Dopo settimane di tatticismi, ipotesi azzardate e tentativi di mediazione mal riusciti, oggi ha preso ufficialmente il via la XVII Legislatura della Repubblica. I neoeletti si sono finalmente insediati in Parlamento e si apprestano ad affrontare il difficile compito di trovare una soluzione al rebus istituzionale, venutosi a creare all’indomani del risultato elettorale di tre settimane fa.
Se il Pd, uscito numericamente (soltanto) vincitore dalla competizione elettorale, può disporre della maggioranza alla Camera dei Deputati, al Senato, a causa dei bizantinismi della legge elettorale vigente, il pallino è finito in mano al Pdl con il Movimento a 5 stelle, partito più votato nel Paese, intento a rifiutare qualsiasi accordo con le altre forze politiche. Il movimento di Grillo, dopo aver respinto al mittente fino all’ultimo momento tutte le avances di Bersani, voterà i propri rappresentanti alla Camera e al Senato. Domani, 16 marzo, le Camere dovranno, infatti, affrontare il primo adempimento della legislatura: l’elezione dei presidenti delle due assemblee. Almeno fino a questo momento però, la scelta delle due alte cariche istituzionali appare una vera e propria “missione impossibile”: nelle prime tre votazioni ,due previste oggi e una domani, sono richieste maggioranze molto larghe (due terzi dei voti alla Camera e maggioranza assoluta al Senato). I “grillini” hanno già comunicato i propri candidati : Roberto Fico , di Napoli, alla Camera e Luis Alberto Orellana , di Pavia, al Senato.
Se il Pd ha annunciato di voler tentare la trattativa a oltranza con il M5S per superare lo stallo, non è escluso che dopo i primi scrutini possa esprimere dei candidati propri. Il Pdl, infine, sembra puntare su Renato Schifani e Renato Brunetta per guidare le proprie truppe rispettivamente al Senato e alla Camera dei deputati.
La fine del bipolarismo in Italia
Nell’attesa che i partiti trovino una via di uscita dal pantano in cui sono caduti, non può non saltare all’occhio che il risiko parlamentare di questi giorni è il frutto di un mutamento decisivo sancito dalle ultime elezioni politiche: la fine del bipolarismo in Italia. La Seconda Repubblica si è retta sulla netta divisione del campo politico, in due schieramenti opposti : da una parte il centrosinistra guidato dal Pd e dall’altro il centrodestra trainato da Berlusconi. Oggi non è più così. L’arrivo in Parlamento dello tsunami a 5 stelle ha ridisegnato il quadro politico italiano, ormai diviso in tre grandi aree di consenso. Di fronte a un Paese sprofondato in una crisi economica, sociale e culturale senza precedenti, il modello dell’alternanza fra due poli o addirittura fra due soli partiti, non funziona più. Il sogno bipolare degli ultimi vent’anni è definitivamente tramontato trascinando con sé quel che resta della seconda Repubblica.
Da dove viene il mito dell’alternanza?
Se, fin dalle origini risorgimentali, la democrazia parlamentare italiana è sempre stata refrattaria ad un modello bipartitico, a causa dell’eterogeneità economica e culturale del Paese, con la fine della prima Repubblica, fra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, la crisi di legittimità dei partiti dell’epoca spinse la politica a superare il sistema proporzionale adottato fino ad allora e fu introdotto il sistema maggioritario che ha condotto al sistema bipolare durato fino ad oggi. Lungi dal risolvere gli endemici mali italici, i vent’anni di bipolarismo ci consegnano un Paese ancora più ingovernabile di prima, con un debito pubblico fuori controllo e una corruzione dilagante rispetto alla quale le magagne della prima Repubblica sembrano roba da chierichetti. L’ideale di una democrazia dell’alternanza, in cui due grandi partiti, Pd e Pdl avrebbero dovuto gradualmente egemonizzare i due campi politici avversi fino ad arrivare al bipartitismo di stampo anglosassone, ha soltanto esasperato il confronto politico trasformandolo in un duello all’ultimo sangue fra le opposte fazioni.
Lodato dai suoi sostenitori per la semplificazione del quadro politico e per la possibilità di garantire la governabilità, il bipolarismo ha il difetto da un lato di ridurre la pluralità delle posizioni politiche e dall’altro di rendere le maggioranze schiave delle formazioni numericamente più piccole.
Anche nei Paesi, come il Regno Unito, dove la democrazia dell’alternanza è considerata la norma, i problemi non mancano (il sistema politico britannico può essere considerato bipartitico solo per approssimazione, è una specie di bipolarismo spurio). In realtà, infatti, il meccanismo elettorale basato su piccoli collegi uninominali in uso “oltre la Manica”, ha prodotto spesso risultati deludenti. Non di rado infatti, piccole formazioni locali hanno goduto della rappresentanza parlamentare a scapito di partiti più grandi forti di un diffuso consenso a livello nazionale ma incapaci di vincere nei singoli collegi locali. Questi partiti sono spesso rimasti esclusi dalle istituzioni. Si è prodotto, così, un bipartitismo tendenziale, condizionato proprio dalle piccole formazioni locali.
Duopolio e il codice binario
Un sistema che riduce la pluralità democratica non riuscendo però a svincolarsi da una sorta di “dittatura delle minoranze”. Dove nasce dunque l’esigenza di una democrazia dell’alternanza e perché in questi anni ci è stata proposta come unica via per le nostre democrazie?
Secondo il filosofo Jean Baudrillard, critico francese della postmodernità scomparso nel 2007 (noto per aver ispirato la saga cinematografica di Matrix), il modello dell’alternanza bipolare fa parte di una rappresentazione distorta della realtà, tipica del nostro tempo. Una rappresentazione che cambia seguendo le trasformazioni del sistema. Il turbo capitalismo degli ultimi anni ha prodotto, secondo Baudrillard, una nuova, falsa, rappresentazione della realtà: il simulacro digitale. Il codice binario su cui è basato il funzionamento dei computer, è diventato un modello su cui plasmare l’intera società: così siamo stati sommersi, in questi anni, da sondaggi, test e situazioni in cui poter scegliere fra due semplici opzioni(si/no,). Lo stesso sistema politico si è adeguato al modello semplificato del codice binario: alternanza bipartitica in cui il monopolio rimane quello di un’unica classe politica articolata nella sempre più superficiale distinzione destra/sinistra. Secondo il sociologo francese il sistema bipartitico è un perfetto esempio di duopolio in cui il sistema, che crea al suo interno l’alternativa a se stesso, risulta difficilmente rovesciabile proprio perché più stabile di qualsiasi monopolio.
La Democrazia ha un futuro?
Ma anche questo modello è ormai entrato in crisi se, come sembra, tutte le democrazie occidentali risentono della difficoltà di prendere decisioni efficaci e veloci per rispondere alle esigenze dei mercati. Probabilmente la Democrazia stessa, anche nella sua forma bipolarizzata, non è più in grado di stare al passo con la nuova fase economica che stiamo vivendo. Non è un caso che gli unici Paesi capaci di crescere economicamente, si veda la Cina, sono quelli in cui non esiste alcuna forma di democrazia. Potremmo dunque trovarci ben presto a dover scegliere fra Capitalismo e Democrazia, due concetti che l’Occidente, ha fino ad oggi, considerato complementari. Mentre aspettiamo di sapere se la Democrazia occidentale può avere un futuro davanti a sé, in Italia, possiamo, nonostante tutto, trovare dei segnali confortanti: la fine del bipolarismo ha aumentato la pluralità democratica, checché se ne dica. La divisione del consenso in tre grandi forze elettorali ha, inoltre, contribuito a semplificare notevolmente il quadro politico. Quando le nebbie, da più parti evocate, si saranno finalmente diradate, non è escluso che dal caos di questi giorni possa emergere un assetto politico più pluralistico e nel contempo più ordinato. Un’occasione per sperimentare nuove forme di Democrazia che ci salvino dalla dittatura dei mercati: nonostante i difetti e i problemi che caratterizzano la sua vita pubblica, l’Italia rimane, nel bene o nel male, il laboratorio politico della vecchia Europa.