Non si esce vivi dagli anni Ottanta: citare la canzone degli Afterhours è quasi un obbligo per chi intende scrivere un articolo sugli anni Ottanta.
O forse no, ma in realtà questa introduzione ci serviva solo perché non sapevamo come iniziare il pezzo (avremmo potuto scegliere un attacco che ripetesse dodici o tredici volte la stessa parola, ma riserveremo questo utile stratagemma al momento in cui diventeremo i parolieri di Ligabue), e ora che ce l’abbiamo fatta, andiamo dritti al punto: la televisione italiana di oggi è piena di anni Ottanta. Fino all’orlo e anche oltre. Dappertutto: da Mediaset alla Rai, passando per Real Time (la più anni Ottanta di tutte le reti) e Sky.
Prendiamo The Apprentice, il talent show dell’imprenditoria trasmesso prima su Cielo e poi su Sky Uno, con protagonista Flavio Briatore. Beh, The Apprentice è Jerry Calà. Perché i concorrenti sono tutti potenziali ragazzi del Pony Express che non riescono a trovare lavoro nonostante la laurea con lode, ma sono anche ragazzi della notte, inaffidabili e abbronzatissimi: sulla punta della lingua hanno pronto un “Libidine, doppia libidine, libidine coi fiocchi!” e vogliono tutti il conto corrente dei Bee Gees (ma sembrano essersi sognati addosso). Capittto? Ma soprattutto perché Briatore non è bello, piace. “E da domani, spremere meloni per partorire idee che saranno della Madonna”.
E Antonio Ricci? Parliamo di Antonio Ricci. Se Drive In nel 1983 era la genesi del Berlusconismo, Giass nel 2014 cos’è? La genesi del Renzismo, in quanto programma che non mantiene le promesse? La genesi del Civatismo, in quanto programma che si dissocia da sé stesso? O la genesi del Salvinismo, in quanto programma con un repertorio comico vecchio di dieci anni?
Non siete ancora convinti che il piccolo schermo del 2014 sia dipinto di anni Ottanta? Proviamo a farvi cambiare idea con una veloce sequenza.
Numero uno. Zombie e morti viventi che ballano in maniera spaventosa, con costumi sgualciti e movenze terrificanti: è il video di Thriller o l’ultima edizione di Ballando con le stelle?
Numero due. Carichi di lavoro pesanti, regole severe, metodi duri imposti da un uomo semisconosciuto dal forte accento emiliano-romagnolo: è il Milan di Sacchi o Masterchef?
Numero tre. Un cantante con i capelli strani, M., leader di un gruppo che purtroppo da un po’ di tempo è sparito, i B.: è Mirko dei Bee Hive o Morgan dei Bluevertigo?
(Non pensateci troppo, perché dopo lo spot di Pittarosso è un attimo che Simona Ventura decida di recitare da protagonista in un remake di Teneramente Licia).
Poi, ovviamente, c’è il simbolo degli anni Ottanta, la sottocultura dei paninari, che si contraddistingue – citando Wikipedia – per “l’ossessione per la griffe nell’abbigliamento e in ogni aspetto della vita quotidiana e l’adesione a uno stile di vita fondato sul consumo, il divertimento ad ogni costo e la spensieratezza”. Non vi sembra lo slogan perfetto per descrivere Real Time?
E se è vero che lo stile di vita dei paninari rifiutava “di occuparsi degli aspetti angoscianti dell’esistenza e, più in generale, di ogni forma di impegno sociale” e che il loro obiettivo primario “era godersi la vita senza troppe preoccupazioni”, viene quasi il dubbio che Enzo Miccio e Enzo Braschi siano la stessa persona. D’altra parte, visto che per i paninari l’autenticità e la griffe erano obbligatori negli accessori e nel modo di vestire come sinonimo di ricchezza e status sociale elevato, non ci sorprenderemmo se in una delle prossime puntate di Ma come ti vesti? Carla Gozzi dovesse apostrofare i partecipanti allo show come “truzzi” o “gini”, in attesa di fare il week a Curma con quella sfitinzia arrapation di Paola Marella.
E a proposito di Paola Marella: non è forse l’erede, con il suo Cerco casa disperatamente, di Artemio, il ragazzo di campagna di Renato Pozzetto? Tavolo ribaltabile, taaac, sedia rotante, taaac, posto per commensali che non ci sono, taaac, tovaglia metro, taaac, tac, tac, tac, piatto Fabriano, tovagliolo extra strong, bicchiere di plastica, taaac, vino cartonato, taaac, spaghetti pronto uso, contorno surgelato, tac, tonno e grissini per tagliarlo, tac, tac. Oh, questa si che è vita.
D’altra parte, la tv degli anni Duemila è profondamente debitrice a Il ragazzo di campagna: non solo perché “tutte le volte che muore un gatto tu mi cucini il coniglio” fa venire in mente l’epurazione di Beppe Bigazzi dalla Prova del Cuoco (il vero editto bulgaro non era contro Biagi, Santoro e Luttazzi ma contro Biagi, Santoro e Bigazzi), ma perché la storia del quarantenne che si avventura in un posto nuovo e sconosciuto è un Pechino Express ante litteram.
Ma il piccolo schermo odierno è immerso negli anni Ottanta anche perché noi telespettatori segretamente speriamo che Benedetta Parodi a Bake Off Italia all’improvviso esclami “Ce l’ho qui la brioche”, segretamente sappiamo che Carlo Conti e Ruud Gullit sono gemelli separati alla nascita, segretamente abbiamo la convinzione che ci sia un collegamento tra l’abolizione della scala mobile di Craxi e la conduzione sullo scalino di Maria De Filippi, segretamente siamo sicuri che Pomeriggio Cinque e La vita in diretta siano un po’ nati a Vermicino.
Siamo passati dal Supertele alla Supertele, ma una volta era più divertente.