Il susseguirsi di sentenze spesso contrastanti fra loro su situazioni che trovano opposte opinioni non solo dal punto di vista giudiziario, ma anche in ambito sociale, accentua in modo rilevante l’assoluta necessita di una normativa comunitaria uniforme.
Già ci eravamo occupati in precedenza di una sentenza del Tribunale di Bologna che riteneva legittima l’iscrizione presso l’anagrafe di un bambino nato da una madre surrogata, cioè in sostanza da una donna ucraina che si era resa disponibile a portare avanti la gravidanza di un bambino per conto di una coppia omosessuale dietro adeguato corrispettivo.
A tale sentenza hanno fatto seguito altre decisioni più restrittive, anche della Cassazione che recentemente con la sentenza n° 7668 del 03/04/2020 ha respinto il ricorso di due donne che chiedevano il riconoscimento della doppia maternità di una bambina che era stata concepita mediante la fecondazione assistita in Spagna, ma nata poi in Italia.
IL REATO DELL’UTERO IN AFFITTO
La maternità surrogata o l’utero in affitto è il sistema, come è noto, di far partorire il bambino ad una donna che poi lo consegna ad altri e questo può avvenire sia gratuitamente sia molto più frequentemente dietro lauto corrispettivo.
Se si esamina la casistica emergono situazioni del tutto differenti ed, a parte l’aspetto giuridico, è evidente che ben differente è la situazione in cui una ragazza si presta a sopportare una gravidanza dietro compenso in denaro da altro soggetto ed altra giovane che lo fa del tutto gratuitamente, ovvero se la richiesta provenga da una coppia eterosessuale o da una omosessuale.
Si va sotto questo profilo dalle coppie eterosessuali che non possono o non vogliono affrontare una gravidanza, e che cercano un soggetto disponibile a portarla avanti per loro conto, disposte a pagare anche cifre rilevanti (è ammesso il pagamento in molti Stati), in altre situazioni nelle quali il concepimento e la gravidanza vengono poste in essere solo per un legame familiare. Tutto quanto fino ad arrivare a situazioni al limite in cui madri hanno aiutato le proprie figlie desiderose di una maternità partorendo con l’ovulo della figlia o con lo sperma del genero, sostanzialmente il loro “nipote”.
La questione poi si complica ove venga impiantato o meno un ovulo o gli spermatozoi di uno degli interessati, mentre è sufficiente girare per internet per rilevare quante associazioni offrono i loro servizi nella ricerca di persone disponibili fiutando il lucrosissimo affare.
UN COACERVO DI NORMATIVE
Singolarmente passando di paese in paese si evince come la normativa possa essere la più varia.
Si va dalla normativa ucraina in cui è ammesso l’utilizzo di una donna disponibile a portare avanti la gravidanza, purché però sussista la condizione che il 50% del patrimonio genetico debba appartenere alla coppia committente e che l’ovocita da cui nasce l’embrione non sia della gestante, ad altri Stati, ove il sistema dell’utero in affitto è legittimo senza limiti.
In alcuni Stati vi sono stati radicali “ripensamenti” come nel caso del Parlamento di Delhi che ha votato la messa al bando dell’utero in affitto a fini commerciali, ammettendolo esclusivamente a titolo gratuito tra membri della stessa famiglia ed a beneficio di coppie di nazionalità indiana che siano sposate da almeno 5 anni e che non abbiano altri figli viventi.
L’Olanda singolarmente nell’ottica di una libertà senza limiti, come nel caso dell’uso di stupefacenti, ha scelto di andare verso la direzione opposta anche se prima del concepimento dovranno essere presi accordi che saranno valutati da un magistrato olandese per valutare se sono soddisfatte le condizioni per la maternità surrogata.
La Germania non prevede la pratica dell’utero in affitto e la madre viene considerata sempre chi partorisce il bambino, salvo l’adozione di terzi.
Comunque le normative sono le più varie ed articolate. In Russia, Ucraina, Georgia, Armenia, Cipro, Bielorussia, Sudafrica, alcuni Stati degli Usa, Nepal, ecc. l’utero in affitto è permesso anche dietro compenso, in altri Stati è ammesso anche per le coppie omosessuali (Russia, Georgia, Cipro, Sudafrica, California e Vermont), in molti altri Stati è ammesso, ma vietato se dietro compenso, (per esempio in Europa: Belgio, Grecia, Inghilterra, Paesi Bassi, Danimarca, Ungheria, Portogallo).
In altri Stati, come in Italia viceversa, il sistema dell’utero in affitto è vietato con apposita normativa (e così in Bulgaria, Francia, Norvegia, Malta, Svezia, Islanda Svizzera, e fuori dall’Europa Cina, Giappone, alcuni Stati degli USA, Arabia Saudita, ecc.).
SITUAZIONE IN ITALIA
Fatte queste premesse da cui si evince l’enorme caos legale, ma anche di valutazioni etiche sociali che sussistono fra Stato e Stato e la necessità di una normativa, per quanto possibile, unificata, va ricordato che in Italia la maternità surrogata e cioè l’utero in affitto, come si accennava, costituisce un grave reato.
La legge italiana punisce infatti sia la madre surrogata che porta a termine la gravidanza e poi venda o ceda comunque il figlio nato ad un altro soggetto o coppia eterosessuale o omosessuale e ciò indipendentemente se la gravidanza viene portata a termine per conto terzi gratuitamente o dietro un corrispettivo adeguato, sia il committente.
La legge italiana inoltre punisce chiunque organizza, pubblicizza o commercializza in qualsiasi forma l’utero in affitto (nonostante le offerte su internet) e secondo la Corte di Cassazione la maternità surrogata non solo è illegale, ma viola i diritti del minore ed impedisce al soggetto che ha portato avanti la gravidanza di acquisire quei diritti e doveri che derivano dalla stessa maternità, (recentemente vedasi la sentenza 07/01/2019 n° 2173).
La sentenza suddetta in sostanza rileva che l’utero in affitto configura tra l’altro il reato di cui all’art. 71 della legge 1983/84 che punisce con la reclusione fino a tre anni chiunque in violazione delle norme di legge affida a terzi con carattere definitivo un minore, oppure lo invii all’estero perché sia definitivamente affidato a terzi.
La condanna prescinde dal versamento di una somma come corrispettivo della consegna del minore, essendo il compenso previsto solo come condizioni di punibilità per colui che riceve il minore in illecito affidamento.
Non sfugge però a nessuno come la Cassazione abbia forzato normative per giustificare il divieto, quando in realtà il nucleo della questione è tutt’altro e cioè la legittimità o l’illegittimità di decidere lucidamente e scientemente di dare corso ed una nuova vita privando consapevolmente il soggetto che nascerà dei propri diritti, della propria memoria genetica e, come è stato scritto, della sua storia, della sua salute psichica e mentale e in sostanza della sua identità.
Pertanto la legge n° 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita vieta espressamente la surrogazione (e cioè l’utero in affitto), ravvisando in tale disposizione un principio di ordine pubblico posto a tutela della dignità della gestante e dell’istituto dell’adozione.
…E IO ME NE VADO ALL’ESTERO
Ovviamente nulla vieta ad una coppia che desideri ottenere un bambino tramite il sistema dell’utero in affitto di andare all’estero e prendere accordi grazie alle innumerevoli associazioni che dietro corrispettivo si preoccupano di tutto, dal rintraccio della madre alla determinazione dei compensi, all’assistenza medica, al compenso ridotto se qualche caso va male, il tutto per “acquisire” un bambino e poi registrarlo presso gli uffici anagrafici dello Stato in cui è nato, dichiarandolo quale proprio figlio.
In questo coacervo di norme va detto che, se il bambino nasce dal seme di uno dei richiedenti potrebbe essere possibile trascrivere la nascita anche all’anagrafe italiana, ma se nessuno dei genitori ha alcun legame biologico, va impedita in tal caso la trascrizione.
La Corte Europea dei diritti dell’uomo tuttavia nel 2015 dava ragione ad una coppia ritenendo che andava tutelato in primis il diritto del minore ad individuare i genitori ed in tal senso la trascrizione andava comunque effettuata anche a favore dei cosiddetti “genitori intenzionali” pur non essendo questi quelli biologici.
LA QUESTIONE DELLE COPPIE OMOSESSUALI
La questione si complica molto di più allorché il sistema dell’utero in affitto viene utilizzato da coppie omosessuali laddove manca il legame genetico di entrambi ed ovviamente la persona del genitore del sesso opposto nella crescita del bambino.
La Corte di Cassazione sotto questo profilo ha negato il diritto alla trascrizione all’anagrafe di un bambino nato con il sistema dell’utero in affitto su disposizione di una coppia omosessuale, la quale si era recata all’estero, provvedendo, presumibilmente al compenso alla ragazza che si era prestata.
La Corte ha precisato che non possa essere trascritto nei registri dello Stato Civile Italiano il provvedimento di un giudice straniero con cui è stato accertato il rapporto di filiazione fra un minore nato all’estero mediante ricorso alla maternità surrogata (utero in affitto) ed un soggetto che non abbia con lo stesso alcun rapporto biologico.
Dunque il cosiddetto genitore di “intenzione” non viene riconosciuto dalla normativa italiana.
I DIVERSI ORIENTAMENTI POLITICI E SOCIALI
I pareri sul punto non sono vincolati ad un preciso orientamento politico in quanto le opinioni favorevoli e sfavorevoli ed i pareri difformi attraversano trasversalmente tutti i singoli partiti ed orientamenti.
Va detto tuttavia che gli orientamenti contrari alla pratica della maternità surrogata sono maggioritari in Italia.
Si trovano riuniti in questo senso sia i conservatori che accentuano il diritto di un bambino ad una famiglia normale, che i gruppi femministi che ritengono come le donne non possano essere considerati semplici incubatrici ed i bambini non possono essere considerata merce da acquistare dietro corrispettivo.
In una recente lettera aperta indirizzata al Sindaco di Milano le associazioni femministe rilevavano che l’utero in affitto non può considerarsi un diritto al pari di una tecnica di fecondazione assistita.
In sostanza la maternità surrogata altro non è che lo sfruttamento delle donne e dal mercato dei bambini utilizzando corpi di donne povere al servizio di donne e uomini ricchi.
Del resto già la Corte Costituzionale con la sentenza n° 272/2017 precisava che l’utero in affitto “E’ un elevato disvalorecheoffende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane”.
È interesse pubblico secondo la Consulta che il minore conosca la verità sulle proprie origini e per l’aspirante genitore non biologico è indicata l’adozione in casi particolari, ma non l’utilizzazione dell’utero in affitto, sfruttando altre donne più o meno compiacenti o desiderose del corrispettivo economico.
IL NUOVO RINVIO ALLA CORTE COSTITUZIONALE
Ora la questione, ma solo sotto il profilo anagrafico e non sotto il profilo sostanziale è rimessa alla Consulta che deve decidere se il bimbo nato dall’utero in affitto possa essere dichiarato figlio di due uomini in Italia.
In sostanza il problema è il determinare se il divieto di trascrivere l’atto di nascita o riconoscere la sentenza straniere sul “genitore di intenzione” corrisponda o meno all’interesse del minore.
La Cassazione con l’ordinanza n° 8325 del 2020 pubblicata il 29 Aprile ha infatti rimesso la questione alla Corte Costituzionale, soltanto sotto il profilo formale ed anagrafico, la quale dovrà stabile se, dopo la nascita del bambino all’estero grazie alla maternità surrogata, si possa trascrivere allo stato civile l’atto di nascita che comprende il genitore di intenzione o comunque riconosce il provvedimento giudiziale straniero.
Potrebbero sussistere infatti secondo la Cassazione dei dubbi di legittimità relativamente alla legge che vieta la trascrizione della nascita agli uffici dello stato civile per contrarietà all’ordine pubblico, senza però la possibilità di una valutazione nell’interesse superiore del minore.
Molti tuttavia fanno notare che si sta perdendo di vista la sostanza del fenomeno per valutare solo l’aspetto formale ed anagrafico, e cioè se sia legittimo o meno servirsi di una donna per acquisire ed inserire un bambino in una coppia omosessuale.
L’INTERESSE DEL MINORE
Secondo l’indirizzo maggioritario, il diritto sacrosanto delle coppie omosessuali a regolarizzare sotto ogni profilo la loro unione, rispettando la volontà di ciascuno, non ha nulla a che vedere allorché si debba statuire sui diritti di un nascituro, il quale non è ovviamente in grado di decidere.
Non vi è dubbio come ciò che si debba perseguire in primis è il presumibile desiderio del bambino e gli interessi presunti dello stesso che sono superiori a qualunque altra valutazione circa la libertà od il libero arbitrio di chiunque.
Molti rilevano, e non è un’osservazione di scarso spessore, che se ad un soggetto fosse rimessa la scelta se nascere e crescere in una coppia eterosessuale formata da madre e padre od omosessuale, sicuramente non rinuncerebbe ad entrambe le figure genitoriali maschile e femminile. Dunque in conclusione l’interesse del minore non può essere travolto e travalicato dall’egoistico desiderio di una coppia omosessuale di acquisire comunque un figlio, il quale certamente, se avesse potuto scegliere, avrebbe optato per un’altra soluzione.