Diminuiscono i santi, latitano gli eroi e ora anche i naviganti non se la passano tanto bene. Dovrà riorganizzarsi in fretta l’Italia se non vorrà vedere sgretolarsi una rete (mai completamente efficiente in verità) che dalla cantieristica al charter, dai porti agli approdi è arrivato a rappresentare il 2% del prodotto interno lordo, senza considerare l’indotto turistico sulla terraferma. Con 7.458 chilometri di costa, 99.517 imbarcazioni, 153 mila posti barca, l’Italia è al secondo posto nel bacino del Mediterraneo per estensione costiera e al primo per numero di porti che ammontano complessivamente al 40%. La Grecia che primeggia con i suoi 14 mila chilometri costieri può contare soltanto l’11,3% dei porti, i Paesi nordici invece pur avendo meno superfici bagnate dal mare stanno sfruttando al massimo anche le reti fluviali per uno sviluppo costante del turismo da diporto. Se la cantieristica italiana sta attraversando una delle peggiori crisi degli ultimi decenni ­- la perdita di fatturato delle imprese manifatturiere è scesa dai 6,2 miliardi di euro del 2008 ai circa 3,2 miliardi del 2010: un calo del 55%, con una quota del mercato interno pari a solo il 25%, ossia limitata a 600 milioni di euro per il 2011 -, anche il resto del settore da qualche stagione naviga a vista. Il triangolo Costa Azzurra-Liguria-Sardegna che si era attestato su un giro d’affari di un miliardo di euro nel solo periodo compreso fra la metà di giugno e la fine di agosto ha visto quest’anno crollare del 50% il business dei due lati nostrani e resistere solo quello francese. A fine luglio, inoltre, si è registrato rispetto all’anno scorso un calo del 55% dei consumi di carburante.

 

Quando il fisco non è amico Album_Cantiere1900

Certo, le condizioni meteo che finora non sono state delle migliori hanno influito, la crisi però ha coinvolto anche le società di charter. «A inizio anno si pensava che almeno questo settore potesse tenere», spiega Massimo Revello, presidente dell’Isyba (Italian ship & yacht brokers association), l’associazione italiana mediatori marittimi, «invece sta seguendo il trend negativo dell’intero comparto. Soltanto il noleggio delle barche a vela ha tenuto un po’». Revello è preoccupato, ma il cahier de doleance stilato dal suo gruppo mette in luce le difficoltà del settore scaturite da inefficienze pubbliche, da ritardi, da scarsa capacità politica, tutte questioni che se risolte ridurrebbero drasticamente l’entità del calo degli affari.

Eccessi di esterofilia

«Innanzitutto – riprende Revello – noi non possiamo contare su un Fisco amico. Questo significa che subiamo una concorrenza sleale nazionale e internazionale di così ampia portata da risultare micidiale. Cominciamo dai controlli: le imbarcazioni delle società di charter in regola vengono controllate numerose volte nell’arco della stessa stagione dalla guardia di finanza e addirittura a ogni transito da una Capitaneria di porto all’altra. Queste operazioni che potrebbero essere espletate in un altro modo – anche in via telematico – senza creare disagi ai clienti, sono invece all’ordine del giorno. Di contro, scarseggiano i controlli su quelle società di Paesi comunitari che operano costantemente nei nostri mari, ma non compaiono negli elenchi delle Capitanerie italiane né figurano in quelli dell’Agenzia dell’entrate. In questo modo aggirano una serie di norme vigenti ed evadono il fisco. Tenendo presente che l’Iva è al 20% e loro non la pagano, ecco spiegato come le tariffe che propongono sono inferiori alle nostre del 20%. E per quale motivo, soprattutto di questi tempi, un cliente deve pagare di più? Le società straniere nel 2010 hanno fatturato 240 milioni di euro contro i 211 delle società italiane. Come associazione abbiamo più volte sollecitato la finanza ad intervenire, abbiamo presentato documentazioni su due grosse società estere che ci hanno anche contattato annunciando querele, ma noi non aspettiamo altro che presentare questi dossier a un magistrato. Se tutti si attengono alle regole, la questione cambia. Un altro fronte è quello interno, il sommerso, il giro di affari in nero che nel 2010 è stato di 165 milioni di euro e che in previsione quest’anno triplicherà. È soprattutto al Sud che il fenomeno è radicato. Sono tantissimi che praticano la finta locazione: affittano l’imbarcazione al cliente che, senza saperlo, diventa anche responsabile in caso di danni o incidenti, al quale chiedono di dire in caso di controllo che a bordo sono tutti amici e parenti. Ma quanti amici e parenti hanno questi pseudoimprenditori che ospitano costantemente sulle loro barche e sfilano continuamente sotto gli sguardi ignari della Capitaneria di porto e della Guardia di finanza? È così che il Fisco non ci è amico».


Sommerso non affondato

MontecristopiccUn cabinato per otto/dieci persone viene noleggiato a 2/3.000 euro al giorno contro i 700 di una società in nero. «L’enorme differenza – spiega Daniela D’Onghia, responsabile della Puck Yacths & Charter – non è dovuta soltanto al fatto che noi paghiamo tutti gli oneri e loro no, ma sta nella sicurezza dei clienti e dell’imbarcazione stessa. Il comandante che scegliamo è sempre un professionista di lunga esperienza, tenuto a seguire tutti i corsi di aggiornamento, e lo stesso vale per l’equipaggio. Chi lavora in nero assume un giovane skipper a 100 euro al giorno e gli affida barca e clienti e se malauguratamente succede qualcosa sono guai seri. Senza considerare che le società di charter in regola come la nostra rispettano anche tutte le norme di igiene in cucina dove siamo comparati a un ristorante, quelle di smaltimento dei rifiuti, dei pozzetti e delle acque grigie. Se una barca è abilitata per 14 persone, noi ne ospitiamo almeno 4 di meno per mettere a più agio i clienti, e in caso di brutto tempo garantiamo sempre un cambio di date; quanti invece hanno pagato per starsene a dondolare in porto».

Discorso a parte meritano le società di comodo, quelle create apposta da privati per intestare yacht ed aggirare il fisco, com’è accaduto a Flavio Briatore accusato di essere in effetti il proprietario del Force Blu, il panfilo finito per questo anche sotto sequestro.


Sventato il Porcellum Nautico

Terranova85_000Un’altra questione riguarda il mondo politico. «Siamo riusciti per fortuna a evitare il Porcellum Nautico inserito nell’ultimo Decreto sviluppo dall’onorevole Gerardo Soglia del Pdl», racconta Massimo Revelli, presidente dell’Isyba. «Si voleva autorizzare chiunque avesse un’imbarcazione ad affittarla: una vera e propria deregulation che avrebbe incrementato soltanto il mercato nero. È come se improvvisamente tutti i proprietari di automobili in Italia avessero la possibilità di sfruttare il proprio mezzo a nolo o come taxi: una follia. Ci siamo opposti e siamo riusciti a far cancellare il comma». Poi ci sono le attività ministeriali. «Come navigazione da diporto dipendiamo dal ministero dei Trasporti, ma ritengo – riprende Revelli – che debba essere così solo dal punto di vista degli aspetti tecnici, mentre per quanto riguarda gli obiettivi e la crescita del settore dovremmo fare capo al ministero dello Sviluppo Economico che ha uno sguardo maggiormente europeista e persone qualificate che lavorano in staff. Una visione moderna e competitiva non può continuare a separare in comparti la cantieristica, il turismo da diporto, i porti e le altre strutture. Le nostre difficoltà sono legate anche ai ritardi burocratici. Al ministero dei Trasporti, per esempio, abbiamo due provvedimenti (uno sui titoli professionali e un altro sulle patenti) che attendono da tempo di essere soltanto firmati. Se non c’è una spinta e la volontà cade tutto nel dimenticatoio».


Yacht e alberghi di lusso, diversità turistiche

cayman_75_htLe società di charter vengono equiparate alle grosse compagnie di navigazione come la Tirrenia sul piano del personale di bordo e della ristorazione, alle petroliere per le aliquote assicurative di rischio; perfino il fisco non riconosce lo stesso trattamento riservato alle società di crociera fissando l’Iva al 20% solo sul 5% del corrispettivo e non sulla totalità come avviene per le attività di noleggio. Nessuna agevolazione è prevista per rimessaggio e revisione dei motori che avviene in periodi stabiliti e costa circa 15 mila euro. Non a caso in questi ultimi due anni numerosi natanti hanno cambiato bandiera e la Serbia e il Montenegro, che non essendo entrate ancora nell’Unione europea conservano regimi fiscali più vantaggiosi, sono tra i Paesi del Mediterraneo in controcorrente rispetto alla crisi della nautica da diporto.

 


Bollino blu per accedere liberamente alle oasi

image_scaicco«I nostri yacht dovrebbero essere considerati come alberghi a cinque stelle e invece non godiamo di nessuna delle agevolazioni previste per quel settore», riprende Daniela D’Onghia. «Inoltre, le nostre imbarcazioni di ultima generazione hanno un impatto ambientale minimo al punto che a mio avviso si dovrebbe istituire un Bollino blu per le barche ecocompatibili e garantire loro l’accesso alle oasi italiane che attualmente vengono frequentate soltanto da quelle battenti bandiere straniere».

                                                                                                                                                                       (1. Continua)

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