ambito della normalità.
Allorché viceversa sussistano situazioni od abitudini sessuali che travalichino la normalità ed uno dei due coniugi non voglia più parteciparvi, non può certamente essere pronunciato l’addebito.
I giudici non entrano mai nel merito della scelta del tipo di rapporti sessuali in quanto anche in giurisprudenza vale il principio per cui ciò che viene compiuto di comune accordo non interessa il tribunale.
Tuttavia se un coniuge decide di interrompere il tipo di stile di vita sessuale seguito fino a quel momento (scambio di coppie, amore di gruppo con partner occasionali, giochi erotici con più soggetti e similari), la decisione è ovviamente perfettamente legittima, né può imputarsi alcunché a chi delude le aspettative dell’altro partner.
Così come non può essere pronunciato l’addebito per i comportamenti sessuali suddetti purché tenuti con il consenso di entrambi, può viceversa essere pronunciato l’addebito a carico del coniuge che insista irriguardoso nei confronti dell’altro affinché prosegua in un menage sessuale “eccessivo”, sia pure fino a quel momento tenuto.
In tal senso Cassazione n. 35242 del 20/10/2006, nella quale era stato condannato il marito il quale imponeva alla moglie determinati rapporti sessuali, sopportati solo per evitare ritorsioni ritenute attendibili dalla donna.

LA VIOLENZA SESSUALE

Allorché, al contrario, il clima di intimidazione arriva al punto, anche in un normale rapporto di coppia, di imporre all’altro coniuge intimità non volute, oltre all’addebito in sede di separazione dei coniugi, può ben sussistere anche il reato penale di cui all’art. 609 bis c.p.
Il reato si configura anche se i rapporti non sono imposti con violenza fisica immediata, ma subiti dalla moglie, solo per il timore di essere sottoposta a ritorsioni ed intimidazioni.
In tal senso anche la recente giurisprudenza penale ritiene, allorché la violenza fisica e morale subita dalla donna non le lasci alcuna scelta, e  questa sia sottoposta ad una condizione di sudditanza a causa del comportamento minaccioso del marito, tenuto conto del clima di violenza e di sopraffazione esistente, che senz’altro debba essere condannato penalmente il marito.
Ciò soprattutto allorché i giudici di merito rilevino che in famiglia regnava un clima di soprusi, violenze e sopraffazione, in cui uno degli effetti era la costrizione ripetuta e continuata a subire rapporti sessuali.
Nel caso riportato da Cass. N. 39865 del 5/10/2015 la moglie veniva trascinata fuori dalla stanza dei bambini e, pur di non essere percossa e di non svegliare i figli, preferiva subire i rapporti sessuali, temendo fondatamente per la propria incolumità.

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