Recentemente mi sono imbattuta in un tizio che , essendo incompetente riguardo alla conoscenza del Cane inteso come specie, PROPRIO PER QUESTO raccomandava a tutti di non dimenticare che: “I cani non sono una nostra invenzione, fanno parte della natura. Probabilmente se non ci fossimo noi uomini se la caverebbero anche meglio…”. Niente di più falso.
Lupo e Cane sono la stessa specie, tanto è vero che possono ibridarsi e i figli nati dall’unione sono fertili. Tuttavia il Cane, rispetto al Lupo, presenta radicali differenze: è un animale domestico, il primo. Possiamo considerare il Cane come una versione modificata zero punto due del Lupo.
La specie Lupo ha cominciato a trasformare il suo genoma circa centomila anni fa, guarda caso nel momento in cui è comparsa un’altra specie: l’Homo Sapiens. Io non credo nel caso e soprattutto non ci credono i grandi studiosi delle specie canina e lupina. L’altra “coincidenza” nella linea del tempo che ha segnato la Storia dell’Uomo e la storia della domesticazione del Cane si attesta a circa quindicimila anni or sono. È il tempo in cui l’Uomo diventa stanziale e guarda caso il Lupo, in alcuni soggetti e in diversi siti, cambia definitivamente la sua veste esterna, riducendo le dimensioni delle sue mascelle e del suo corpo, modificando il suo aspetto e i suoi modelli comportamentali, ampliando la possibilità di socializzare per le prime settimane di vita. Diventa insomma una nuova creatura, meno timida, meno aggressiva, più socievole, una forma animale adatta a vivere in un villaggio umano. Questo si deve al processo di domesticazione operato dall’Uomo. L’Uomo a quel tempo non sapeva nulla di pressione selettiva, di collo di bottiglia genetico o di eugenetica ma selezionava, per istinto e buon senso, gli animali più adatti alla convivenza, i più utili, favorendoli, offrendo loro cibo e riparo. Da allora, Uomo e Cane hanno condiviso il cammino, fianco a fianco. È cominciata così la meravigliosa avventura dello straordinario Animale a Sei Zampe.
Il Cane può rinselvatichire, e diventare ferale, com’è avvenuto con successo nel caso del Dingo, tuttavia la vita dell’animale selvatico richiede un habitat spazioso e la presenza di prede a sufficienza per soddisfare le sue necessità di sopravvivenza. Nel caso del Dingo, l’Australia poteva bastare. Meno bene se la cava il Lupo, attualmente, in altri siti della Terra.
I cani dunque, hanno voltato le spalle al richiamo della foresta e hanno seguito noi. Privi del nostro aiuto e orfani di Madre Natura, nel sistema antropico che l’Uomo ha creato, la loro vita è in pericolo. Appare anche troppo evidente quanto l’esistenza dei cani randagi sia dura, fatta di rischi, di fame, di sete, di freddo, di stenti. Un branco di stray dogs, cioè di cani in abbandono, ha un turnover velocissimo. La vita media dei randagi è stimata di DUE soli anni.
L’idea di Biagio, spensierato, libero e felice nella sua orgogliosa indipendenza canina, dunque, ha più a che fare con i cartoni animati che con la scienza. È una baggianata.
Noi Umani abbiamo creato il Cane, rendendolo inadatto a vivere lontano dalle nostre cure, in cambio abbiamo ricevuto da lui eterna dedizione. Dovremmo ricordare questo, con le responsabilità e il grande debito che comporta.
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