E’ inutile nasconderlo, la vendetta è un desiderio che si è innescato almeno una volta in ognuno di noi, tanto è vero che in psicologia viene spesso considerata un’emozione primaria, probabilmente legata all’istinto di sopravvivenza.

Bisogna però notare che il più delle volte l’uomo non è in grado di stabilire razionalmente cosa lo porti a sopravvivere, trovandosi spesso in deterioranti circoli viziosi. Uno di questi circoli viziosi è l’eterna ricerca dell’equilibrio: l’equilibrio sembra essere per l’uomo fonte di sicurezza, è nella sua ricerca che si innesca la vendetta.
Ma di vendette ne esistono diversi tipi, e non sempre possiamo decretare a priori se questa sia giusta o sbagliata, del resto se realmente nasce da un istinto di sopravvivenza una giusta dose e un corretto utilizzo potrebbero essere necessari.
Per comprendere con maturità i pregi e limiti di questo desiderio bisogna per prima cosa descrivere il percorso mentale che fa scaturire questo desiderio, le diverse motivazioni sottostanti e i suoi sottotipi.

Il percorso mentale che porta alla vendetta
Il processo della vendetta inizia con una esperienza negativa (reale o immaginaria),dovuta asofferenza, perdita di qualcosa, o mancata gratificazione dei propri bisogni, la cui causa è attribuita a terzi. Questo provoca nell’individuo la sensazione di aver subito ingiustizia da parte di altri, di fronte a tale sensazione il soggettosente un senso di frustrazione crescente che si trasforma in rabbia verso l’oggetto ritenuto responsabile dell’esperienza negativa: è da tale rabbia che viene prodotto il desiderio di vendetta. La rabbia nei confronti degli altri è prerogativa indispensabile perché nasca la vendetta, le persone piene di rabbia saranno quindi quelle tendenzialmente più vendicative.
Nascendo dalla rabbia, i modi in cui viene espressa la vendetta sarà da questa derivata, ma si adatterà allo stile caratteriale della persona o ai suoi disturbi di personalità, cosi avremo la collera esplosiva, il ritiro dal mondo, il risentimento rabbioso (tipico del paranoico, il quale soffre di veri e propri deliri di vendetta), il distacco e la rigidità verso gli altri.
Qualsiasi sia il modo di attuarla, con collera, con distacco o con il silenzio, gli individui attraverso la vendetta cercano di ottenere diversi effetti, quelli più comuni sono: regolare i conti seguendo la legge del taglione; provocare sofferenza così da far comprendere il proprio dolore (questa motivazione nasconde un tentativo di riconciliazione in seguito a un torto subito o immaginato); tentare di impartire un messaggio educativo basato sul castigo; provocare un condizionamento operante su stimolo punitivo o privazione.

“Tell me why”
Dalle esperienze negative che causano il desiderio di vendetta possiamo individuarne delle categorie specifiche:
– Vendetta dovuta a sofferenza; il soggetto soffre o ha sofferto e ritiene che questa sofferenza sia causata da terzi, decide di provocare la stessa sofferenza a chi ritiene responsabile, per ritrovare equilibrio godendo del male inflitto oppure per comunicare il proprio disagio in modo concreto.
– Vendetta dovuta a mancata gratificazione o alla sensazione di aver subito un torto; il soggetto sente di non essere trattato come meriterebbe, o di subire torti da parte degli altri, sente quindi mancare l’equilibrio tra ciò che crede di essere e come viene trattato, per tal motivo cerca di trattare male coloro che ritiene responsabili di questo disagio, mettendo in atto ripicche o cercando di regolare i conti.
– Vendetta dovuta a disonore (perdita dell’onore); il soggetto ha la sensazione di aver subito una mancanza di rispetto, spesso in un contesto pubblico o sociale, in questo caso la sua vendetta è funzionale alla riconquista della rispettabilità messa in gioco, dando prova pubblica del fatto che non conviene mettersi contro di lui. Molte volte questa mancanza di rispetto è solo immaginata dal soggetto, o non trova utilità alcuna la sua rivendicazione, come accade nelle questioni così dette di principio.
Vi sono altri due tipi di vendetta che andrebbero presi in considerazione, ovvero:
– La vendetta di massa; il soggetto sente di aver subito più di un sopruso e da più persone, mette quindi in atto una vendetta di massa, essa può essere attuata colpendo casualmente la massa ritenuta responsabile (come nei massacri scolastici: “I don’t like Monday” rispose Brenda Ann Spencer dopo il massacro da lei compiuto nella Bath School del 29 gennaio 1979 avvenuto a San Diego in California); o colpendo se stessi, cercando di provocare sensi di colpa negli altri (esempio classico è il suicidio per sdegno, o la minaccia di attuarlo).
– La vendetta sociale; chiamata giustizia, essa è attuata dallo Stato per difendere i suoi cittadini, ma se messa in atto dal cittadino che ha subìto il torto torna ad essere considerata dallo Stato pura e mera vendetta.

La vendetta sana e quelle insana
La vendetta, come abbiamo visto nell’articolo precedente, provoca un momentaneo senso di piacere nella persona che la attua, raramente questo piacere coincide con una sensazione di appagamento duraturo, il più delle volte viene sostituito da sensazioni di inutilità del gesto, in quanto l’essersi vendicati non ha cambiato le cose; oppure viene rimpiazzato da sensazioni di vuoto interiore che possono essere attenuate solo dalla ricerca di nuove vendette, portando quindi a una sorta di dipendenza.
Eppure la vendetta non nasce come impulso negativo, è legata all’istinto di sopravvivenza, anche se vi sono paradossali casi in cui porta al suicidio. Allora: qual è il lato sano della vendetta?
La vendetta diventa sana quando evita la rassegnazione, ovvero quando evita che si arrivi ad una forma impropria di perdono dove la persona da generosa si tramuta in vittima passiva. Quindi la vendetta può portare talvolta equilibrio nelle interazioni sociali, ciò che diviene importante e che non andrebbe mai perso di vista è una sua dose oculata, cercando di limitare il gusto piacevole della vendetta in favore della sua utilità.
Un altro tipo di vendetta sana è quello che non viene attuata realmente, ma che rimane nel mondo dei sogni, infatti è stato dimostrato che spesso è sufficiente immaginare la vendetta per sentirsi meglio dopo un torto subito, arrivando anche a dimenticare quanto accaduto.
Ma questo va fatto con una sorta di distacco e talvolta di ironia: deve essere un pensiero fugace che una volta creata la sensazione mentale di benessere non venga più richiamato, altrimenti rischia di indurre a rimuginare, e il rimuginare ha il grande potere di rovinare la vita delle persone. Inoltre per casi gravi e continui, immaginare ogni volta di vendicarsi per sopportare la frustrazione rischia di trasformare tale metodo in soluzione fittizia, ci sono infatti casi in cui è meglio agire piuttosto che rimanere in un sogno passivo.
La vendetta diviene quindi insana, così come il suo progettarla, quando diventa elemento quotidiano della propria vita, ovvero quando la persona ogni giorno sente moti di vendetta prodursi in se stesso. Questa condizione fa sospettare oltretutto che non siano gli altri ad avere colpe, ma che la persona dovrebbe meglio comprendere se stessa e i propri limiti, oppure dovrebbe abbandonare certe condizioni di vita.
Ancora: la vendetta è insana quando distrae le persone dalle proprie faccende e dai propri pensieri, occupando buona parte della loro attenzione; è insana quando i piani di vendetta che si elaborano sono sempre più dettagliati, in questi casi può far arrivare all’atto spesso estremo e non certo riparatore; è ovviamente insana quando invece di far diminuire la rabbia e l’aggressività produce un loro aumento; è insana quando invece di concedere alla persone di guardare avanti lega maggiormente al passato; è insana quando il moto vendicativo è sproporzionato rispetto al torto subito o immaginato.

Come vincere la vendetta
Nelle persone più mature il desiderio di vendetta va a scemare per lasciare spazio alla ricostruzione di sé, della propria vita, ritrovando nella propria forza di volontà quanto perduto; altre volte si sostituisce alla consapevolezza di essere i fautori del proprio destino e quindi di aver dato ingiustamente colpa agli altri, altre volte ancora si sviluppa una forma di accettazione di quanto accaduto utile per andare avanti senza subire ulteriore danno oltre quello già sofferto.
Ma sono ben poche le persone che riescono ad agire con tale maturità alle sofferenze, così come spesso le sofferenze sono considerate così forti da non poter perdonare.
Allora come fare per resistere alla sofferenza della vendetta e canalizzarla?
In molti suggeriscono di scrivere lettere ai propri carnefici senza però spedirle, in tal modo ci si potrà liberare dai pensieri che tormentano, infatti paradossalmente spesso si continua a rimuginare proprio perché non si vuole dimenticare il dolore arrecatoci, scriverlo è un modo per fissarlo così da poter smettere di pensarci e tornare ad andare avanti a vivere, e allo stesso tempo scrivere provoca una sensazione liberatoria come se si fossero dette realmente quelle cose alla persona che ci ha arrecato sofferenza.
Altre volte sarebbe sano sputare subito il rospo su chi riteniamo averci fatto del male così da evitare di rimuginarci in futuro, talvolta una litigata può mettere i cuori in pace.
Ovviamente non sempre basta mettere in atto trucchi di questo tipo, il percorso migliore sarebbe quello di lavorare sulla propria persona, maturare o impedire a chiunque di farci male più di quello che già ci è stato fatto, andando avanti, rimboccandoci le maniche.

Ma, come vedremo nel prossimo articolo, esistono altre forme di vendetta più sottili e nascoste, presenti nella vita di tutti i giorni! (fine seconda parte – continua)

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