Spine
(Iris, Static, Dark Ground, Falling Angel, This Love, make black white, Loopholes and Lynchpins)
di Tansy Davies
tenore Samuel Boden, percussioni Joby Burgess, sassofono Simon Haram, violino Darragh Morgan, pianoforte Huw Watkins
Birmingham Contemporary Music Group, Ensemble Azalea, Ensemble Concordia, direttore Christopher Austin
cd NMC D 176
BBC Young Composer a soli 23 anni, Tansy Davies, nata a Bristol nel 1973, allieva di Simon Bainbridge e Simon Holt, si è imposta molto rapidamente nella scena della musica contemporanea in Inghilterra. In attesa di vedere prossimamente in scena un suo nuovo lavoro per il teatro, commissionato dalla English National Opera, si può scoprire il suo linguaggio musicale attraverso questo bel cd della Nmc: nove lavori che abbracciano dieci anni di attività, e svelano uno stile originale, effervescente, movimentato, soprattutto nei lavori per ensemble, con elaborate textures, ed elementi presi dal pop e dall’elettronica, dal rock sperimentale e dalla techno music, una «una sintesi tra Xenakis e Prince», come ha suggerito un critico inglese. È una musica molto moderna, graffiante, piena di effetti rumoristici, ma strutturata secondo proporzioni molto calcolate, che si ispirano alla natura, come le architetture di Zaha Hadid. Una musica che sembra evocare rituali antichi, in Dark Ground per percussioni (2005), o danze sciamaniche, nel fitto dialogo tra sassofono solista e percussioni che domina in Iris (2004), concerto dalla sonorità acide, un po’ alla Turnage; una musica che imita la particolare morfologia dei trilobiti (fossili dell’era paleozoica – molto amati dalla compositrice e riportati anche nella copertina del cd – caratterizzati da una crescita dell’esoscheletro, basata su una continua aggiunta di segmenti a partire dalla coda) in Spine (2005), vivace composizione per undici esecutori, gestuale ed estroversa, innervata dai timbri del cimbalom, della marimba e dell’arpa; una musica che trae ispirazione da un dipinto di Anselm Keifer in Falling Angel (2007), pezzo per 17 strumenti dall’impatto quasi sinfonico, insieme brillante e un po’ sinistro, pieno di sonorità sferzanti, di eterofonie, con una scrittura dei fiati spinta agli estremi del registro. Più anonimi, e anche un po’ scolastici, gli altri pezzi racchiusi in questa antologia: i lavori per strumento solista, come Loure per violino (2000), le liriche per tenore e pianoforte, Static and This Love (2010) entrambe basate su poesie di Nick Drake, le rivisitazioni di musiche del passato come make black white per ensemble di viole, che riprende Flow my Tears di Dowland, o Loopholes and Lynchpins (2001) dove vengono rielaborate alcune sonate di Scarlatti.

 

Lohengrin

Wagner_Lohengrin_pentatonedi Richard Wagnerinterpreti: Klaus Florian Vogt, Annette Dasch, Susanne Resmark, Gerd Grochowski, Günther Groissböck, Markus Brüch
Rundfunk-Sinfonieorchester Berlin e Rundfunkchor Berlin, direttore Marek Janowski 

3 sacd Pentatone PTC 5186 403

La Pentatone ci ha pensato per tempo: ha messo in piedi un ambizioso progetto discografico già nel 2011, una nuova incisione delle dieci maggiori opere di Wagner (escludendo Die Feen, Rienzi e Das Liebesverbot), dirette da Marek Janowski (sul podio dell’Orchestra sinfonica della radio di Berlino), con l’intento di completarlo nel bicentenario wagneriano. Ha iniziato col Fliegende Holländer, poi è venuta l’incisione del Parsifal, quindi una bellissima edizione dei Meistersinger con Albert Dohmen, Robert Dean Smith, Dietrich Henschel, Edith Haller (4 sacd Pentatone PTC 5186 402). Ora è nei negozi il Lohengrin, registrato a Berlino nel novembre del 2011. Janowski ne offre una lettura intensamente lirica, cambia i tempi con grande naturalezza, e più che evidenziare i contrasti, ricerca l’equilibrio, evita ogni ruvidezza e ogni eccesso, anche nel tripudio del finale del primo atto, assai controllato. Ma coglie bene le delicate nuances del preludio, l’atmosfera tenebrosa del secondo atto, restituisce una partitura dai colori particolarmente nitidi. Rispetto alle prime due incisioni qui i grandi interpreti wagneriani lasciano il posto a cantanti giovani, molto promettenti: una vera rivelazione è il Re Enrico di Günther Groissböck (classe 1976, allievo di José van Dam), basso dotato di una voce calda e piena, di un bel fraseggio e nobiltà di espressione. Ottima anche Annette Dasch (anche lei del 1976), per la sua tecnica perfetta e una personalità vocale che si sviluppa nel corso dell’opera, soprattutto nelle due scene con Ortrud, e nel terzo duetto con Lohengrin. Più opaca la prova di Susanne Resmark, non abbastanza insinuante nei panni di Ortrud, penalizzata anche da un ampio vibrato e da qualche forzatura negli acuti. Gerd Grochowski è un Telramund dalla voce chiara, non sempre a fuoco, ma con accenti sinistri che giovano alla caratterizzazione del suo personaggio. Il meno convincente di tutti è proprio il protagonista, il tenore Klaus Florian Vogt che si rivela un tenore più mozartiano che wagneriano, un Lohengrin dal timbro leggero e suadente, ma un po’ effeminato, privo di piglio eroico e forza drammatica.


Die Maßnahme
Eisler_Die_Massnahme_mdrdi Hanns Eisler
interpreti: Götz Schulte, Angelika Domröse, Gottfried Richter, Christoph Zapatka
Leipzig Kammerphilharmonie e Coro della Radio di Lipsia, direttore Johannes Kalitzke
cd Mitteldeutscher Rundfunk MDR 1207

Primo frutto della collaborazione tra Hanns Eisler e Bertolt Brecht, Die Massnahme (la linea di condotta) è un dramma didattico (Lehrstück) per tenore, voci recitanti, coro e orchestra, composto nel 1930 e subito seguito da un secondo, Die Ausnahme un die Regel (L’eccezione e la regola). L’impronta pedagogica di questi testi, volti ad indicare agli uomini un preciso modo di agire per cambiare il mondo, fu fonte di infinite polemiche e determinò l’ostilità da parte delle istituzioni, che li considerarono veri e propri esempi di propaganda comunista. Per questo la Maßnahme, dopo la sua prima il 13 dicembre del 1930, non conobbe altre rappresentazioni fino al 1997, quando la riportò in vita il Berliner Ensemble, mettendola in scena in diversi teatri in Germania e nel resto d’Europa. La vicenda racconta di quattro agitatori politici, che cercano di giustificare l’uccisione di un giovane compagno, durante una missione in Cina, reo di aver fatto fallire una loro impresa perché incapace di farsi guidare dalla ragione. Registrata live nel 1998, al Festspielhaus Helleran di Dresda, in occasione del primo centenario della nascita del compositore, questa edizione discografica si apprezza per la lettura caustica nitidissima di Johannes Kalitzke sul podio della Leipzig Kammerphilharmonie e del Coro della Radio di Lipsia. Lettura di una asciuttezza seducente, grazie anche al rilievo dato a fiati e percussioni, e alle voci un po’ ruvide dei quattro agitatori (Götz Schulte, Angelika Domröse, Gottfried Richter, Christoph Zapatka). Nel cd anche una registrazione inedita del dicembre del 1930 (effettuata negli studi della Homocord) con la voce Bertolt Brecht, quella del tenore Erik Wirl, e con l’orchestra diretta dallo stesso Eisler. Nel booklet il testo completo (ma solo in tedesco), un bel saggio di Jürgen Schebera, e una ricca documentazione di foto e disegni d’epoca.


Macbeth
Sciarrino_Macbeth_col_legnodi Salvatore Sciarrino
i
nterpreti: Otto Katzameier, Anna Radziejevska, Richard Zook, Sonia Turchetta
Klangforum Wien, Vokalensemble Nova, direttore Evan Christ
2 cd Col legno WWE 20404

Macbeth è uno dei più bei lavori per il teatro di Salvatore Sciarrino. Rappresentato per la prima volta dieci anni fa nel piccolo Rokokotheater del castello di Schwetzingen, nell’ambito degli Schwetzinger Festspiele, ha circolato su vari palcoscenici in Europa e anche negli Stati Uniti, per approdare nell’agosto del 2011 al Festival di Salisburgo, dove è stato registrato. Questi «tre atti senza nome» si basano su un libretto dello stesso compositore, insieme aforistico e molto intenso, concepito come una vicenda di universale crudeltà, come un racconto sulla banalità del male, «un’opera su tutti gli omicidi e i massacri sui quali si fonda il genere umano». La musica appare una materia trascolorante, mobilissima, fatta di armonici, soffi, glissati che si rapprendono in grandi ondate di suono, con inattese citazioni (da Verdi, dal Don Giovanni di Mozart) che accompagnano le apparizioni dell’ombra di Banquo. I fremiti rapidissimi della scrittura vocale sembrano poi rappresentare la forma sonora perfetta dell’allucinazione e della follia. Ne risultano trame sonore apparentemente sospese, tendenti all’ellissi, come sempre in Sciarrino, ma cariche di tensione, capaci di descrivere una dimensione teatrale insieme sanguinaria e raggelata, che per il compositore corrisponde anche a una nuova idea del tragico: «Oggi il tragico, troppo spesso rimosso, è indispensabile per scuoterci dall’indifferenza. L’orrore si mescola continuamente al quotidiano e, affinché non ne restiamo intossicati, si deve risvegliare la nostra coscienza sociale». Intelligente la direzione musicale di Evan Christ, e ammirevoli i due protagonisti: il baritono Otto Katzameier, per il perfetto controllo dell’emissione e per la recitazione sempre espressiva, anche nel falsetto, e il mezzosoprano Anna Radziejevska, per la sua voce sensuale e timbrata, anche nel registro più grave.


Das Wohltemperierte Clavier
Bach_CBTdi Johann Sebastian Bach
Pianoforte András Schiff
4 cd ECM New Series 2270-73 

András Schiff è sempre stato legato alla musica di Bach. Il pianista ungherese, che quest’anno ha inaugurato anche un ciclo di conferenze-concerto intitolato “Bach Project”, è apprezzato come interprete bachiano sin dalle sue prime incisioni negli anni Ottanta, quando già aveva inciso per la Decca i 48 Preludi e fughe del Clavicembalo ben temperato. È tornato a Bach negli ultimi dieci anni, con uno sguardo da veterano, incidendo per la Ecm le Variazioni Goldberg (nel 2003), le Sei Partite (nel 2009), e ora di nuovo il Wohltemperierte Clavier. La sua nuova interpretazione del capolavoro bachiano (incisa nell’auditorium della Radiotelevisione Svizzera di Lugano, nell’agosto del 2011) mostra una chiara maturazione, perde qual manierismo sentimentale, romantico, anche un po’ lezioso di allora, e cerca un equilibrio quasi classico, comunque lontano da ogni idea clavicembalistica. Schiff suona con grande energia, con una chiarezza estrema, con un precisissimo senso ritmico, sfrutta tutte le risorse del suo Steinway, anche se con un uso moderato del pedale. Cerca di dare un’impronta molto caratteristica a ogni preludio e a ogni fuga, mettendo in risalto i contrasti, gli aspetti cantabili e danzanti dei contrappunti bachiani, differenziando anche i colori di ogni singola voce. E tutto con una straordinaria naturalezza.


Parabolique d’Enfer
Pousseur_sub_rosadi Henri Pousseur
cd Sub Rosa SR318

Compositore belga in prima linea nella stagione dell’avanguardia, accanto a Pierre Boulez, Karlheinz Stockhausen, Bruno Maderna e Luciano Berio, Henri Pousseur (1929–2009) è stato il fondatore del Centre de recherches et de formation musicales de Wallonie, dello Studio di musica elettronica di Bruxelles, ha a lungo lavorato negli studi della Westdeutsche Rundfunk di Colonia, e presso lo Studio di Fonologia della RAI di Milano. Ha posto insomma al centro delle sue attenzioni di compositore tutte le nuove possibilità offerte dalla tecnologia. E ha sempre amato mescolare insieme generi e stili, sfruttando il mezzo elettronico per creare sofisticate ibridazioni tra musiche del presente e del passato, cercando sempre di dare ai suoi lavori un senso espressivo, drammatico, anche di denuncia, come dimostrano i Trois Visages de Liège (1961), che raccontano attraverso i suoni elettronici il dramma degli immigrati italiani in Belgio, le grandi mobilitazioni sociali, l’umanità del popolo di Liegi. Il gusto per la contaminazione si coglie anche negli Etudes Paraboliques, realizzati da Pousseur nel 1972 nello studio di Musica elettronica di Colonia, otto pezzi distinti (che l’etichetta belga Sub Rosa ha già inciso in un box: SR 174), ciascuno con un carattere e un umore diverso, pensati per essere mixati con altre composizioni. Nel 2001 questi studi sono stati sottoposti a una serie di remix da parte dello stesso Pousser e altri tre compositori, Robert Hampson, Philip Jeck, Markus Popp (anche questo ciclo è stato inciso da Sub Rosa col titolo Four Parabolic Mixes: SR 199). Ma prima ancora, nel 1992 il compositore aveva realizzato negli studi di Colonia un mix sofisticato tra questi studi e Leçons d’Enfer (1991) lavoro di teatro musicale (dedicato al centenario della morte di Arthur Rimbaud) per due attori, tre cantanti, sette strumenti (clarinetto, sassofono contralto, tuba, arpa, pianoforte e due percussioni), nastro (con musica tradizionale etiope e registrazioni fatte sul campo in Africa) e strumenti elettroacustici. Mai pubblicato prima, questo lavoro esce solo ora, prima incisione postuma di Pousseur, col titolo Parabolique d’Enfer, e dimostra ancora una volta il gusto per la metamorfosi dei suoni e delle voci, per la descrizione di paesaggi sonori, per il forte impatto teatrale.


Anna Petrini – Crepuscolo

Romitelli_cd_Anna_PetriniSeascape
di Fausto Romitelli
Split Rudder
di Malin Bång
Crepuscolo
di Oscar Bianchi
Superb Imposition
di Dominik Karski
Sinew0od
di Mattias Petersson
flauto: Anna Petrini
cd dB Productions dBCD143

Anna Petrini è una flautista svedese, discendente di Antonio Jacob Petrini (1745-1806), oboista lucchese che fu chiamato alla corte di Gustavo III, a Stoccolma, alla fine del XVIII secolo. La giovane flautista, che ha studiato prima al College of Music di Stoccolma poi, con una borsa di studio, al Conservatorio di Amsterdam, pubblica il suo primo cd nel quale si cimenta con una serie di lavori contemporanei, scritti per flauto Paetzold contrabbasso. Si tratta di uno strumento piuttosto recente inventato nel 1970 da Joachim Paetzold, che ha subito incontrato un grande favore presso i compositori per le sue potenzialità timbriche ed espressive. Il cd si apre con il bellissimo Seascape di Fausto Romitelli, pezzo atmosferico, timbrico, immagine sonora di un paesaggio marino osservato nei suoi recessi più oscuri e misteriosi, capace di cogliere il flusso del vento e delle onde con l’uso dell’amplificazione e del riverbero, e attraverso un’infinità di dettagli, turbolenze, sventagliate rumoristiche, sonorità ovattate, lunghi soffi, rapidissimi arpeggi di armonici. Tra gli altri pezzi, tutti in prima registrazione mondiale, spicca Crepuscolo (2004) di Oscar Bianchi, compositore che ha usato il flauto Paetzold anche in altri suoi lavori (ad esempio in MATRA e nell’opera Thanks to my Eyes): in questa composizione, che dà anche il titolo al cd, Bianchi esplora le immense potenzialità dello strumento, con una scrittura mobilissima, staccata, piena di improvvise sospensioni e di luci caleidoscopiche, capace di sfruttare virtuosisticamente anche le tecniche di spazializzazione del suono. Notevole anche Split Rudder della svedese Malin Bång, che trasfotma i suoni dello strumento, captati attraverso un microfono posto al suo interno, in un discorso molto gestuale, drammatico, pieno di ribattuti e di pulsazioni ritmiche.


An American Romantic
Barber_harmonia_mundidi Samuel Barber
Musiche per coro di Barber
Ensemble Conspirare, direttore Craig Hella Johnson
1 SACD Harmonia Mundi HM 807522

Allievo al Curtis Institute di Filadelfia, vincitore di numerosi premi di composizione tra cui il Prix de Rome americano nel 1935, e per due volte del premio Pulitzer, Samuel Barber è stato uno dei più “europei” tra i compositori statunitensi. Studiò anche per un anno all’Accademia Americana di Roma, e a Roma, nell’estate del 1936, a 26 anni, compose il suo primo Quartetto per archi. L’Adagio di questo quartetto (che contrasta con un primo movimento, decisamente violento) fu trascritto per orchestra d’archi e poi diretto a New York da Arturo Toscanini, sul podio dell’Orchestra sinfonica della NBC, il 5 novembre 1938. Questa pagina risale quindi al periodo giovanile, precede la fase matura di Barber, iniziata negli anni Quaranta con un approccio più sperimentale alla composizione e con qualche moderata avventura dodecafonica. Eppure resta uno dei suoi lavori più noti, più eseguiti, e più originali. L’intera costruzione prende forma a partire da una semplice melodia per gradi congiunti, quasi un cantus planus che si dipana lento e uniforme (privo anche di precise scansioni ritmiche), lasciando insinuare qualche rado controcanto, formando via via un grande arco, che culmina in un climax accordale lacerante, per poi ritornare alla dimensione cupa e malinconica dell’inizio. Tutto il potere di seduzione di questo pezzo risiede nella sua semplicità, nell’estrema compattezza formale, molto ammirata anche dai colleghi di Barber: William Schuman lo definì «un brano musicale perfetto, emozionalmente accurato»; Copland lo trovava scritto «dal cuore, sincero»; Virgil Thomson lo paragonava a «una dettagliata scena d’amore, una scena da letto – ecco perché i direttori amano dirigerla e il pubblico ascoltarla!». L’Adagio di Barber fu usato anche in diverse colonne sonore, come Platoon, The Elephant Man, Amélie. Ma il suo autore non ne fu mai davvero entusiasta, anche se nel 1967 ne fece un arrangiamento per voci trasformandolo in un Agnus Dei polifonico. È il pezzo forte di questo bel cd dedicato alla musica corale di Barber, repertorio raro, restituito con grande sensibilità musicale dall’Ensemble Conspirare, fondato nel 1991 a Austin, nel Texas. Tra i pezzi eseguiti spiccano anche le Reincarnations op. 16 (1940), trittico di madrigali (scritto per il Coro del Curtis Institute di Philadelphia, che Barber diresse per tre anni) basati su testi di James Stephens (sono adattamenti di antiche canzoni gaeliche, con un impianto narrativo che racconta tre storie in musica: di Mary Hynes, Anthony O’Daly, The Coolin) e ispirati allo stile di Monteverdi, Orlando di Lasso e Palestrina. Di grande impatto drammatico è invece A Stopwatch and an Ordnance Map op.15 (1940) per coro maschile e timpani, che mette in musica il lamento di Stephen Spender (dedicato a un caduto nella guerra civile spagnola) su un ritmo di marcia cupo e bellicoso. Il cd comprende anche due prime discografiche, arrangiamenti per coro e orchestra fatti nel 2011 da Robert Kyr di The Lovers (1971), su testi di Pablo Neruda, e di Ester Chorale (1965).

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