Ogni investimento economico implica un rischio, determinato dalla probabilità di perdere (in tutto o in parte) il capitale messo in campo, per esempio a causa di scelte di produzione sbagliate.

Nel mondo della finanza il rischio è costituito dal valore dei titoli posseduti, che potrebbe attestarsi al di sopra o al di sotto del prezzo pagato per acquistarli. Lo “speculatore”, a differenza dell’investitore tradizionale, non mostra la classica “avversione al rischio”, anzi cerca di sfruttare l’incertezza sul valore dei titoli per incrementare il proprio guadagno.

Le piazze borsistiche rappresentano il luogo attraverso il quale agiscono gli speculatori, grazie alla compravendita continua di strumenti finanziari. Le tipologie operative della speculazione finanziaria sono sostanzialmente due, rialzista e ribassista, che spesso vengono adottate contemporaneamente per attività complesse. La prima strategia è messa in pratica da coloro che “scommettono” sul futuro aumento del valore di un titolo: un operatore, che ha acquistato un’azione a 100, spera che tra qualche giorno valga 120, in modo da rivenderla e guadagnare 20. Se invece si configurano aspettative di un calo nel valore, lo speculatore vende immediatamente le azioni in questione, oppure attende che il prezzo raggiunga un valore ritenuto minimo per acquistarle.

Un passaggio successivo è costituito dalle cosiddette “vendite allo scoperto”, che vengono spesso additate come fattore destabilizzante per i mercati. Si tratta di operazioni di compravendita senza copertura per cui, ad esempio, lo speculatore vende in modo differito nel tempo strumenti dei quali non è ancora in possesso, puntando sul fatto che il prezzo stia per calare: acquisterà i titoli necessari subito prima della scadenza prefissata, ad un prezzo inferiore a quello di vendita, lucrando sulla differenza. La tecnica risulta particolarmente efficace e remunerativa nei mercati ad alta volatilità dei prezzi, come quello degli strumenti derivati.

Se da un lato le operazioni speculative possono servire a garantire l’efficienza del mercato, poiché indirizzano le aspettative verso i titoli più “forti”, dall’altro modificano le valutazioni “razionali” sull’affidabilità, rischiando di affondare attività sane o di gonfiare il valore di titoli “spazzatura”, con il solo obiettivo del profitto a breve termine. Questo accade perché i grandi investitori, capaci di muovere ingenti quantità di denaro in pochi secondi, dirottano le aspettative per ricavarne beneficio: ad esempio, vendendo contemporaneamente molte azioni della stessa azienda, si lascia percepire una crisi non giustificata ed il titolo scende rapidamente di valore, poiché le aspettative si auto-alimentano. In seguito gli stessi operatori riacquistano i medesimi titoli, realizzando enormi plusvalenze, senza che l’impresa in questione abbia modificato la propria performance industriale ed economica. (luigi borrelli)

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