All’inizio della Valle di Susa si trova Chiomonte, un paese che, oltre a conservare importanti testimonianze di un ricco passato, è riuscito a stabilire con il suo territorio un equilibrio tra natura, pratiche agricole e opere idrauliche. Un territorio ricco di ripari sotto roccia e abbellito da opere artistiche uniche come gli affreschi medievali della cappella di Sant’Andrea. Qui, nell’area detta “La Maddalena”, nel 1986, durante i lavori di costruzione dell’autostrada del Fréjus fu scoperto uno dei siti neolitici più interessanti dell’Europa occidentale.
L’area archeologica di Chiomonte, indagata per oltre 12 mila metri quadrati, si trova su un terrazzo di origine fluviale a circa 800 metri s.l.m. caratterizzato dalla presenza di grossi massi di frana, probabile causa della distruzione dell’insediamento neolitico. I materiali, rinvenuti negli scavi archeologici condotti contestualmente ai lavori di costruzione dell’autostrada, si riferiscono a una comunità umana del tardo Neolitico (fine V-IV millennio a.C.), inquadrabile nell’area culturale dell’arco alpino occidentale definito dagli archeologi Chassey, dal nome della principale località nella quale è stata individuata e studiata questa cultura. Campagne di scavo e numerose ricerche a carattere territoriale, condotte dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte, hanno consentito di indagare nel dettaglio il sito e i depositi archeologici. Le caratteristiche fondamentali di questo complesso risiedono nella sua unitarietà e nello stretto collegamento con i siti d’Oltralpe. Si tratta di un complesso costituito da un esteso abitato e dalla contigua necropoli (4000 – 3900 a.C.) collocata in un’area lievemente rilevata rispetto al pianoro e costituita da undici tombe in cista litica. Sono stati rinvenuti migliaia di reperti ceramici e manufatti litici, sia in selce che in pietra levigata. L’abbondanza di reperti faunistici, sia domestici che selvatici, testimoniano la notevole consistenza dell’abitato e il suo permanere nel tempo. La storia del sito prosegue in epoca preromana, cui appartiene una splendida inumazione femminile datata al 400-350 a.C. e, in tono minore, in età romana e durante il Medioevo. La Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte ha ritenuto opportuno istituire, nel 2004, un Museo su due piani ricavato da un ex cascina sita a pochi metri dall’area archeologica, dove conservare i numerosi reperti corredati da apparati didattici.
Il cantiere (aperto) nel sito archeologico (chiuso)
Chiomonte fino a pochi anni fa era un bell’esempio di tutela e valorizzazione nonché il più importante sito archeologico e museale del Piemonte. Purtroppo non lo è più da quando hanno deciso di installare qui il cantiere per la realizzazione del tunnel geognostico esplorativo lungo 7 km per la Tav Torino-Lione. Un lavoro della durata prevista di circa 7 anni e del costo di 143 milioni di euro. Questa decisione ha suscitato da subito grande preoccupazione nella popolazione, per i possibili danni all’ambiente e per le ripercussioni sull’economia locale, come per esempio la svalutazione del valore delle abitazioni causata dalla presenza del cantiere. Quello che è successo dopo ha trasformato questo malumore in una vera opposizione intransigente tanto che la Valle di Susa è considerata oggi il simbolo dello scontro tra popolo e Stato. Da una parte la popolazione impegnata a difendere il proprio territorio, il proprio passato e la propria cultura, dall’altra le istituzioni interessate al profitto nel nome del progresso.
La Tomba della Regina e il fortino della polizia
Gli scontri sono iniziati con l’installazione del proto cantiere. Il vero cantiere infatti, quello per lo scavo del traforo percorribile dalle automobili, non è ancora iniziato. Lo scontro più violento si è verificato il 3 luglio del 2011 nell’area della Maddalena, dove aveva preso posto il presidio No Tav. All’indomani di questi scontri Barbara Bonino, assessore ai trasporti della Regione, comunica che “la Tomba della Regina è completamente distrutta perché durante gli scontri i black block hanno tirato le pietre della necropoli. Un modo davvero originale di proteggere il territorio”. Qualcuno ha subito fatto notare che è impossibile che i manifestanti abbiano potuto compiere un simile atto vandalico dal momento che l’area archeologica non solo è recintata, e quindi inaccessibile, ma è il punto in cui le forze dell’ordine hanno organizzato il loro fortino. Inoltre, è impossibile che un uomo riesca a tirare massi di simili dimensioni. Quindi chi ha distrutto la Tomba? In un’interpellanza rivolta all’assessore alla Cultura, il consigliere regionale piemontese 5 Stelle Fabrizio Biolé ha garantito per testimonianza personale “che la situazione del sito si è mantenuta perfetta fino al momento in cui la zona è stata presa in carico dalle forze dell’ordine. Esistono incontestabili testimonianze video e fotografiche che provano che in concomitanza con la manifestazione del 3 luglio ci sono stati transiti di mezzi pesanti, ruotati e cingolati all’interno dell’area archeologica e nello specifico nella zona della necropoli, con lancio di acqua tramite idranti. Intervento che ha provocato il sicuro dissesto del terreno della necropoli unitamente al passaggio sulle tombe dei mezzi meccanici e della truppa”. I danni sarebbero quindi stati compiuti proprio dalle forze dell’ordine, dato questo confermato dall’assessore alla cultura Michele Coppola che oltre a parlare di “reintegro dei danni causati dall’intervento della polizia” ha aggiunto che ci sarà “un’azione di rivalsa verso i responsabili di questa risposta della polizia”, ossia verso i manifestanti. A seguito degli scontri, l’area è stata coperta da tessuto-non-tessuto e materiali inerti per evitare ulteriori danni. Legambiente, Pro Natura, WWf e Italia Nostra hanno subito inviato una lettera alle autorità deputate alla tutela di sito e Museo per conoscerne le condizioni e per chiedere che fossero intraprese azioni per garantirne l’integrità, preannunciando in caso contrario vie legali. Insomma la lotta è continuata tra manifestazioni, cortei, incursioni degli attivisti, richieste, carte bollate. In una di queste lettere (14 marzo 2013), scritta da cittadini al sindaco di Chiaromonte, Renzo Pizard, si fa notare che a livello locale tutta la Valle di Susa ha espresso un plebiscito contro il TAV, anche in Comuni come Chiomonte ed Exilles dove le Amministrazioni si erano espresse a favore dell’opera, contribuendo così a creare un terreno favorevole all’individuazione della Maddalena quale localizzazione del tunnel geognostico, definito “un vero e proprio Cavallo di Troia” all’interno della media Valle Susa. “È necessario prendere atto in Consiglio Comunale di queste sensibilità e agire di conseguenza” dicono i cittadini, “Lei è usato strumentalmente come copertura politica di un’opera inutile e dannosa per Chiomonte e per la Valle … Le risorse destinate alla TAV vengono di fatto sottratte a cascata ad altre destinazioni… Come già rilevato anche dai suoi uffici, molte opere realizzate alla Maddalena risultano illegali, irregolari e con costi gonfiati al di fuori di ogni buon senso. Considerando che tutto questo è stato spesso giustificato con ordinarie prefettizie, le facciamo notare che cambiando i Governi potranno cambiare anche i Prefetti. Crediamo che Lei non voglia continuare a rendersi complice di una tale situazione”. Anche in Francia, ai più alti livelli, si sono aperte ampie crepe nel fronte di sostenitori dell’opera tanto che il 26 febbraio Dominique Dord, deputato del centro destra della Savoia e da sempre favorevole all’opera, ha ammesso che il forte calo di merci non giustifica più la Torino-Lyon e che le previsioni dell’Osservatorio di un aumento in “30 anni del 300 per cento del traffico” risultano “un abuso di fiducia nei confronti degli eletti e dei cittadini”.
Il progetto work in progress
L’ultima scintilla riguarda il progetto esecutivo di Chiomonte che il movimento No Tav, a seguito di una visita compiuta a marzo 2013 presso il cantiere della Maddalena, chiede di visionare ma che la Ltf (Lyon Turin Ferroviaire), società responsabile della nuova linea ferroviaria, nega di mostrare forse perché “Il progetto” come ha chiarito il commissario di Governo per la Torino-Lione, Mario Virano, “viene completato e terminato man mano che procedono le lavorazioni”. Durante la visita il movimento No tav, accompagnato da esponenti del movimento grillino e di Sel, avrebbe verificato che “una serie di prescrizioni ambientali, inserite dal Comitato interministeriale come presupposto per l’autorizzazione dei lavori nella delibera approvata nel novembre 2010, non sono state rispettate”. La Ltf nega le accuse e invita i No Tav ad effettuare una formale richiesta di accesso agli atti. Intanto il commissario Virano spiega che “lo sviluppo del progetto esecutivo spetta all’impresa titolare dell’appalto integrato (cioè la Venaus, società creata dalla cordata guidata da Cmc) e viene sviluppato in lotti. Anche per lo scavo, sarà redatto un esecutivo all’avanzamento di ogni 100 metri». Spiega ancora che «le prescrizioni ambientali sono attentamente osservate. Al punto che il progetto è costantemente sottoposto al vaglio del ministero dell’Ambiente, a cui sono inviate le carte e che può fare rilevazioni oppure lasciare che si proceda con il silenzio-assenso». I legali No Tav ribattono sostenendo che il progetto deve essere unitario. Anche la richiesta avanzata a fine aprile dal Comune di Chiomonte, di rimuovere le reti di recinzione del cantiere per abuso edilizio, è stata respinta dal Tar del Piemonte. Dei 7 km previsti ad oggi ne sono stati realizzati circa una cinquantina di metri, sebbene i No Tav contestino anche questa misura. La protesta continua ed ora si avvale del supporto di associazioni di volontariato, come Il Servizio Civile Internazionale che organizza a tal fine campi estivi, aperti anche a stranieri, di supporto alla protesta.
La zona interdetta
Oggi l’area archeologica e il Museo sono inaccessibili perché si trovano all’interno del cantiere, considerata “zona interdetta”. Ogni accesso è impedito in quanto l’area è costantemente presidiata da polizia o militari ed è recintata da “mura di filo spinato come fosse un carcere”. Solo i proprietari dei terreni hanno il permesso di accedere alle loro proprietà. Il cantiere è molto vasto perché, oltre alla zona interessata dal tunnel, comprende aree di servizio e le strade di accesso, compresa la via dell’Avanà, venendo ad occupare terreni sia del Comune di Chiaromonte che di Giaglione. Il Museo, oramai un ex Museo, è diventato una caserma per i militari del presidio. Il materiale archeologico è stato trasferito al museo di Antichità di Torino e gli apparati didattici sono stati smantellati. La necropoli è stata brutalmente vandalizzata durante gli scontri del 3 luglio. L’area intorno al cantiere, dove si trovano alcuni dei ripari sotto roccia più belli, è ancora accessibile sebbene più difficilmente e arrivando da Giaglione. Ma il rischio di essere fermati da qualche militare o poliziotto è costante. Lungo le sponde del torrente Clarea le ruspe scavando hanno divelto alberi secolari e tutto l’ambiente circostante è stato massacrato dal cemento. Il cantiere va avanti, ma molto lentamente.
Le terme e lo sponsor mancato
«Rinvenimento che assume carattere di eccezionalità» con queste parole Egle Micheletto, soprintendente per i Beni Archeologici del Piemonte, aveva definito nel 2009 il rinvenimento di “una piccola Pompei piemontese”. La scoperta è avvenuta, dopo aver buttato giù l’ex mercato della città, durante lo scavo delle fondamenta di un palazzo. Non c’è niente di simile per estensione, 4 mila metri quadrati, in tutto il Nord Italia. Chiunque abbia avuto accesso al cantiere la definisce un’emozione unica. Oggi il buio ha avvolto il sito di Acqui Terme. Il terreno sede del rinvenimento è infatti di proprietà privata ed il Comune «non ha sette milioni per comprare l’area, rimborsare quelli già spesi dall’impresa, restaurare i resti archeologici e allestire il percorso museale pensato anche nel rispetto dei diritti a costruire della ditta», spiegava l’allora sindaco Danilo Rapetti. Nessuno si è fatto avanti per valorizzare l’area mediante l’acquisto e successiva musealizzazione. Vane si sono dimostrate le proposte di utilizzare le risorse del 5 per mille e le sponsorizzazioni private. E pensare che l’area fu venduta proprio dal Comune alla società di costruzioni più o meno sei anni fa. Nel 2010 è stato firmato un protocollo d’intesa fra il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, il Comune di Acqui, la Provincia di Alessandria, la Regione e la Sovrintendenza ai Beni architettonici del Piemonte. Un accordo finalizzato a reperire le risorse economiche per il recupero dei reperti più importanti. In conclusione, chi vorrà vedere questo pezzo di storia dovrà scendere sotto il palazzo in costruzione, 74 alloggi distribuiti su sette piani, più qualche ufficio, negozi e un’ottantina di box. Le colonne portanti dell’edificio verranno posizionate in maniera tale da non danneggiare i reperti e permetterne la visibilità. Da qui la possibilità, per il Comune, di realizzare un successivo progetto di musealizzazione. Si tenga presente che parte dei reperti probabilmente verrà rimossa e sarà mantenuta integra solo la parte addossata alla Biblioteca civica. E pensare che si tratta di abitazioni romane di età imperiale parte di due quartieri, edificati tra il primo secolo a. C. e il quarto dopo Cristo: la strada principale, circa quattro metri di larghezza, si conserva perfettamente così come ciottolato e marciapiede, ai lati sei case ben visibili. Le domus più grandi sono ampie 700-800 metri quadrati, presentano saloni spesso decorati con mosaici, cucine con i forni, ambienti riscaldati, cortili e pozzi. Più piccole le altre case, 200-300 metri quadrati. Sono state rinvenute grandi quantità di anfore, suppellettili e oggetti di vita quotidiana in ceramica, vetro, bronzo, ferro. Si tratta di una zona residenziale, non popolare, di Aquae Statiellae, centro rinomato per l’acqua bollente che sgorga a 75 gradi. Ad un certo punto la vita in questo sito si fermò, forse a causa delle frequenti alluvioni del rio Usignolo che spinsero gli abitanti a spostarsi in un altro centro. Ed è stato proprio il fango a proteggere l’insediamento per qualche secolo e a garantirne l’attuale buono stato di conservazione, sebbene nel Medioevo molto materiale fu asportato e usato per altre costruzioni. Durante l’Alto Medioevo, fu eretta una necropoli con tombe a inumazione. Ed è questa continuità d’uso a costituire un altro elemento di grande interesse dal momento che offre la “possibilità di cogliere in uno stesso sito l’evoluzione del tessuto urbanistico di una parte della città antica, dall’età imperiale all’alto medioevo”. E su questo sito è stato deciso di spegnere la luce.
Il pasticciaccio della casa del Senato
La casa del Senato si trova all’interno di un’area ricostruita nel 1893 in seguito alla distruzione di interi isolati medievali. È detta anche Palazzo Longobardo perché si suppone sia stata la sede dei duchi torinesi durante la dominazione longobarda, come sembrerebbe testimoniare il fatto che in questa zona, fino al XVIII secolo, si trovava la chiesa di San Pietro in “curte duci”. L’edificio è uno dei più antichi di Torino: le due finestre guelfe a crociera risalgono alla fine del XV secolo, ma la presenza di una finestra gotica ad arco acuto fa supporre un’origine più antica. Presenta tre piani di cantine sovrapposte, al più profondo dei quali si accede solo attraverso una botola. Le cantine e l’ingresso sembrano essere stati costruiti su un edificio di età romana. La casa è a quattro piani, quindi un palazzo “alto” rispetto alla media dell’epoca che preveda non più di due piani. Nel 2011 la Soprintendenza ai Beni Architettonici e per il Paesaggio ha deciso l’intervento di recupero di questo edificio, danneggiato da decenni di incuria e dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Gli interventi si sono concentrati sul recupero e consolidamento della facciata cinquecentesca ma si sono inspiegabilmente dimenticati di ripristinare un’antica edicola in stucco la cui cornice è crollata una ventina di anni fa. Si potrebbe pensare che non si sapesse come era in origine, ma esistono molti riferimenti documentari che ne rendono sicuro l’aspetto. Non sono stati motivi economici perché la spesa per una simile ricostruzione è sopportabile. Ad essere insopportabile è l’assenza della cornice. È stata inoltre inserita una torre, da alcuni definita “grottesca”, in corrispondenza dell’angolo con via Conte Verde, come richiamo alla precedente torre merlata ormai scomparsa. Insomma, un bel “pasticciaccio”.
La Carta archeologica online
La Carta Archeologica del Piemonte on line è un interessante progetto promosso dal Gruppo Archeologico Torinese (associazione di volontariato nata nel 1983) che mira a mettere in rete l’intero patrimonio archeologico regionale, musei compresi, e così creare un archivio da cui possano attingere informazioni sia studiosi che appassionati. Si è deciso di considerare come limite cronologico il 1492, data che tradizionalmente segna la fine dell’età medievale. Il sito è in progressivo aggiornamento grazie al contributo dei soci del Gat e di tutti coloro che, a titolo personale e gratuito o in qualità di iscritti ad altre associazioni di volontariato, vogliano far conoscere un museo o un bene archeologico esistente nella loro zona di residenza. Il visitatore può effettuare una ricerca di vario tipo: per parola chiave, territoriale, cronologica, per siti archeologici o per musei. Ad oggi sono state inserite 790 schede.
Un ringraziamento va al GAT (Gruppo Archeologico Torinese), e in particolare a Valerio Nicastro, per aver fornito informazioni fondamentali.