Il dibattito politico italiano, a pochissimi giorni da un voto che potrebbe essere storico, sembra aver di colpo dimenticato le questioni europee, surclassate dalle promesse fiscali e dall’onnipresenza di Berlusconi.
Nonostante i cambi di indirizzo sulle politiche di Bruxelles, annunciati praticamente da tutte le forze in campo anche se con direzioni spesso divergenti, le istituzioni comunitarie continuano a lavorare per il perseguimento di obiettivi stabiliti da tempo. Accade così che i media fanno passare in sordina provvedimenti che incideranno pesantemente sulla politica economica dei singoli governi, che una volta adottati sarà difficile (se non impossibile) rivedere, modificare o addirittura eliminare.
Nel corso di questa settimana, Parlamento e Consiglio hanno trovato l’accordo sul testo del cosiddetto “2-pack”, ovvero il provvedimento che regola i nuovi poteri di controllo della Commissione sui bilanci nazionali.
Si tratta sostanzialmente di due regolamenti, che saranno approvati dal Parlamento a marzo per poi essere recepiti dai governi nazionali. Non è certamente il primo atto di un tendenziale inasprimento dei meccanismi di bilancio, visto che negli ultimi anni sono stati già adottati due provvedimenti simili, il 6-pack ed il controverso fiscal-compact.
Il vento di cambiamento scuote gli elettori di tutta Europa potrebbe certamente portare ad una revisione dell’intero impianto, ma nonostante le prese di posizione del recente passato, come quella del presidente francese Hollande, al momento non si ravvisano rivoluzioni in atto.
D’altra parte questo nuovo accordo lascia spazio a diverse interpretazioni, accontentando per motivi diversi la maggior parte dei contendenti. La normativa prevede che i governi nazionali siano chiamati a presentare la propria Legge di Stabilità (ex legge finanziaria) ai tecnici della Commissione entro il 15 ottobre di ogni anno, al fine di ottenere una sorta di approvazione europea di conformità rispetto ai Trattati, ovvero al Patto di Stabilità, e rispetto alle raccomandazioni del Consiglio, atto finale cosiddetto “Semestre Europeo” e divulgate a giugno.
La Commissione potrà dunque chiedere modifiche al testo e, nel caso in cui queste rimangano disattese, il Paese incorrerà nelle sanzioni previste dalla Procedura per Deficit Eccessivo. In buona sostanza, Bruxelles dovrebbe ottenere un sostanziale controllo sui conti pubblici nazionali, operazione dettata dalla necessità di evitare in futuro nuovi rischi di fallimento dovuti all’azzardo di alcuni governi, specie quelli mediterranei.
La norma, infatti, è stata fortemente voluta e supportata dai paesi nord-europei, che da parte loro hanno dato via libera al piano per l’unificazione della supervisione bancaria. Il ruolo della Commissione, organo esecutivo d’Europa ma non elettivo, è stato leggermente attenuato nel corso dell’esame in Parlamento, che ha richiesto ed ottenuto un potere di supervisione sull’intero processo: i tecnici dovranno dunque riferire periodicamente in aula, illustrando gli scenari e giustificando ogni eventuale atto impositivo verso gli Stati Membri.
Così come formulato, il 2-pack sembra rappresentare esclusivamente gli interessi di una parte in campo. Alcune concessioni importanti hanno tuttavia permesso di giungere ad un accordo, peraltro dopo una trattativa lunga più di un anno, per cui la Commissione si impegna a costituire un gruppo di studiosi indipendenti che dovranno valutare la fattibilità di un fondo comune per la redenzione del debito, contestualmente all’introduzione dei bond unici (Eurobond) per l’intera area monetaria.
I risultati dovrebbero essere presentati ad ottobre 2014, ultimo anno di vita dell’attuale Commissione, per il quale si auspica l’entrata in vigore del 2-pack. Altra concessione riguarda l’esclusione di alcuni capitoli di spesa in caso di un’eventuale richiesta di tagli al bilancio nazionale: gli investimenti in settori essenziali, quali sanità ed educazione, non potranno dunque essere soggetti a vincoli di alcun tipo.
L’obiettivo fondamentale rimane la riduzione del debito complessivo dell’Eurozona, anche attraverso una forma di collettivizzazione dell’onere, che però non può essere attuata senza il rinforzo dei controlli sui bilanci.
Lo scenario descritto andrà a creare non poche difficoltà al prossimo governo italiano, che sarà chiamato a gestire una situazione quanto mai complessa, specie dopo le promesse elettorali dell’ultimo periodo. Una Legge di Stabilità fortemente espansiva, contenente misure fiscali finalizzate alla riduzione delle tasse, potrebbe essere in futuro bocciata dalla Commissione, impedendo di fatto al governo di agire liberamente.
Questo potrebbe costituire un problema per il partito di Berlusconi che, qualora salisse al potere, dovrebbe convincere l’Europa che gli eventuali tagli fiscali sono sostenibili dal punto di vista finanziario, assicurando un’adeguata copertura. Il problema non è emerso in questa campagna semplicemente perché la normativa non sarà in atto nel 2013, tuttavia uno scontro con Bruxelles su questo tema sarebbe inevitabile per chi promette di abbassare di 6 punti percentuali la pressione fiscale.
Il centro-sinistra, d’altra parte, si troverebbe a fronteggiare un’accusa di asservimento alla causa europea dalla quale l’Italia non trae alcun vantaggio, rischiando di perdere numerosi consensi nel breve periodo. Entrambi i partiti a capo delle rispettive coalizioni dovranno poi confrontarsi con le posizioni interne più radicali, la Lega per la destra e Sel per la sinistra.
Queste forze, anche se con motivazioni e convinzioni differenti se non opposte, non vedono di buon occhio l’attuale gestione della macchina europea. Per il centro-sinistra ci sono poi altri due aspetti specifici da valutare. Il primo riguarda un eventuale accordo con Monti, che faciliterebbe l’implementazione della normativa comunitaria, al costo di una probabile emorragia di consensi.
Il secondo è connesso al ruolo storico e peculiare della sinistra italiana nei confronti delle dinamiche europee, per cui sono stati proprio questi governi a portare avanti le politiche, spesso impopolari, promosse da Bruxelles.
Nonostante il silenzio degli ultimi giorni, si tornerà a parlare di questi temi immediatamente dopo le elezioni, poiché quella europea è la vera sfida che il nostro paese deve affrontare, per rimanere agganciato al treno dei paesi più evoluti.
L’Italia può diventare una “vittima” delle decisioni europee, ma sarebbe auspicabile che tornasse ad assumere un ruolo influente e decisionale, recuperando la fiducia nei cittadini in un progetto che sembra perduto. A tal fine occorre prima di tutto tornare ad essere competitivi, soprattutto in termini di crescita ed occupazione, dimenticando l’ultimo decennio caratterizzato da una sostanziale immobilità.