Lo scorso fine settimana, per la prima volta nella sua storia, sull’università di al Azhar sventolava la bandiera nera di al Qaeda. La notizia, che campeggiava martedì scorso sulla prima pagina del più importante quotidiano arabo (Asharq al Awsat) è stata completamente ignorata dai media italiani.
Eppure stiamo parlando della più antica e autorevole università del mondo musulmano, dal quale proviene un clero religioso che è punto di riferimento dottrinale per tutto il mondo sunnita. Il fatto che in uno dei principali centri d’insegnamento religioso islamico sia accaduto un atto del genere, dal profondo valore simbolico per gli arabi, dimostra come abbia raggiunto livelli drammatici il problema del terrorismo islamico in Egitto, paese meta dei turisti italiani ai quali da qualche settimana il ministero degli Esteri sconsiglia di recarsi nelle amate località del Sinai sul Mar Rosso, dopo l’attentato di un mese fa contro un bus di sudcoreani a Taba.
La bandiera nera vista per la prima volta ad al Azhar è stata issata da quegli studenti, molti dei quali militanti dei Fratelli musulmani, che da settimane mettono a ferro e fuoco quella università e altre del paese per protestare contro il governo del Cairo e contro l’uomo forte del paese, il generale Abdel Fattal al Sisi, in procinto di candidarsi e di vincere le prossime elezioni presidenziali. Questo perché i Fratelli musulmani hanno di fatto delegato i gruppi studenteschi a proseguire la protesta contro il governo, dopo l’arresto dei loro leader e la militarizzazione delle strade del Cairo e delle principali città egiziane. Da alcune settimane, infatti, buona parte delle manifestazioni che si tengono in Egitto si svolgono all’interno degli atenei universitari. Il più importante del paese, quello di al Azhar al Cairo, è stato teatro di violente proteste di gruppi di studenti i quali intonavano cori contro le forze armate chiedendo la liberazione di un collega arrestato nei giorni scorsi dalle autorità del Cairo. Le lezioni sono state cancellate a causa della loro protesta e di quella di alcune studentesse legate al movimento islamico, che hanno tenuto bloccate le porte di accesso al campus. Le ragazze sono uscite martedì scorso in corteo fino a via Yusuf Abbas, adiacente all’ateneo, per bloccare le strade circostanti.
In questo modo, le studentesse hanno attirato l’attenzione della polizia lasciando liberi gli studenti di imbrattare i muri del campus con slogan antigovernativi che incitavano alla “seconda intifada di al Azhar” e di lanciare bombe carta all’interno del campus, invitando gli studenti delle altre facoltà a unirsi alle proteste. Per sedare i disordini, la polizia egiziana ha arrestato negli ultimi giorni 16 studenti a Daqhiliya e al Cairo, dopo aver disperso la manifestazione di al Azhar. L’obiettivo è quello di impedire la ripresa delle lezioni e l’ingresso nei campus universitari di guardie private. Gli studenti protestano anche per ottenere la liberazione dei compagni arrestati. Nella facoltà di Ingegneria di al Azhar, infatti, i dimostranti hanno bloccato le lezioni chiedendo il rilascio del proprio collega Ahmed Salah Nabeih, arrestato dalla polizia il quattro marzo scorso, e minacciando di occupare la facoltà di Scienze della comunicazione. La protesta organizzata si è poi allargata ad altri atenei del paese.
All’Università Ein Shams una bandiera israeliana è stata data alle fiamme e una palestinese è stata innalzata all’ingresso dell’ateneo al grido “Generazione dopo generazione, cancelleremo Israele” e “Gaza nei nostri cuori”. Nel contempo, bombe carta e fumogeni sono stati lanciati all’interno del campus. Nella facoltà di medicina, un gruppo di studentesse ha imbrattato i muri dell’edificio, intonando slogan contro l’esercito e la polizia, interrompendo le lezioni in corso. In considerazione di questa escalation di violenze che riguarda il mondo universitario, gli atenei egiziani hanno deciso di correre ai ripari rafforzando gli apparati di sicurezza interni. Il ministero dell’Istruzione ha reso noto di aver chiesto “alle forze di polizia di intervenire anche all’interno dei campus nel caso di nuove manifestazioni. Inoltre sono stati istallati impianti di videosorveglianza all’interno delle facoltà per monitorare qualsiasi movimento tra gli studenti islamisti e, in particolare, per individuare chi compie atti vandalici contro i beni dell’università, come è avvenuto nel primo semestre di lezioni”. Nella prima parte dell’anno accademico si erano infatti registrati diversi morti e feriti negli scontri tra studenti e polizia. Il ministero dell’Istruzione del Cairo ha fornito indicazioni chiare ai rettori ordinando loro di fermare qualsiasi manifestazione a sfondo politico all’interno degli atenei.
Eppure resta alta la preoccupazione ad al Azhar per quella bandiera nera vista per la prima volta nell’ateneo. Non è un caso infatti che dopo due giorni alcuni studenti sostenitori del movimento islamista dei Fratelli musulmani, forse gli stessi che l’anno issata, sono passati dalle parole ai fatti e hanno rapito una guardia nell’università del Cairo, durante una manifestazione all’interno dell’ateneo. Si tratta di Tarek Hermash, secondo quanto riferisce l’emittente televisiva egiziana Cbc. I Fratelli musulmani sembrano voler punire l’università di al Azhar, più di ogni altra, per il comportamento degli studenti tenuto durante la rivoluzione dello scorso 30 giugno che rovesciò il governo di Mohamed Morsi, dopo che il capo dell’esercito generale Abdul Fatah al Sisi, con il sostegno del gran imam di al Azhar, Ahmed El-Tayeb, a capo dell’omonima università, e Papa Tawadros II, al vertice della Chiesa copta ortodossa al Cairo decisero per la sua deposizione il 3 luglio scorso. Esplosioni, bombe, scontri, attacchi terroristici, e soldati uccisi dai sostenitori della Fratellanza sono da allora episodi all’ordine del giorno in Egitto finalizzati alla reintegrazione di Morsi.
Mentre al Cairo gli scontri sono limitati alle università e al Qaeda appare solo tramite una bandiera, nel resto del paese la situazione peggiora di giorno in giorno. Dopo la serie di attentati registrati nel Sinai contro le forze di polizia, mercoledì scorso c’è stato il primo vero scontro armato tra l’esercito e una cellula jihadista nel Delta del Nilo. I militari si sono imbattuti in un covo del gruppo denominato “Ansar Beit al Maqdisi”, considerato la cellula di al Qaeda in Egitto, all’interno del quale oltre a un gruppo di terroristi c’erano quintali di armi e esplosivo. Per la prima volta si è registrato uno scontro tra soldati e terroristi in Egitto durato più di tre ore consecutive che ha visto la morte di due ufficiali dell’esercito e di cinque terroristi. Il problema del terrorismo in Egitto aumenta di giorno in giorno, al punto da spingere il generale al Sisi a chiedere l’aiuto della Russia, facendo pressioni per accelerare la compravendita di armi firmata durante la visita che lo stesso generale egiziano ha compiuto un mese fa a Mosca, per ottenere armi sofisticate e mezzi necessari per sconfiggere al Qaeda in Egitto.