La banalità delle botte e una polizia inadeguata il cui comportamento sembra più quello di belve drogate che difensori dell’ordine pubblico è quanto si ricava dalle immagini che scorrono ovunque nella rete.
Si tratta di video semi professionali, oppure realizzati con cellulari, fotografie più o meno nitide…Tutta la questione che ne è derivata subito dopo, oltre che nel ricordo dell’orrore di Genova, nasce proprio dalla lettura di queste immagini che, come ci spiega la ministra Severino sono “la fine di un percorso”. Quindi è lecito credere, ad esempio, che dietro un ragazzo sdraiato a terra e manganellato sul volto da tre poliziotti ci sia come minimo un serial killer appena disarmato.
Lo spettacolo delle istituzioni incapaci di parlare con le giovani generazioni che affermano insieme ai coetanei europei il diritto alla cultura e il riconoscimento delle competenze per poter costruire il proprio futuro, prima ancora che dal comportamento violentissimo delle forze dell’ordine è testimoniato proprio dai responsabili che imbastiscono giustificazioni. Così il questore romano Della Rocca risponde alla domanda di una giornalista, in un italiano stentato (e non si capisce per quale sentimento pietoso i giornalisti correggono nel trascrivere): “mi sento attento, le immagini vanno verificate e poi eventualmente contrastate (…). Se si attesta una testuggine per attaccarci in maniera assolutamente violenta, le forze dell’ordine devono reagire e non possono subire impunemente. Questo sistema di azione è stato pari pari messo in atto in altre città, quindi c’è una regia in tutto questo”.
Si tratta di testuggini di polistirolo (costituite con i famosi scudi con i titoli di libri) il cui uso è diffuso capillarmente esattamente come si diffondono i codici tra i giovani: attraverso i social network. Quindi non si tratta di una regia. I cortei compatti di ragazzi, spesso ragazzini, cui viene impedito di avanzare e di sfilare, sono fronteggiati da anonimi poliziotti armati di manganelli che poi estraggono persone dal mucchio per massacrarli di botte, dopo che gruppi di teppisti si sono cimentati in lanci di oggetti e distruzioni degli arredi urbani. Teppisti anonimi, feroci, e a volto coperto, spesso con un casco. E questa sì che sembra una regia invece. Ma dovrebbe essere compito della polizia assicurarli a un processo. Non prendere a calci chiunque.
Il digital divide che affligge le istituzioni di tecnici che pure non smettono di parlarci (in pessimo) inglese non si esaurisce in frasi come quelle della ministra Cancellieri a commento della drammatica sequenza dei lacrimogeni lanciati sui ragazzi, dalle finestre del ministero di Giustizia: “Repubblica ha ‘messo in onda’ un video...” , trattando il portale del quotidiano come una rete televisiva, ma si completa nella lettura fantasmagorica che ne fa il questore Della Rocca. Il video documenta una frattura tra cittadinanza e Stato senza precedenti nella storia repubblicana, e viene così commentato: “i lacrimogeni – come sapete – non devono essere sparati ad altezza d’uomo, ma devono essere sparati con una parabola, e potrebbe essersi infranto nel muro di via Arenula dando l’idea di essere lanciato da un balcone”.
Anche con una visione distratta si capisce che non c’è nessuna parabola ascendente e poi discendente e anzi esce anche fumo dalle finestre del secondo piano.
Addirittura un secondo video diffuso da Tgcom24 conferma ciò che era già visibile.
Invece Fabrizio Cicchitto dando per scontato che i manifestanti sono anche incapaci di guardare immagini in modo autonomo, così commenta:
“Guai se frasi malaccorte usate da singoli ministri provocassero la disaffezione delle forze dell’ordine che certamente non per responsabilità propria stanno svolgendo un ruolo difficilissimo in una situazione economica e sociale ancor più difficile”.
Quindi è una frase di un ministro che genera disaffezione nelle forze dell’ordine e non lo spettacolo di queste e dei loro responsabili.
Il Giornale è addirittura contro la pubblicazione dei video, come si è tentato di fare in Spagna dopo le numerose testimonianze dei pestaggi fatti dalla polizia: vietare la pubblicazione di forze dell’ordine nell’esercizio delle funzioni di pestaggio. La censura come aspirazione e modello. Così commenta il quotidiano di Sallusti: “Repubblica pubblica un video per attaccare le forze dell’ordine e difendere i manifestanti che hanno devastato molte città”, per poi sposare, affermandola come verità, la tesi del questore della parabola del lacrimogeno, evitando di pubblicare il video per i suoi lettori. Una resistenza quasi commovente, poiché è visibile ovunque- Anzi addirittura, proprio per non dispiacere Berlusconi anti Monti se la prendono anche col ministro Cancellieri che ha disposto delle indagini “per solo un minuto di video”. Niente di simile s’era mai visto nel giornalismo delle moderne democrazie.
L’altro grande asse dei comunicatori in questi casi è che la mancanza di professionalità fin troppo evidente della polizia italiana anziché essere denunciata e sollevata come questione di prima importanza, si trasformi in utopiche esortazioni di alleanze con studenti e precari, non si capisce in nome di cosa. Il poliziotto infatti ha uno stipendio, diversamente dai ragazzi che non ne vedono all’orizzonte, e ai precari che manifestano per averne, forse, uno. Il poliziotto ha anche smesso di studiare, ha spesso già famiglia, si paga probabilmente un mutuo, avrà una pensione. Quelli che manifestano lo fanno perché è stato eliminato l’ascensore sociale, perché il loro studio è vanificato, perché hanno davanti solo un avvenire come poliziotti, che non necessariamente però è condiviso. Per questi obiettivi si sono riempite le piazze europee. E inoltre: perché la polizia dovrebbe smettere di fare la polizia e di assicurare l’ordine pubblico nelle manifestazioni? Perché dovrebbe sfilare con i precari e con gli studenti che vogliono tutt’altro da quello che vuole la polizia?
Ma la frase meno opportuna e più usata soprattutto dalla destra è la citazione di Pasolini. L’intellettuale si schierava dalla parte dei poliziotti, figli del proletariato. Era il Primo Marzo 1968. I giovani di Avanguardia Nazionale, guidati da Stefano delle Chiaie si scontrarono con i cordoni di polizia. Assieme a questi anche i figli della borghesia ricca come Giuliano Ferrara e Paolo Pietrangeli, Paolo Liguori e tanti altri anche assimilati da Forza Italia manifestavano a Valle Giulia. La giornata terminò con 148 feriti tra le forze dell’ordine, 478 tra gli studenti e 4 arresti.
Solo che allora si manifestava contro i padri, oggi contro la loro latitanza e contro le false politiche delle “libertà” appunto che portano a pagine tristi come quelle del 14 novembre 2012.
Pasolini commentò l’episodio con una poesia destinata a rimanere nella storia.
“Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi quelli delle televisioni
vi leccano (come credo ancora si dica nel linguaggio delle università)
il culo. Io no, amici.
Siete paurosi, incerti, disperati (benissimo)
ma sapete anche come essere
prepotenti, ricattatori e sicuri:
prerogative piccolo borghesi, amici.
Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti
io simpatizzavo coi poliziotti!
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da periferie, contadine o urbane che siano.
Quanto a me, conosco assai bene
il loro modo di essere stati bambini e ragazzi
le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,
a causa della miseria, che non dà autorità.
La madre incallita come un facchino, o tenera, la salvia rossa (in terreni altrui, lottizzati);
i bassi sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi
caseggiati popolari, etc. etc.”
“A Valle Giulia, ieri
si è così avuto un frammento
di lotta di classe: e voi amici
(benché dalla parte della ragione)
eravate i ricchi.
Mentre i poliziotti (che erano dalla parte
del torto) erano i poveri.
Bella vittoria, dunque,
la vostra! In questi casi
ai poliziotti si danno i fiori, amici.”