E’ iniziato con un comunicato del Consigliio nazionale forense che chiedeva chiarimenti in merito all’interpretazione della legge comunitaria ed è continuata con quello dell’Associazione nazionale avvocati italiani che chiede la mobilitazione e lo sciopero
Il presidente del Cnf Guido Alpa lo scorso venerdì parlava di confusione a proposito dell’interpretazione della legge comunitaria che contiene una disposizione sulle società di cui facciano parte avvocati (stranieri) stabiliti in Italia.
“La nuova disciplina (l’ art.5 della “legge europea” del 6.8.2013 n.97) – ha scritto il presidente Alpa per tentare di chiarire – rimuove un requisito previsto dalla legge sullo stabilimento e l’esercizio della professione forense, e cioè la necessaria presenza di un avvocato italiano nella compagine societaria di avvocati stranieri. L’innovazione, introdotta sulla base di un caso pilota risolto con il sistema Eu Pilot (1753/11/Mark), non modifica la regola secondo la quale per svolgere la professione forense in Italia anche in forma societaria occorre essere avvocati e non rimuove il divieto che altri professionisti o soci di mero capitale possano partecipare alle società di avvocati .
In altri termini la legge comunitaria e la prospettazione di un caso pilota non incidono (né potrebbero ) sul testo della riforma forense (l.247/2012) né sulla sua attuazione. La questione non si intreccia con quella relativa all’attuazione della riforma forense, la quale pone principi molto precisi – e di deroga al regolamento sulle società tra professionisti – riguardanti le società di (soli) avvocati.
Altro discorso riguarda l’attuale normativa concernente le società di avvocati italiani. – ha continuato Alpa – La legge di riforma affida al Governo il compito di emanare un decreto delegato in cui si fissano regole speciali , sicché se il termine per la delega è scaduto non è possibile applicare la disciplina prevista per le società tra professionisti appartenenti ad altre categorie. Da febbraio l’ Avvocatura italiana sta aspettando il decreto delegato, e per questo il Consiglio nazionale forense si è attivato con il Ministero della Giustizia, offrendo la propria collaborazione e sollecitando gli Uffici perché portino a compimento la riforma su questo punto.
E’ impensabile dunque che il Ministero della Giustizia abbia preferito – silenziosamente e proditoriamente – aspettare la scadenza del termine per applicare agli avvocati regole diverse da quelle che il Parlamento ha approvato. Si tratterebbe di un omissione volontaria di un dovere, – ha concluso Alpa – oltre che di un atto politicamente astruso. Un chiarimento del Ministero è dunque necessario, per evitare confusione, e per evitare che fidando su (o profittando di ) di interpretazioni inesatte o avventurose siano costituite oggi società professionali che sarebbero nulle, con grave danno per i cittadini che vedrebbero travolti i loro diritti nei procedimenti promossi da avvocati operanti nell’ambito di una società nulla”.
Dura la presa di posizione l’Unione delle Camere penali:
“La notizia del mancato esercizio della delega da parte del Governo, in tema di regolamentazione di società tra avvocati, si pone in netto contrasto con la volontà che il Parlamento aveva espresso al momento della approvazione della riforma forense. – si legge nel comunicato – La decisione di escludere la partecipazione di soci di capitale non professionisti nelle società tra avvocati era infatti una delle più qualificanti dell’intera riforma, e nasceva sia dal rilievo costituzionale della difesa sia dalla necessità di assicurare alla stessa il massimo grado di autonomia ed indipendenza interna.
La circostanza che la scadenza della delega non sia stata rispettata, ma soprattutto che, secondo fonti di Governo, questa inadempienza sarebbe collegata proprio a tale divieto, costituisce un fatto molto grave. La soluzione adottata – che era e rimane immune da censure di alcun tipo sotto il profilo della legislazione europea, come a suo tempo chiarito – non può essere rimessa in discussione dall’esecutivo che è sostenuto, peraltro, proprio dalle forze politiche che quella scelta, dopo un approfonditissimo iter parlamentare, adottarono.
Il Governo deve rimediare a questa inadempienza che costituisce un grave vulnus nei rapporti tra l’esecutivo ed il Parlamento, e le forze politiche devono pretendere il rispetto della legge forense che comunque rimane, con buona pace degli adoratori del mercato, l’unica normativa specifica in vigore. L’Unione delle Camere Penali, che anche in considerazione della specifica importanza che la questione riveste per la difesa penale, era reiteratamente intervenuta sul punto al momento della discussione sulla riforma forense, fa appello a tutte le forze politiche affinché la situazione che si è creata sia immediatamente corretta”.
Gravissima la situazione anche per l’Unione delle Camere civili:
“Il Governo ed il Ministero della Giustizia- ha affermato il presidente Renzo Menoni – hanno scientemente ignorato la volontà del Parlamento ed hanno lasciato decadere la delega, al dichiarato fine di adottare norme regolamentari contenenti principi diversi da quelli enunciati dal Parlamento”. “La riforma dell’ordinamento forense – ricorda Menoni – ha delegato il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore, un decreto legislativo per disciplinare le società tra avvocati, stabilendo, come previsto dall’art. 76 della Costituzione, i principi ed i criteri direttivi a cui il Governo si doveva attenere. Il termine di sei mesi è scaduto lo scorso 2 agosto, senza che il Governo abbia adottato il decreto delegato”.
A chiedere atti di protesta eclatanti è stata l’Associazione nazionale avvocati italiani che ha innanzitutto manifestato seria preoccupazione per l’ostruzionismo del ministero della Giustizia per la chiara ed esplicita opposizione alla riforma forense facendo decadere la delega legislativa.
“Ritorna in piedi il problema dei soci di capitale che favoriscono intromissioni di multinazionali e criminalità organizzata all’interno degli studi professionali, con violazione dei principi di indipendenza e legalità stabiliti nel testo di riforma approvato dal Parlamento”. Manifesta così la sua preoccupazione in merito alle società tra avvocati il presidente Anai Maurizio De Tilla.
“La preoccupazione aumenta con la constatazione che il Ministero ha già manifestato la propria contrarierà ai parametri indicati dal CNF che colmano una serie di lacune del decreto approvato dal Ministero – ha continuato De Tilla – che ne aveva già riconosciuto la erroneità con le proposte di rettifica prospettate dalla Severino, dopo gli incontri con l’OUA e le Associazioni forensi.
Se poi si considera che ritardano, senza alcuna giustificazione, i regolamenti ministeriali in materia di specializzazione, di disciplina e di assicurazione obbligatoria si ha la conferma di un complessivo “boicottaggio” della riforma, già claudicante sotto i profili dell’accesso e della estensione degli iscritti alla Cassa.
A ciò si aggiunge l’ostinazione ministeriale a portare avanti la demolizione di 1.000 uffici giudiziari su 1.400, con ingenti spese (più di 30 milioni di euro all’anno) e totale distruzione della giustizia di prossimità.
Va ricordato che la Cancellieri ha più volte detto che “l’Avvocatura è una casta”, liquidando il problema con la famosa frase “vado a togliermi l’avvocatura dai piedi”.
L’Avvocatura – ha concluso De Tilla – deve reagire proclamando l’astensione e promuovendo iniziative clamorose ed incisive di protesta”.