“L’Uomo d’acciaio”, di Zan Snyder, uscito in sala e presentato in anteprima mondiale al Taormina film fest da tutto il cast (Russell Crowe – nei panni del padre dell’eroe – Henry Cavill – che è il nuovo Superman – Diane Lane e Michael Shannon oltre che dal regista) è la sesta versione del film sull’eroe dei fumetti della Marvell.
La storia è biblica e i riferimenti a Cristo sono continui. Si racconta del pianeta Krypton e delle origini di Superman nato da una coppia che per salvare il pianeta manda il figlio su terra. Atterrato da noi in uno spaziale mezzo di trasporto nel giardino di quelli che saranno poi i genitori adottivi, il bambino Clark Kent da subito manifesta poteri diversi dagli altri. Un po’ autistico e molto tormentato il giovane Superman legge Platone, salva un pullmino pieno di compagni di scuola che era caduto in un fiume, ma Kevin Kostner, ovvero suo padre adottivo per difenderlo dal sospetto e dalla diffidenza gli inculca la censura dei suoi poteri. Agire è morire. Si condannerebbe all’esclusione dalla comunità degli umani. Così, tormentato dalle ingiustizie del mondo e dalla consapevolezza di poter far qualcosa di grande ma con il diktat paterno di non farlo quando è adulto, Clark se ne va in giro per il mondo sotto mentite spoglie fa buone azioni e comincia la vera ricerca di se stesso. Ed è allora un Cristo amletico nel memorabile incontro con l’ ombra del padre che appare nel momento del dilemma. Essere o non essere. Agire o dormire. Russell Crowe, il vero padre kryptoniano che gli svela il mistero della sua origine celeste, appare in un’ atmosfera metafisica da ultimo giorno: “sono la coscienza”, “sono l’ombra di tuo padre che assieme a tua madre ha deciso di mandarti sulla terra”. E allora è Cristo ancora una volta quando il padre celeste gli assegna la missione di tenere insieme la terra e il cielo, gli uomini e il cielo, di capire i suoi limiti e di capire il dolore. E’ Cristo quando scopre che deve sgominare – diavoli- crudeli sanguinari capitanati dal temibilissimo generale Zod. Sono loro il male. Puniti un tempo quando Krypton ancora faceva valere le sue leggi, sono tornati a riprendersi la terra per dare nuova vita a Krypton e comandare. E’ un Superman spudoratamente Cristo quando entra in chiesa a chiedere aiuto a un prete dopo che i malvagi sono entrati nelle tv del pianeta mandando un messaggio che riempie di angoscia : “non siete soli”. E poi: “stiamo cercando un uomo. Sua è la colpa”. Così con l’Fbi alle costole e tutti i servizi segreti planetari Superman si confessa davanti a una vetrata che rappresenta Gesù inginocchiato a Gestemani: “ Sono io quello che cercano. Cosa devo fare? Non so di chi fidarmi” . E il prete “ per sapere di chi ti devi fidare, devi prima fare un atto di fede”.
Ma cosa deve salvare veramente Superman? La razza. E’ questa una parola che ritorna di continuo. Nessuno dice mai “popolo”, “gente”, “umanità”, “uomini”. Razza, “race” in inglese, è la parola che il parlamento francese sta cercando di cancellare dalla Costituzione in quanto (diventata, negli anni Trenta del Novecento, ndd) costruzione culturale senza alcun fondamento ma che l’industry hollywoodiana ci propone martellante tra effetti speciali e allusioni mica troppo nascoste. Si tratta di due mondi entrambi potenti che si confrontano: quello che ha la visione di Superman deve avere la meglio sui kryptoniani che sono cattivissimi distruttori. E a quale razza appartengono questi kryptoniani? La scena madre lo spiega. Siamo a Manahattan, cuore del pianeta, Gerusalemme postmoderna mentre la distruzione è in corso. Crollano i grattacieli attraversati da navicelle infiammate. Qui rivediamo una ripetizione in scala gigante delle news arcinote incise nell’immaginario mondiale dell’ 11 settembre. C’è il palazzo che crolla mentre la gente fugge. C ‘è l’uomo coperto di polvere bianca che si aggira tra le macerie, i soccorsi, gli eroismi, le voci, le sirene e una desolazione mai vista. Qui Superman nel cuore del flagello kryptoniano sfida tutti con forza mai vista, ma soprattutto sale al cielo, meglio dire, ascende in un alone luminoso come l’iconografia religiosa ci ha sempre mostrato.
Sorprende inoltre che un messaggio così evidente non sia stato captato nei fiumi di analisi e di recensioni al film. Così come nessuno ha riflettuto sull’Oscar a un film mediocre come Argo basato su una success history della Cia montata ad arte e finta da un chilometro di distanza. Mentre a un film sublime e completo per la complessità con cui si sono narrate le cose, come Zero Dark Thirty di Kathryn Bigelowsulla cattura di Bin Laden, non abbia ricevuto nessun riconoscimento. Così la giustificazione alla guerre fallimentari sembra essere la vera tendenza di Holywood assieme all’obiettivo di imprimere nel mainstream l’angoscia americana del cattivo di un’altra razza e di un’altra religione. E non è certo il “comunismo” che ritorna nell’ansia americana, come ha erroneamente evocato Paolo Mereghetti nella recensione a Superman sul Corriere della Sera.