La  campagna marketing  più crudele e ignorante  degli ultimi mesi  è di sicuro quella di Trenitalia per il treno Frecciarossa (che peraltro copre solo una percentuale  di clientela minima) suddiviso in ben quattro classi.

Queste  classi (o categorie dell’esistenza) sono proposte in  un grottesco crescendo, in cui ogni classe  esclude l’ultima, cioè la “standard”, dai servizi di ristorazione offerti ai viaggiatori ricchi in “executive”.

Nella  “standard” viaggiano i poveri, che sono gli immigrati,  come suggerisce la foto pubblicitaria con famiglia “colorata”, per  poi passare a “premium”, e poi “business” fino all’ “executive” per  i ricchi che lavorano.  

Comunicati, spiegazioni, brochure e repliche  successive alle proteste, come al  solito, sono rivelatrici del  sottosviluppo culturale e civico degli executive dell’azienda. Cioè quelli  destinati  appunto alla classe chic: “i clienti che hanno pagato di più non vorrebbero vedere il bar affollato”.
E come dimenticare  del resto il  premiato manager della Telecom  che faceva una partaccia ai suoi dipendenti  dicendo  che  dovevano  pensare positivo e che dovevano fare come Napoleone “quando vinse a Waterloo”?

Il primo a notare l’assurdità  di Trenitalia è stato il blog dell’Espresso “Piovonorane”. E’ seguita una satira  di grandissimo livello, diffusa su youtube, di Natalino Balasso che si propone come nuovo testimonial Trenitalia:  “basta con le solite due classi, prima e seconda, ora ce ne sono 4: poveracci, poveracci che fan finta di non esserlo, gente che vorrebbe essere ricca, e gente ricca davvero”.  Poi possa a una esilarante lettura del video spot dell’azienda di trasporti: “ sul tavolinetto della classe standard ci sta solo un I-pad, si deve usare in quattro, e devi  trovare uno generoso che ti fa giocare a quella cagata di farmville… In executive poi  arriva la stessa hostess delle altre classi, ma con dei guanti diversi”. Effettivamente l’hostess è la stessa ma in executive indossa guanti bianchi. Per non parlare del lussuoso spazio del silenzio riservato “a suore in viaggio d’affari che vogliono leggere le preghiere”.

Non era  solo una discriminazione di classe, quel video poi ritirato, ma c’ era  anche una dose di  razzismo notevole. Infatti la famiglia nella standard era di immigrati.  Non  dei poveri immigrati, ma  una middle class, apparentemente integrata, alla quale appunto facevano da contraltare i bianchi, collocati però nelle altre classi.

Una mostruosità. “Una scelta di marketing” hanno fatto sapere dall’azienda.  

Dopo che il web si è scatenato in prese in giro, più o meno feroci,  finalmente  Trenitalia ha risposto  eliminando non solo la pubblicità  ma optando  per  una più socialista comunione al bar nel treno  dove tutti possono prendere il caffè.

L’azienda di trasporti ha  accompagnato questa soluzione  non certo con  delle scuse  (quella sì  sarebbe stata una “scelta di marketing”  azzeccata)  ma  con  un penoso  comunicato intitolato ‘Trenitalia ascolta il web’. E questo è il testo: “A poco più di un mese dalla partenza del nuovo Frecciarossa 4 livelli, il servizio della carrozza bar-ristorante sarà disponibile a tutti i clienti. Si tratta di una scelta commerciale adottata dopo questo primo periodo di sperimentazione e dopo aver raccolto i commenti e i suggerimenti dei viaggiatori, anche attraverso il web. Questo conferma la volontà di Trenitalia di offrire un servizio sempre più a misura di tutti e rispondente alle esigenze di un mercato in continua evoluzione”.

Tuttavia il fenomeno va inquadrato in una visione più ampia e non va  solo confinato alla particolare idiozia dell’ad di Trenitalia e  della campagna decisamente sbagliata.

Nella attuale società senza desiderio, come anche è stato documentato dal recente rapporto del Censis (2010), il marketing attuale vuole cogliere la realtà  per catturare i nuovi tipi di  consumatori, ma di fatto,  escludendoli e insistendo su dei tratti che non vanno di certo nella direzione né dei nuovi consumi né del desiderio.

La Twingo di un paio di anni fa ha fatto scuola  in questo senso: una madre in auto con la figlia, nota  un manifesto  per strada che ritrae la figlia nuda. La giovane è atterrita perché teme la reazione della madre  la quale  invece estremamente disinvolta le dice:  “ Non  sapevo che tu  avessi  trovato lavoro”.
Effettivamente coglie la realtà se si pensa  alle madri delle ragazze che hanno frequentato le case di Berlusconi, e l’aspetto  preoccupante è che il marketing trasponga questo tipo di realtà nella sfera del sogno, e del desiderabile. Le strade francesi e italiane erano già invase da studenti che chiedevano futuro e lavoro quando uscì la pubblicità. E le giovani che vendono  il proprio corpo per pagarsi gli studi sono sempre più frequenti sia in Francia che in Italia. Ma  sono loro i consumatori?   
Stessa cosa, per un gruppo di adolescenti dentro una Twingo. Uno di loro alla guida, scorge il padre vestito da Drag Queen in fila  davanti a una discoteca  e lo saluta divertito. Un tema così delicato come quello del figlio che vede il proprio padre cambiare sesso, venne risolto in un divertente   fenomeno da baraccone. I più recenti spot della Twingo, particolarmente attratta dalla società in evoluzione (e anche in involuzione) sono però sicuramente migliori: una monovolume  prevedeva  il recupero di figli di una famiglia allargata. In Italia  ha suscitato le ire di alcuni vescovi  (erano i  mesi dei resoconti dettagliati delle  feste di  Berlusconi) perché incitava alla poligamia.   L’ultimissima berlina Twingo  prevede padre e figlia  che corrono all’altare ma è il padre che sposa un altro uomo con la benedizione della figlia. Anche qui, al  passo, non solo con i tempi come recita il claim, ma anche  con la campagna delle presidenziali, visto che i matrimoni gay sono nel pieno del dibattito.

Della categoria del marketing che deve rispecchiare il reale, rientra anche la Barbie calva richiesta a gran voce  alla Mattel, dalle famiglie delle  piccole pazienti che  fanno cure chemioterapiche. La questione è davvero delicata. Maria Novella De Luca nel suo blog Family life dà una lettura condivisibile: “Ma siamo sicuri che sia questo il regalo che le bambine desiderano, cioè specchiarsi in una bambola che virtualmente prova le loro stesse sofferenze, invece che giocare con pettine e spazzola sui magnificamente finti capelli delle Barbie tradizionali? Io credo sinceramente che quelle piccole pazienti preferiscano pettinare capelli da principessa in attesa che anche i loro capelli ricrescano”.

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