Mentre a Palazzo di Giustizia prendeva il via il processo Ruby alla Scala andava in scena il Rosenkavalier di Strauss. Due “spettacoli” apparentemente senza relazione tra loro. Ma in realtà con una forte analogia, se si considera che entrambi i plot ruotano intorno agli amori di uomini (e donne) maturi o anziani per donne (e uomini) giovani e giovanissimi.
E che entrambi appaiono come una desolata narrazione della fine di un’epoca, con personaggi grotteschi e intriganti di contorno. Attraverso il soggetto settecentesco (una commedia per musica ambientata nella Vienna di Maria Teresa) e una fantasmagorica rete di rimandi stilistici, intessuta insieme da Hofmannsthal e da Strauss, Der Rosenkavalier racconta in effetti il tramonto dell’Austria all’inizio del XX secolo (l’opera è del 1911). Dimensione crepuscolare molto ben sottolineata nell’allestimento scaligero: Alejandro Stadler ha ripreso e adattato il celebre spettacolo realizzato dal rimpianto Hebert Wernicke nel 1995 per il festival di Salisburgo, successivamente presentato anche a Parigi e a Madrid, e approdato per la prima volta in Italia. Uno spettacolo che riusciva a rievocare atmosfere aristocratiche ma eliminando ogni pompa, che mostrava immagini di saloni, corridoi, sontuosi lampadari, ma riflesse in un geniale gioco di specchi che avvolgevano tutto lo spazio scenico e che ruotavano e si combinavano generando ambienti sempre diversi.
L’eterno gusto del travestimento.
Gli elementi descrittivi e comici dell’opera erano restituiti in alcuni casi attraverso invenzioni originali (come l’elegante pulcinella che sostituiva il paggetto moro della Marescialla), altrove con mano un po’ farsesca (nella recitazione caricaturale del giovane Octavian, quando si travestiva da cameriera, nei grossolani atteggiamenti di Ochs e dei suoi lacché in abiti tirolesi e perennemente ubriachi, nella breve “degenza” di Ochs ferito nel deretano – non sul braccio – e curato da una buffa equipe di medici con enormi siringhe). Ma erano commoventi le scene intimistiche e più drammatiche: il monologo della Marescialla nel primo atto; la disperazione di Sophie nel secondo, quando si vedeva costretta a sposare un uomo vecchio e odioso, e si accasciava a terra quasi inanimata; la magnifica scena finale, che si svolgeva all’aperto, tra due grandi viali alberati e due carrozze che portavano via in direzioni opposte Faninal e la Marescialla, lasciando al centro della scena l’appassionato amplesso dei due giovani innamorati.
La ricerca del piacere.
Sul podio, Philippe Jordan (giovane direttore svizzero, attualmente direttore musicale dell’Opèra National de Paris) usava la bacchetta come un sismografo, attento a cogliere ogni risvolto del dramma, con abbandoni e improvvise impennate: una lettura nervosa, scattante, che privilegiava i colori chiari, le trasparenze, la grazia rococò voluta da Strauss, e faceva risaltare non solo il motivo di valzer (spina dorsale di tutta la partitura), ma anche molti altri elementi stilistici (per esempio il sottofondo di tarantella associato all’intrigante italiano Valzacchi). Perfetta la caratterizzazione dei personaggi. Peter Rose interpretava un corpulento barone Ochs, dalla voce molto timbrata e sonora anche nei suoni più gravi, goffo, ridicolo negli abiti tirolesi, tanto cinico e tronfio quanto ingenuo nel godere per l’appuntamento con la finta cameriera (nell’illusione di piacere!). Joyce di Donato sfoggiava tutte le sue doti vocali e la sua duttilità espressiva, dando vita ad un Octavian focoso e impulsivo, e insieme divertito.
Barone, un passo indietro bitte.
Bravissimi anche il soprano Jane Archibald, seducente Sophie, Hans-Joachim Ketelsen (Faninal), Peter Bronder (Valzacchi), Marcelo Alvarez che cantava la sua celebre aria «Di rigori armato il seno», entrando nella affollata camera della marescialla come una celebrità, con agente e fotografi al seguito. Su tutti spiccava la Marescialla di Anne Schwanewilms, con la sua voce radiosa, dal timbro leggermente brunito, con un fraseggio elegantissimo, pieno di sfumature espressive, una recitazione da grande attrice, che si ammirava nei gesti minimi, aristocratici, negli sguardi carichi di nostalgia, nella postura nobile e dolente. Magnifica nell’esprimere lo struggimento di una donna matura che sente svanire la sua bellezza, ma che con dignità si fa da parte. E che consiglia al vecchio, ottuso barone di fare altrettanto («Er darf’ in aller Still’ sich retirieren, Versteht Er nicht, wenn eine Sach’ ein End’ hat?» – Potrebbe ritirarsi in silenzio. Ma non si accorge se una storia è finita?…»): un passo indietro.