La sede parigina del giornale satirico Charlie Hebdo è stata incendiata da un cocktail di molotov.
La ragione sembrerebbe la solita: il giornale diretto da Charb si era rinominato “Charia Hebdo” e aveva eletto il profeta Maometto capo redattore che pronuncia queste parole: “ cento frustate a chi non muore di risate”.
Secondo l’Islam la raffigurazione di Maometto è estremamente delicata e oggetto di controverse interpretazioni, più o meno radicali. Esistono miniature medioevali che lo raffigurano spesso tra le fiamme e velato. Egualmente, l’interpretazione di un precetto coranico vieta di raffigurare Allah. All’origine c’è l’abolizione della rappresentazione del corpo, e per questo l’arte islamica si è sviluppata nelle decorazioni floreali, geometriche e epigrafiche.
Se la rappresentazione buffonesca del Profeta e di Dio offende profondamente un musulmano tanto quanto un cattolico si offenderebbe a vedere un disegno della Vergine sodomizzata da tre energumeni (cosa che solleverebbe non pochi dibattiti e censure), nel caso dei “fondamentalisti” è più che mai noto che le reazioni violente sono assicurate.
E’ stato il caso delle vignette satiriche della rivista danese Jyllands-Posten (2005) che causarono manifestazioni di protesta in tutto il mondo arabo, aggressioni agli autori, attentati sventati, e crisi diplomatiche. I disegni furono poi ripresi da Charlie, con uno in particolare, uscito dalla matita di Cabu in cui Maometto si mette le mani nel turbante affranto: «C’ est dur d’ etre aimé par des cons…». «È dura esser amati da dei cretini» (ma «cons» è ben più forte). Questo diede il titolo a un documentario per ripercorrere il processo che nel febbraio 2007 portò in tribunale Charlie e il suo direttore, Philippe Val accusati dall’ Unione delle organizzazioni islamiche francesi di blasfemia.
Il dibattimento fu seguito dall’ opinione pubblica con grande partecipazione e diede il via a una serie di prese di posizione di intellettuali di entrambi i fronti e di politici.
Il primo a far arrivare una lettera di sostegno, auspicando la libertà di «sorridere di tutto» fu Nicholas Sarkozy, allora ministro degli Interni.
E una volta presidente, avendo impostato buona parte della sua campagna sulle questioni identitarie, e di “paura dell’arabo”, nominò Val, direttore di France Inter.
Anche il nostro ministro Calderoli non fu da meno. Per perorare la causa leghista pensò di farsi una maglietta con il Profeta, e mostrarla in tv. La reazione fu violenta, causò dieci morti in Libia, e il ministro dovette dimettersi.
Non ultimo il film Persepolis, della bravissima autrice iraniana Marjane Satrapi, è stato proiettato durante la campagna elettorale in Tunisia, e ha causato manifestazioni dei salafiti. Nel film viene infatti rappresentato Allah e tradotto in modo assai poco compassionevole (cosa inesistente nella versione originale). Minacciati i traduttori, incendiata la casa di Karaoui, uno dei patron della rete Nessma (insieme a Berlusconi e Tarak Ben Ammar) e minacciati di morte diversi giornalisti, la reazione insopportabile ha comunque appiattito il serio dibattito sulla secolarizzazione dei paesi musulmani su temi proposti dall’industria culturale e non ispirati dal diritto.
E anche nel caso di Charlie, se è vero che per chi non è credente non c’è ragione per cui si debba assoggettare a delle regole che non gli dicono nulla, di certo la scorciatoia di concetti tra Charia e diritto civile nei paesi musulmani o sulla natura di Ennhada è stata assicurata dalle vignette del giornale satirico francese.
Invece a ogni esplosione “fondamentalista” immancabilmente corrisponde un dibattito interminabile sulla libertà di pensiero.
Esternazioni sempre più ambigue e sospette in un paese in cui la libertà di informazione si restringe sotto vari colpi. Dal 2007, in corrispondenza con la presidenza di Sarkozy, secondo Reporter Sans Frontière, la Francia detiene il primato di interventi polizieschi e giuridici su giornalisti. Osserva Mona Chollet, del Monde Diplomatique :
“Se i continui attentati a questi diritti non suscitano emozioni della stessa portata della questione delle caricature di Maometto, è perché quest’ultima serve a far emergere la minaccia identitaria, e la paura dell’invasione. Questa presuppone e rinforza l’idea totalmente inventata – bisogna sottolinearlo? – che gli “ integralisti”avrebbero la capacità di islamizzare la Francia e di imporgli la loro legge”.
Il giornalista algerino Selim nel Quotidien d’Oran puntualizza alcuni argomenti che i disegnatori di Charlie potevano considerare senza ricorrere necessariamente a Maometto:
“Ci si aspettava che Charlie Hebdo si confrontasse con l’uomo politico al potere di Ennhada, Rached Gannouchi. Il 23 ottobre i tunisini non hanno eletto “ il profeta Maometto” , ma hanno eletto dei rappresentanti di partiti politici. I nostri amici avevano tutte le carte in regola per chiedersi in quale salsa verranno mangiati i diritti delle donne dai nuovi dirigenti della Tunisia e anche magari mettersi paura per i diritti degli uomini. E in nome della libertà di espressione, si può stabilire che rimettere in questione il Profeta è fuori tema. E che tutto questo era solo animato dalla reazione ostile che alimenta l’odio nei confronti dei musulmani, sia da parte della sinistra che della destra”.
Un altro grande spunto satirico mancato dai disegnatori di Charlie e che riguarda il Nord Africa è l’incredibile frase di Sarkò sul partito islamico Ennahada: “ vigiliremo sui diritti umani”.
E questo dopo aver appoggiato per anni Ben Alì che ha appunto torturato i rappresentati dell’attuale partito.
Non parliamo dell’ambasciatore francese in Tunisia che si è fatto ritrarre in costume da bagno su facebook, non senza aver insultato la metà dei giornalisti in una conferenza stampa.
Per ultimo la questione Charlie Hebdo solleva l’altro grande quesito al quale gli abili disegnatori si dedicano poco: quale differenza c’è tra fondamentalista e antisemita? Se infatti si potrebbe obiettare che ognuno è libero di credere pensare e fare ciò che vuole anche se questo offende la religione e i suoi simboli non si capisce allora come sia accaduto che il disegnatore Siné, colonna portante del giornale satirico, sia stato costretto alle dimissioni dall’ex direttore Val per un argomento giudicato antisemita. Il figlio di Sarkò, Jean, ragazzo dai moltissimi privilegi, convolava a nozze con la rampolla della catena di magazzini Darty. Essendo la ragazza ebrea il giovane dichiarò di volersi convertire al giudaismo. La battuta giudicata antisemita e che comportò le dimissioni di Siné giocava sul pregiudizio delle lobby di potere ebraiche: “ ne farà di strada il giovanotto”.