La Tobin Tax prende il nome dal suo ideatore premio nobel per l’economia, James Tobin. L’idea originale, proposta nel 1972, riguardava l’introduzione di un’imposta sulle transazioni valutarie, ovvero sulle operazioni di cambio tra diverse monete. Tale mercato risultava all’epoca particolarmente volatile e destabilizzato: nel 1971 la caduta degli accordi di Bretton Woods, che garantivano cambi fissi tra le principali valute mondiali, aveva provocato l’esplosione di movimenti speculativi. Il meccanismo è semplice: poniamo, ad esempio, che oggi 1 euro valga 2 dollari e che domani ne valga 1,50. Uno speculatore può acquistare 2 dollari spendendo 1 euro il primo giorno per poi compiere l’indomani l’operazione inversa, utilizzando i 2 dollari per comprare 1,33 euro, realizzando così un utile di 0,33 centesimi. Su larga scala, l’ingente richiesta simultanea di cambio di moneta auto-alimentava la perdita di valore della moneta stessa, facendo incrementare ulteriormente i guadagni speculativi e creando seri problemi di stabilità alle banche centrali. L’obiettivo della Tobin Tax era di scoraggiare tali operazioni: una piccola aliquota dell’1% avrebbe impedito la maggior parte delle transazioni valutarie, operanti nel brevissimo termine (anche poche ore) e con margini di profitto inferiori a questa soglia. Nel corso degli anni è poi emersa la proposta di applicare la Tobin Tax alle transazioni finanziarie di tutti i tipi, in quanto il meccanismo speculativo è fondamentalmente lo stesso, basato sulla volatilità dei prezzi dei titoli piuttosto che della moneta.
L’imposta presenta alcune criticità che ne rendono complessa l’applicazione da parte dei governi nazionali. In primo luogo non ha senso applicarla all’interno di un singolo paese: allo stato attuale, non è più possibile evitare che i capitali si spostino all’estero, per cui la nuova tassa avrebbe l’unico effetto di ridurre drasticamente le transazioni. In altre parole, la perdita per il paese risulterebbe maggiore del guadagno. Inoltre, nonostante gli sforzi di azione coordinata, non potendo costringere tutti i paesi del mondo ad adottarla ci sarebbe sempre qualcuno pronto a sfruttare l’occasione per acquisire un vantaggio sugli altri paesi. In quanto limitativa della libera circolazione dei capitali, infine, la Tobin Tax sarebbe contraria agli accordi internazionali assunti nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.
Il dibattito europeo sull’argomento sta procedendo in modo molto lento, anche perché il veto del Regno Unito, dettato dalle ragioni della “City” di Londra, non consentirebbe un provvedimento sotto forma di trattato e vanificherebbe gli sforzi di coordinamento. (luigi borrelli)