Oggi in Italia le inserzioni e gli spot online sono la seconda forma di comunicazione pubblicitaria. Con un investimento anche limitato, infatti, le aziende riescono a raggiungere direttamente il target di consumatori desiderato grazie ai profili commerciali tracciati dalle web societies sulla base di dati personali, di cui noi stessi concediamo lo sfruttamento quando accettiamo i termini e le condizioni di utilizzo di servizi telematici. Non a caso, il 73% delle risorse globalmente investite nel mercato pubblicitario online va a players internazionali come Google, Yahoo, Microsoft e Facebook. Queste società sono da tempo nel mirino di istituzioni e associazioni di consumatori per abusi nella richiesta e nell’utilizzo delle informazioni personali.
L’ultima novità in tema di sfruttamento di dati viene dal gruppo Google. Dall’11 novembre prossimo, infatti, le informazioni personali degli iscritti al social network Google + potranno essere utilizzati dagli inserzionisti. Se per esempio un utente segue l’account di un ristorante o di un albergo su Google +, il suo nome, la sua foto, e suoi eventuali commenti, potrebbero comparire nelle inserzioni pubblicitarie dell’azienda in questione. Le nuove regole varranno anche per tutti gli altri servizi offerti dal gruppo: non stupitevi dunque se doveste trovare in una pubblicità un vostro commento al trailer di un film che avete visto su YouTube. Tutto, ovviamente, a meno di indicazione contraria degli iscritti, che proprio l’11 novembre saranno chiamare ad esprimere la loro preferenza. Google ha dichiarato inoltre in una nota informativa che saranno automaticamente esclusi gli account dei minorenni e che ciascun utente potrà controllare l’utilizzo dei propri dati tramite un’impostazione chiamata “conferme condivise”. A settembre il Gruppo di lavoro G29, cui fanno parte i Garanti per la Privacy degli Stati Membri, ha chiesto chiarimenti sulle modalità di richiesta del consenso allo sfruttamento dei dati personali e sulla durata di conservazione di questi, che deve avere un limite di decadenza. A tutt’oggi, inoltre, non è stato ancora specificato dal gruppo quali marchi saranno coinvolti nel progetto.
Da Google + a Facebook
D’altro canto, un’operazione del genere era stata già tentata dal social network Facebook. Quando un vostro amico aderisce alla pagina di un prodotto commerciale, questa notizia passa automaticamente sulla vostra bacheca home come se fosse un normale aggiornamento del suo profilo; cosa che non accade invece con i “Mi piace” a personalità famose o altre pagine: si tratta chiaramente di un servizio pubblicitario a pagamento che Facebook offre alle aziende. Il principio è quello di ricreare una sorta di passaparola coatto tra amici, senza che vi sia stato chiesto il vostro assenso; per questo, Facebook è stato citato in giudizio da alcuni utenti che si sono appellati al principio del consenso esplicito, previsto dalla Direttiva Europea sulla protezione dei dati personali emanata nel lontano 1995. La Direttiva sta per essere finalmente riformata, si spera prima delle prossime elezioni europee del 2014; l’orientamento è quello di introdurre nuove sanzioni pecuniarie (fino al 2% del fatturato mondiale annuo) e di responsabilizzare l’utente, che dovrà essere interpellato ogni qual volta che i suoi dati vengono richiesti da terzi o vengono sottoposti a procedura di profiling commerciale. Le sanzioni da sole infatti non bastano; nel 2011 dalla pubblicità online Facebook ha ricavato quasi 1,5miliardi di euro, mentre Google ha realizzato un fatturato superiore ai 29 miliardi di dollari. Queste società rischierebbero davvero molto se gli internauti dovessero disamorarsi dei servizi che offrono; ma se Gmail può essere sostituito da un’altro servizio di posta elettronica, quanti sarebbero disposti a cancellare il proprio account Facebook o a preferire siti di video sharing come Dailymotion a YouTube? Il Parlamento Europeo, che proprio questa settimana ha approvato il nuovo testo, ha voluto specificare che “l’esecuzione di un contratto o la fornitura del servizio non può essere subordinata all’approvazione del trattamento dei dati a carattere personale che non sia strettamente necessaria per il completamento del contratto o del servizio stesso”. Questo permetterebbe ai cittadini europei di utilizzare le piattaforme senza consegnare dettagli privati alle web societies.
Le clausole pericolose
Senza soluzione resta per il momento il problema della raccolta dei dati incrociati, già al centro delle discussioni europee l’anno scorso. Il gruppo Google infatti, a seguito di importanti acquisizioni come YouTube (2006) e Blogger (2003), nel 2012 ha deciso di unificare l’utilizzo dei propri servizi. Una volta iscritti ad un prodotto Google, se non se ne effettua il logout, si accederà a tutte le altre piattaforme del gruppo con quel account (se avete un indirizzo Gmail, per esempio, potete verificare che entrando su YouTube in alto a destra comparirà il vostro nome; ma vale anche l’incontrario). In questo modo Google accumula dati incrociati da ricerche effettuate su siti diversi, grazie ad un’unica autorizzazione, rilasciata nella maggioranza dei casi pensando che fosse valida solo per un servizio. L’Authority francese infatti, incaricata dal G29 di studiare questa nuova policy, sottolineò che per un utente medio era “impossibile” capire le norme e l’uso dei dati raccolti da Google.
Non va dimenticato inoltre che clausole di sfruttamento di dati sensibili sono incluse anche nei contratti di utilizzo di software, come i browser Internet Explorer, di proprietà Microsoft, Google Chrome, o Safari, che è un prodotto Apple come Itunes. Ad esempio, le inserzioni che compaiono al lato della pagina Google, Yahoo o Bing sono scelte sulla base delle ricerche da voi effettuate precedentemente. L’unico modo per proteggersi è utilizzare il browser in modalità incognita o privata, perdendo però così servizi utili come la cronologia delle ricerche. Lo stesso discorso vale per le applicazioni smartphone, vero e proprio terreno di scontro dei collossi Apple, Microsoft e Google, entrata nel mercarto acquisendo il sistema operativo Android. Tutte le preferenze che esprimiamo utilizzando il computer o il cellulare sono dati sensibili a disposizione dei “soliti noti”: Google, Facebook, Microsoft, Apple.
Italia, Francia e la scarsa trasparenza del mercato online
Nella sua relazione annuale, pubblicata a giugno scorso, l’Agcom ha sottolineato che, nel panorama europeo, solo Italia e Francia presentano livelli così alti di concentrazione nel mercato dell’intermediazione pubblicitaria; questa situazione prospera nell’assenza di contratti standard nella negoziazione degli spazi pubblicitari e nella scarsa trasparenza nel sistema di definizione dei prezzi degli stessi. E conclude: “il mercato della pubblicità online assume una rilevanza strategica non solo per gli assetti concorrenziali del web, ma anche per la tutela del pluralismo. Eventuali strozzature concorrenziali nella raccolta pubblicitaria online determinerebbero effetti negativi sia sulla natura stessa, aperta e competitiva, di internet sia sulle informazioni e notizie a disposizione di cittadini e utenti”. La registrazione dei comportamenti degli internauti non ha solo un valore commerciale ma si fa sempre più invadente; una sorveglianza costante su cui scandali come il cosiddetto “Datagate” o caso Snowden gettano una luce sempre più inquietante.