Andrea, il ragazzo con i pantaloni rosa, non si è ucciso per questioni di bullismo e omofobia. Questa è la conclusione dei pm romani che stanno indagando sulla genesi del suo gesto, ammesso che sia mai possibile realmente conoscerla. Dopo il suicidio di Andrea, qualche settimana fa, la rete era inondata di foto rosa per ricordarlo. Soprattutto, all’allarme omofobia e bullismo si accavallavano messaggi di sdegno contro i suoi compagni di classe e contro il corpo insegnante. Contro una professoressa in particolare che aveva invitato il ragazzo, che però non era affatto certo fosse gay ma solo eccentrico, a non mettersi lo smalto sulle unghie, a scuola.
Se la questione dell’omofobia esiste e viene rimossa dalle istituzioni, se la Cei si sta organizzando attorno a Monti contro l’ipotesi Vendola e Benedetto XVI si accanisce contro la libertà degli individui, è però etico o utile manipolare il suicidio di un ragazzo per mediatizzare le campagne contro l’omofobia? O sarebbe stato più corretto invece iscrivere la scelta di Andrea nella grande questione dei suicidi, e ancora di più, di quelli degli adolescenti, fatto tanto frequente quanto ignorato, e cercare di capire quale tipo di prevenzione può mettere in atto la società?
In realtà l’ “appropriazione” del gesto del suicida sembra sempre di più una pratica contemporanea. Spendibilissima nella comunicazione di massa, si basa sul senso di colpa di ciascuno di noi chiamati a riflettere – osservando le conseguenze della disperazione degli altri – sulla nostra qualità di essere umani. Urge perciò l’assoluzione. Si deve trovare un colpevole esterno, un nemico qualsiasi che dia una facile spiegazione al gesto. A sostegno di questa deformazione mediatica c’è sempre un episodio scatenante. E’ stato il caso dell’infermiera londinese della clinica in cui era ricoverata Kate Middleton raggiunta da uno scherzo telefonico di due dj australiani che nei finti panni della regina e del principe Carlo si interessavano delle condizioni di salute di Kate. Jacintha Saldanha, l’infermiera di 46 anni si è uccisa, dicono i media, una volta scoperto si trattava di uno scherzo. I dj accusati di esserne i responsabili, sospesi dalla radio e minacciati di morte. Lo psicopatologo Massimo Ammanniti, per fornire una spiegazione, si è avventurato nell’ipotesi di “onta universale” provata dalla suicida.
Ma siamo sicuri che una simile personalità non avrebbe comunque compiuto lo stesso gesto per una qualsiasi altra ragione in un qualsiasi altro momento? Ma non sarà decisamente malposta la questione del suicidio?
Quando si è verificato il triste episodio di Andrea, Goleminformazione ha preso le distanze dalla unanime certezza ( per di più confermata dalla parole della madre di Andrea: “me l’hanno ammazzato”) che il suicidio del ragazzo avesse origine in un – mediaticamente – identificabile branco omofobo di bulli. Secondo il parere della psicoterapeuta e criminologa Luana De Vita non solo tutto era ancora da capire ma faceva riferimento alla necessità di inquadrare il tutto nella complessa questione dei suicidi, seconda causa di morte tra i giovani dai 15 ai 25 anni, un dato non solo proprio al nord Europa. In Italia l’8% di tutti i decessi tra i ragazzi nella fascia di età 10-24 anni è determinato dalla scelta consapevole di togliersi la vita.
Allora è il suicidio che socialmente viene vissuto come tabù e che si traduce poi nella mancanza di risorse elargite per attuare programmi di prevenzione nelle scuole.
Questo accade anche Francia, che ha il primato europeo di suicidi avvenuti con “successo” dove – nel dipartimento della Charente – un professore di classe “troisième” ha deciso di sottoporre i ragazzi di 14 anni a un singolare esperimento in un compito in classe. Il professore ha adottato un punto di partenza: mettersi nei panni del suicida.
“ avete appena compiuto 18 anni. Avete deciso di farla finita. La vostra decisione è irrevocabile. In un ultimo slancio vitale decidete di spiegare le ragioni del vostro gesto. Fate il vostro ritratto, descrivendo il disgusto che provate per voi stessi. Il vostro testo traccerà alcuni avvenimenti della vostra vita all’origine di tale sentimento”.
Alcuni genitori hanno reagito, parlato alla stampa nazionale affermando che scrivere l’ultima lettera, significava, per chi avesse già deciso il gesto, una semplice formalizzazione prima di passare all’atto. Inoltre questo tipo di compito non era stato preceduto da nessuna sensibilizzazione. Il professore è stato così temporaneamente sospeso. Altre associazioni di genitori della scuola hanno però reclamato il rientro immediato del professore “oggetto di una campagna mediatica “sproporzionata”, sottolineando che sia alunni che genitori sono legati al professore del quale “apprezzano le doti”. Ricordando il grande vuoto nei programmi scolastici per far fronte al tabù del suicidio, hanno condannato la decisione di sospensione identificandola una cattiva risposta data dall’amministrazione di fronte alla pressione di una parte dell’opinione”.
Anche in Italia è rimbalzata la notizia con toni di disappunto qua e là, che però hanno messo in luce ancora di più quanto lontana sia la percezione del problema.
L’esempio da manuale (anche di giornalismo) viene da Panorama. Qui una giornalista ravvicina l’iniziativa del professore francese con “l’idiozia” – dice – di un insegnante che ha proiettato un video anti aborto con feti e sangue ovunque (come i manifesti affissi per le strade della capitale dai Movimenti della Vita) ma soprattutto, ravvicina l’ esperimento con quello di un paio di professori Usa che hanno svelato che Babbo Natale non esiste.
“Il compito in classe del professore francese” dice la psicoterapeuta Luana De Vita “è da approvare perché ha messo in luce un tabù come quello del suicidio che in Francia è frequentissimo. Premesso che i suicidi non è affatto detto che lascino delle lettere, quello che non approvo di questo professore è l’aver indotto degli adolescenti che vivono spesso in uno stato di confusione e di disagio con il corpo, gli altri, la famiglia etc a fare delle riflessioni sul disgusto nei confronti di se stessi, e quindi sulla loro percezione di fallimento. Inoltre, non è detto che un insegnante abbia la capacità di individuare il disagio del ragazzo, una volta manifestato, e soprattutto di saperlo gestire. Molto meglio invece sarebbe stato far raccontare come si reagirebbe di fronte alla decisione di un coetaneo che vuole o che si è tolto la vita. Di certo però l’esperimento criticabile di questo professore non è niente rispetto alla gravissima macelleria emotiva compiuta dai media contro i compagni di Andrea, additati dal mondo intero come i responsabili della morte del loro compagno”.