Il Parlamento Europeo ha approvato la proposta per la creazione di un sistema unico di vigilanza sulle banche europee, che dovrebbe funzionare a partire da settembre 2014.
L’establishment comunitario, in primis il governatore della BCE Draghi, ritiene questo evento una pietra miliare sulla strada verso la sostenibilità dell’unione economica e monetaria, visto che durante la lunga recessione di questi anni sono stati proprio i terremoti bancari a far vacillare l’intero sistema.
Che si tratti di un passo storico è certamente fuor di dubbio, tuttavia la proposta originale, presentata oltre un anno fa nel corso del famoso Consiglio di giugno 2012, è stata sottoposta ad una massiccia opera di edulcorazione, perdendo di fatto gran parte dell’efficacia.
Nella formula originaria, il nuovo accordo avrebbe dovuto includere, se non tutti, almeno la grande maggioranza degli istituti di credito della zona Euro. Dopo molti mesi si trattative si è giunti al compromesso per cui saranno soggetti alla vigilanza unica solamente i grandi istituti, che dovrebbero essere complessivamente circa 150 in tutta l’area.
Si tratta di banche hanno una quota di mercato rilevante nei paesi di residenza e soprattutto hanno un gran numero di attività transnazionali. In principio, sembra corretto partire dai “colossi” finanziari, rispetto ai quali l’eventualità di un tracollo rappresenta un rischio enorme per la stabilità finanziaria complessiva.
Gli asset di questi istituti sono poi particolarmente complessi da gestire e verificare, per cui una struttura sovranazionale potrebbe svolgere tale mansione in modo più efficace. D’altra parte, le grandi banche sono anche quelle che difficilmente falliscono, proprio per via della multidimensionalità degli investimenti e la capacità di resistenza ad eventuali crisi di liquidità.
Rimangono dunque fuori dal meccanismo di controllo i piccoli istituti, ma soprattutto le banche cooperative e le casse di risparmio, che in molti paesi europei gestiscono una quota notevole dei depositi, specie quando sono radicate a livello territoriale.
Alcuni sostengono che, proprio per il loro gran numero, il rischio sia ben distribuito ed che un singolo crack non può certo intaccare un intero sistema bancario. Questo non è del tutto vero, se si pensa ad esempio che in Spagna sono state proprio le Casse a costringere il governo a richiedere aiuto finanziario all’UE per essere ricapitalizzate.
Tale condizione è stata imposta dalla Germania, sul cui territorio operano istituti di credito cooperativo e casse di risparmio in gran quantità.
La trattativa con la Germania, infatti, rappresenta il fattore chiave che portato al compromesso raggiunto, in quanto il governo di Berlino si era inizialmente dichiarato sfavorevole all’iniziativa. In sostanza, la supervisione bancaria unica è stata utilizzata come merce di scambio dai tedeschi, al fine di ottenere un sostanziale blocco di alcune proposte in campo (come gli Eurobond) e la limitazione di altre, ad esempio i Project Bond, la cui entità è stata notevolmente ridotta.
Inoltre, Berlino ha rinunciato per il momento alla richiesta di un supervisore unico dei bilanci pubblici, da istituirsi presso la Commissione, in grado di approvare o rigettare le manovre finanziarie nazionali non in linea con i target fissati in accordo con Bruxelles.
Da ultimo, esiste una connessione tra l’operatività dell’ESM, ovvero fondo salva-Stati, ed il meccanismo di vigilanza bancaria, che il governo tedesco è riuscito ancora una volta ad implementare per raggiungere i sui scopi. Il fondo, infatti, potrà ricapitalizzare direttamente gli istituti bancari senza passare per i governi (fu un successo proprio dell’ex premier Monti), ma soltanto nel caso in cui gli istituti in questione siano sotto il meccanismo di controllo guidato dalla BCE.
La Germania, da sempre contraria all’intervento diretto senza imposizioni fiscali, è di fatto riuscita a limitare il ruolo del fondo in modo quasi inosservato.
Questione tedesca a parte, esiste poi un problema di efficacia che affonda le sue radici nella teoria economica.
Il fatto che la supervisione bancaria unica sia limitata alla zona Euro non garantisce in merito a futuri salvataggi bancari in altri Stati Membri che non hanno adottato ancora la moneta unica.
In un sistema fondato sulla perfetta mobilità dei capitali, infatti, il tracollo bancario in paese non-euro si ripercuote inevitabilmente sull’intera area, visto che gli istituti possiedono asset in diverse economie.
E’ il caso, ad esempio, di Unicredit, che vanta una presenza massiccia nei paesi dell’est Europa, sia in forma diretta sia attraverso banche controllate. Nel caso l’adempimento delle direttive europee diventi troppo pressante, l’istituto avrà un incentivo a trasferire parte delle attività alle controllate, per cui non vige lo stesso tipo di controllo.
Occorre poi sottolineare che per i correntisti, anche italiani, non cambierà praticamente nulla, essendo impossibile quantificare un generico miglioramento della stabilità complessiva del sistema. Nonostante la crisi, infatti, gli italiani sono ancora oggi sicuri di trovare i loro soldi in banca nel momento in cui volessero ritirarli, ma la creazione di un meccanismo di vigilanza europeo non garantisce certo l’azzeramento del rischio di una crisi sistemica che per fortuna ancora non c`è stata.
I vantaggi di tale operazione, ammesso che riesca a incrementare la sicurezza finanziaria in Europa, saranno indirettamente a favore dei contribuenti: un sistema bancario sano e controllato evita l’impiego di risorse pubbliche per salvataggi repentini e costosi, che si ripercuotono inevitabilmente sui conti pubblici.
Il successo di questo disegno è garantito, almeno sulla carta, dalla regia del nuovo strumento, affidata completamente alla Banca Centrale Europea.
L’istituto di Francoforte ha dimostrato in questi anni la propria credibilità, riuscendo a mantenere a galla il sistema monetario e soprattutto il livello dei prezzi. La politica di bassi tassi d’interesse e l’attivazione delle operazioni di rifinanziamento hanno fatto in modo che l’Euro sopravvivesse a scossoni che non erano nemmeno immaginabili negli anni novanta.
Se l’Europa uscirà ancora unita da questa crisi, la BCE potrà vantare un ruolo determinante, dovendo però diventare ancora più vigile per non sacrificare parte della propria indipendenza sull’altare degli interessi politici.