L’aspirazione verso gli Stati Uniti d’Europa è indebolita ma ancora notevole nonostante la presenza marcata di forze centrifughe che vedono nell’Europa una prigione capace di impedire alle singole nazioni l’esercizio della propria libertà (o forse del proprio comodo?).
Dovrebbe, invece, essere chiaro a tutti che solo un sistema economico e di persone assai più ampio e coeso può rispondere alle esigenze di un mondo ormai globale.
E’ ovvia conseguenza che l’aspirazione agli Stati Uniti d’Europa debba comportare, anche rapidamente, la cessione di quote sempre più ampie di sovranità nazionale, a favore delle strutture europee centrali.
E’, quindi, condivisibile che siano sottoposti al controllo europeo i bilanci dei singoli Stati, come richiesto da alcuni, Germania in testa.
Ma qui nasce il problema. Se siamo tutti (molti) favorevoli ad un sistema sovrannazionale che ci diriga, ma anche ci renda più forti perché più numerosi e compatti, nessuno (pochi) vuole giungere ad una situazione nella quale l’Europa unita sia diretta da una o alcune nazioni egemoni, mentre tutti gli altri ubbidiscono.
Si tratta del sistema che ha generato il tristemente famoso: “E’ l’Europa che ce lo chiede”.
E questo non solo per la perdita dell’autonomia, che una tale situazione verrebbe a generare in ogni stato membro, ma piuttosto per il motivo (neanche tanto infondato) che chi comandasse subirebbe la forte, insidiosa tentazione di gestire l’Europa a vantaggio proprio e scapito altrui. Anche solo imponendo mentalità e abitudini che non sono a tutti connaturate.
Un’ipotesi che somiglia tanto al contesto attuale.
L’unica soluzione deve risiedere nel bilanciamento della cessione di sovranità con l’incremento dei poteri esercitati da istituzioni dell’Europa che siano diretta espressione dei suoi cittadini.
Cioè un sistema parlamentare o presidenziale che riproponga quanto avviene negli stati europei, derivi dalla scelta elettiva dei popoli e, come tale, sia legittimato a prendere provvedimenti che incidano intensamente sulla loro sorte.
E’ frustrante che ci facciano votare per un Parlamento europeo che poi decide ben poco delle reali questioni che coinvolgono tutti noi nel profondo; sembra una beffa per quanti sono chiamati ad eleggere chi, in fondo, non conta più di tanto.
Discende, come necessario corollario dall’attribuzione di ogni potere a organi europei direttamente eletti, che i singoli stati, qualunque ne sia il peso economico, restino fuori dalla gestione dell’Europa.
Non assisteremo più al penoso spettacolo di due capi di governo che si appartano e impongono a tutti la propria volontà seguendo un interesse spesso solo elettorale con l’intento di compiacere la propria parte politica nazionale.
Si dovrebbero, dunque, eliminare perché inutili o peggio dannose, quelle istituzioni come il Consiglio europeo o il Consiglio dell’unione europea che, al massimo potrebbero svolgere funzioni unicamente consultive purché non vincolanti.
Non siamo tanto ingenui da credere che intrusioni di singoli stati, specie se potenti, non ci saranno più, ma queste risulteranno filtrate attraverso le formazioni politiche sovrannazionali presenti in Europa, che ne potranno meglio condizionare il peso e la virulenza.
La forza economica sarà sopravanzata da quella dei numeri (dei votanti) come avviene in ogni democrazia che si rispetti, ove non comanda (o meglio, non dovrebbe comandare) chi è più potente o ricco ma chi ha la maggioranza.
Insomma una situazione nella quale la capacità di uno stato di condizionare l’Europa non sia superiore a quella di una regione italiana di imporsi al Parlamento.
Poiché, alla fine, gli unici deputati a decidere delle nostre sorti saranno i rappresentanti eletti direttamente dai popoli europei, questi ultimi non potranno dolersi delle decisioni dei primi, più di quanto ci lagniamo del Parlamento italiano, della cui composizione siamo direttamente responsabili.
Sembra che in questa direzione stiano già timidamente dirigendosi gli attuali organi europei. Tanto che si parla di una nomina diretta, con voto a suffragio universale, per il presidente della commissione europea, a partire dalle prossime elezioni del 2014.
Ahi, ahi. Questo è preoccupante. Se anche gli stati ora egemoni spingono alla costituzione di un sistema siffatto, qualche trucco c’è. Forse si pensa che un presidente della commissione europea direttamente eletto e autorevole possa imporre il controllo sui bilanci ma al contempo essere sempre e meglio condizionato da chi ha più potere economico?
Appunto, la soluzione ipotizzata è troppo poco. Fa permanere l’invadente presenza di singoli stati nazionali in un organismo che dovrebbe essere unicamente sovranazionale.