Impossibile negare l’accesso ai documenti di autorizzazione urbanistico-edilizio agli interessati per tutelare la riservatezza delle informazioni commerciali o industriali. I cittadini devono poter influire sul processo decisionale dall’avvio del procedimento di autorizzazione dell’impianto.
I cittadini hanno il diritto di essere informati sull’insediamento degli impianti con un notevole impatto ambientale sin dall’inizio delle procedure autorizzatorie, quando ancora tutte le strade sono praticabili. Non ci si può nascondere, afferma la Corte di giustizia europea nella sentenza del 15 gennaio 2013 C416/10, dietro la tutela del segreto commerciale o industriale per rifiutare l’accesso ai documenti agli interessati e, aggiungono i giudici di Lussemburgo, mentre il giudice o l’organo indipendente e imparziale competente a decidere studiano la questione è possibile chiedere una sospensione temporanea dell’autorizzazione concessa ai sensi dell’articolo 4 della direttiva Ue 96/61.
La controversia – Le indicazioni sull’interpretazione della Convenzione di Aarhus (Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, approvata dal Consiglio con decisione 2005/370/CE) nascono dalla richiesta ai giudici della Cgue da parte della Corte di cassazione slovena di precisare la portata del diritto del pubblico di partecipare alle procedure di autorizzazione dei progetti aventi un notevole impatto sull’ambiente.
Nel 2006, infatti, l’Ufficio urbanistico regionale di Bratislava aveva adottato una decisione di assenso urbanistico-edilizio all’insediamento di una discarica di rifiuti in una cava di terra per mattoni. In seguito, durante la procedura di autorizzazione avviata dall’amministrazione slovacca per il controllo dell’ambiente, alcuni privati avevano chiesto la pubblicazione della decisione: la costruzione e la gestione della discarica, però, era stata autorizzata senza che la pubblicazione avesse luogo. Ne era seguito un ricorso amministrativo nel quale, in secondo grado, l’organo per la protezione dell’ambiente aveva confermato la decisione dell’amministrazione, disponendo però l’accesso pubblico alla decisione urbanistico-edilizia.
L’orientamento della Corte Ue – Tale procedura non è corretta per i giudici europei, a meno che la sanatoria in secondo grado di un rifiuto ingiustificato nel mettere a disposizione una decisione di assenso urbanistico-edilizio durante il procedimento amministrativo di primo grado, lasci la possibilità al pubblico di esercitare un’influenza effettiva sull’esito del processo decisionale. Ai cittadini interessati deve essere garantita la possibilità di intervenire fin da subito nella procedura di autorizzazione, in una fase in cui i loro atti possono produrre ancora degli effetti concreti, insomma.
Il richiamo è proprio a quella Convenzione di Aarhus che, nell’allegato I, menziona tra le attività che obbligano a informare il pubblico nella fase iniziale del processo decisionale proprio la gestione dei rifiuti e, più nello specifico, «le discariche che ricevono più di 10 tonnellate al giorno oppure con una capacità totale superiore a 25mila tonnellate, escluse le discariche di rifiuti inerti».
Obiettivo della direttiva, sottolinea la Corte, è la prevenzione e la riduzione degli inquinamenti: per questo deve essere possibile che impianto, in ipotesi beneficiario di un’autorizzazione concessa in violazione della direttiva 96/61, non continui a funzionare in attesa di una decisione definitiva in merito alla legittimità di tale autorizzazione. Da qui discende il diritto degli interessati a chiedere l’adozione di misure provvisorie idonee a prevenire tali inquinamenti, come ad esempio la sospensione temporanea dell’autorizzazione. Non per questo la decisione di un giudice nazionale di annullare l’autorizzazione configura una lesione ingiustificata del diritto di proprietà del gestore.
Infine, la Corte constata che la decisione di un giudice nazionale che annulla un’autorizzazione concessa in violazione della direttiva sopra citata non è idonea, in quanto tale, a configurare un’ingiustificata lesione del diritto di proprietà del gestore.
Corte di Giustizia, Grande sezione, causa C416 – 10, ambiente, Convenzione di Aarhus, sentenza 15 gennaio 2013