CO2, la formula chimica dell’anidride carbonica, è il titolo della nuova opera di Giorgio Battistelli, messa in scena alla Scala con la regia di Robert Carsen. Un progetto arrivato in porto dopo molte vicissitudini, e infiniti rinvii, grazie al volano offerto dall’Expo.
Battistelli aveva infatti progettato quest’opera già nel 2007, la prima era prevista nel 2011 (con la regia di William Friedkin, poi di Robert Lepage), nell’era Lissner, poi era stata spostata al 2013, infine la coincidenza con l’Expo (e con i suoi slogan) è stata risolutiva, perché l’opera parla della sostenibilità della vita sul nostro pianeta: «L’opera ha una struttura simbolica – dice il compositore – con un filo conduttore che è il rapporto tra uomo e natura: si parte da Adamo ed Eva e si arriva allo tsunami. A guidare lo spettatore è la figura di uno scienziato, David Adamson, che tradotto significa figlio di Adamo. Raccontiamo le deturpazioni che il mondo ha subito e le catastrofi naturali. C’è una danza degli uragani dove sfilano le maggiori calamità che hanno messo in ginocchio varie zone del pianeta negli ultimi 25 anni. E c’è quello che l’uomo ha provato a fare per tutelare la terra: mettiamo in scena il Vertice di Kyoto con i delegati che, discutendo di clima, parleranno ognuno nella propria lingua, inglese, arabo, russo e giapponese. Il finale racconta l’Apocalisse con quattro arcangeli che dialogano con quattro scienziati». Battistelli si è ispirato al libro e al film-documentario An inconvenient Truth di Al Gore, e insieme al il librettista Ian Burton e a Robert Carsen (collaborazione già collaudata in occasione del Riccardo III del 2004), ha creato uno spettacolo assolutamente originale, un’opera-denuncia, multimediale, plurilinguistica, in forma di documentario. L’opera era infatti immaginata come una conferenza del climatologo David Adamson (interpretato con autorevolezza dal baritono Anthony Michales-Moore) che parlava dei problemi ambientali, dell'”ipotesi Gaia” di James Lovelock (che considera la terra come un organismo vivente), della rivolta del pianeta contro i suoi abitanti. Descriveva (in un Prologo, nove Scene e un Epilogo) la progressiva distruzione del mondo, partendo dalla sua creazione, passando attraverso la desertificazione e le calamità ambientali, fino all’Apocalisse finale. Carsen, dal canto suo, ha colto molto bene la dimensione “scientifica” e universale di questa drammaturgia non incentrata su singoli personaggi ma su scene a tema, dove era semmai Gaia, la terra (incarnata in una scena dal mezzosoprano Jennifer Johnston, dal bel timbro omogeneo e vellutato) l’unica, vera protagonista: «CO2 è opera “impegnata”, certo, ma in un senso universale, che va oltre la parzialità dell’interesse politico. In origine – prosegue il regista – c’era l’idea di costruire l’opera a partire da un testo di Al Gore, ma l’abbiamo cambiata proprio per uscire da un’ottica particolare (l’America, la famiglia, quella particolare situazione politica di quegli anni) ed entrare in una dimensione universale, come è proprio di tutte le grandi opere del repertorio. Otello o Traviata, ad esempio, muovono da sentimenti privati che trascendono l’hic et nunc per approfondire temi di portata universale. La differenza è che qui è tutto più diretto». Sfruttando le belle scene di Paul Steinberg, Carsen ha ricreato la dimensione della conferenza scientifica, mettendo in primo piano Adamson con il suo laptop, e alle sue spalle un enorme monitor, sul quale scorrevano delle immagini, delle “slide”, dei “contributi video”. Ma quel monitor, con la cornice di un desktop, era in realtà un secondo boccascena, dove i personaggi, i cori, i danzatori (belle, movimentate, esotiche, le coreografie di Marco Berriel) prendevano vita come tableaux vivants, contrappuntati da filmati di catastrofi, di esplosioni, di universi in movimento, da immagini computerizzate, dalle drammatiche fotografie di Edward Burtynsky, che scorrevano nella scena di Gaia, mostrando parcheggi affollati, dighe inquietanti, discariche di rifiuti, fiumi di fuoco, foreste di pozzi petroliferi, deserti, centrali nucleari.
Battistelli si è dimostrato ancora una volta abilissimo operista, capace di affrontare tematiche scientifiche con un piglio drammatico, di maneggiare tutti gli strumenti della composizione, con soluzioni anche semplici, con materiali elementari, ma sempre di grande efficacia teatrale. Il grande organico vocale e strumentale a sua disposizione (con un ampio set di percussioni), gli permetteva di creare pezzi chiusi molto connotati (arie, concertati, cori) e di sfoggiare una grande varietà di stili e di tecniche di scrittura (sottolineati molto bene dal giovane direttore Cornelius Meister). Passava così da zone orchestrali dense e laviche, a sezioni puramente ritmiche e percussive, alle fitte polifonie parlate nella scena della conferenza di Kyoto (dove i delegati internazionali difendevano più che gli interessi del pianeta, quelli particolari delle rispettive nazioni), alla texture orchestrale lussureggiante e panica nella scena di Adamo ed Eva (interpretata dall’ottima Pumeza Matshikiza, brava nei lunghi vocalizzi), e del Serpente (il controtenore David Dq Lee, sinuoso e incantatorio); al roteante cicaleccio corale nella scena delle casalinghe al supermercato (che elencavano compiaciute la provenienza remota dei loro prodotti preferiti, gli apsaragi dal Messico, le pannocchie dall’India, i fagiolini dallo Zambia, i mirtilli dal Cile, lo zucchero delle Mauritius, le lenticchie verdi dal Canada); alla scrittura sospesa, dal carattere nostalgico e meditativo, nella scena della Tailandia, dove la signora Mason (interpretata con grande intensità emotiva dal soprano Orla Boylan) ricordava il cognato annegato nello tsunami; allo spoglio, arcaico accompagnamento di percussioni che punteggiava il coro monodico nella scena di Gaia; al crescendo parossistico, visionario della scena dell’Apocalisse, scandita su un ritmo di marcia funebre.
CO2 ha avuto un enorme successo di pubblico, sfatando l’idea che sia meglio, soprattutto in periodi di crisi, non avventurarsi fuori dal repertorio noto. Ma non è stata l’unica iniziativa musicale organizzata sulla scia dell’Expo, anche se è stata certo la più pertinente. Tra le cose più interessanti c’è il Festival delle Orchestre Internazionali, ancora in corso, sempre ospitato dal teatro alla Scala, inaugurato all’inizio di maggio con uno straordinario concerto dei Berliner Philharmoniker diretti da Simon Rattle. Memorabile l’esecuzione della Sinfonietta di Leoš Janáček, per il suono caldo, avvolgente degli ottoni, e la grande compattezza delle superfici timbriche, e della Settima di Bruckner, piena di chiaroscuri, di atmosfere molto wagneriane, con temi scolpiti come gesti, e progressioni dinamiche calcolatissime. Il “Festival delle Orchestre Internazionali per Expo 2015” proseguirà fino alla fine di ottobre con 18 concerti, e grandi orchestre come i Wiener Philharmoniker diretti da Mariss Jansons, la Budapest Festival Orchestra diretta da Iván Fischer, l’Orquesta Sinfónica Simón Bolívar diretta da Gustavo Dudamel, la Boston Symphony Orchestra diretta da Andris Nelson, la Israel Philarmonic Orchestra diretta da Zubin Mehta, il Concentus Musicus Wien diretto da Nikolaus Harnoncourt, la Cleveland Orchestra diretta da Franz Welser-Möst. Altra interessante iniziativa è il progetto “Nutrire la musica / Feeding Music – composizioni dal mondo per il Padiglione Italia expo 2015”, Nato da un concorso internazionale di composizione, indetto lo scorso anno su progetto di Divertimento Ensemble: la giuria, formata da Sandro Gorli, Enzo Restagno, Carlo Boccadoro, Ramòn Encinar, Jean-Luc Hervé, Unsuk Chin, Liza Lim, Cristian Morales-Ossio, ha selezionato 50 compositori (tra oltre 600 candidati) da diversi paesi e continenti, ai quali è stata commissionata una nuova partitura per ensemble da eseguire (dal Divertimento Ensemble e da Sentieri selvaggi) in una ventina di concerti tra maggio e giugno. Poi, come spesso accade in Italia, tutto si è fermato: è cambiato il management del Padiglione Italia (Da Antonio Acerbo a Stefano Gatti); si è scoperto che il luogo destinato alle esecuzioni era stato progettato per i convegni ma era del tutto inadatto per i concerti, con un tavolo inamovibile e un’acustica inadatta; il Padiglione Italia ha inviato una lettera di scuse ai compositori («Dear composers, first of all please accept our sincere apologies…») lasciandoli increduli, soprattutto gli stranieri. Allora si è fatto carico del problema Filippo Del Corno, assessore alla Cultura del Comune di Milano (anche lui compositore, e quindi sensibile al problema). Dopo frenetiche trattative, si è deciso che i concerti si terranno tra settembre e ottobre, con un calendario da stabilire, in parte al padiglione delle Biodiversità, in parte all’Expo-Gate, di fronte al Castello sforzesco. Tutti incrociano le dita, sperando che non saltino fuori altre grane… Come sarebbe bello se le opere contemporanee, i festival delle orchestre, i concorsi internazionali di composizione, fossero un consuetudine normale, una parte della vita culturale del nostro paese, indipendente dai grandi eventi (e non una loro appendice), gestita e organizzata da persone competenti, che sappiano, per esempio, quali sono le condizioni minime perché uno spazio sia adatto a un concerto.
I 50 compositori vincitori provengono da tutto il mondo: 11 francesi e 11 italiani, quattro inglesi, tre canadesi, tre spagnoli, due austriaci, due finlandesi, due tedeschi, un australiano, un cipriota, un greco, uno da Hong Kong, un giapponese, un polacco, un russo, uno sloveno, un sud-coreano, uno svedese, uno svizzero e un statunitense.
Trybucki Adrien, Daniel Alvarado, Jagoba Astiazaran Korta, Utku Asuroglu, Maurizio Azzan, Giovanni Bertelli, Leo Birtwhistle, Matej Bonin, Dahae Boo, Stefano Bulfon, Britta Byström, Teresa Carrasco, Alberto Carretero, Unho Chang, Cheng-wen Chen, Paul Clift, Pasquale Corrado, Simone Corti, Gabriele Cosmi, Michael Cutting, Caterina Di Cecca, Omar Dodaro, Garifzyanova Elvira, Melody Eötvös, Miguel Farías, Beavan Flanagan, Gordon Dic-lun Fung, Adriano Gaglianello, Pieniek Grzegorz, Jouni Hirvelä, Maija Hynninen, Panayiotis Kokoras, Yu Kuwabara, Frédéric Le Bel, Ofer Pelz, Alberto Rampani, Evis Sammoutis, Jorge Sancho, Michele Sanna, Antonin Serviere, Daniela Terranova, Charles-Philippe Tremblay-Bégin, Fredy Vallejos, Gabriele Vanoni, Franco Venturini, Charles David Wajnberg, Yukiko Watanabe, Richard Whalley, Nina C. Young, Filippo Zapponi.