Eccoci arrivati ai casi più noti sulla sindrome di Stoccolma. Del caso che determinò il nome di questa sindrome abbiamo già parlato nel primo articolo (correlato a questo). Ora vediamo gli altri episodi che hanno fatto storia. Ammonendo coloro che fossero particolarmente impressionabili di evitare la lettura di questo articolo.

Il caso di Giuliana Amati
Cominciamo con un caso meno scioccante, avvenuto nel nostro Paese, che vide come protagonisti la pilota di formula 1 e formula 3 Giuliana Amati e Jean Daniel Nieto, il brigante gentiluomo di origini francesi, arrestato nel 2010 dopo 22 anni di latitanza tradito da un geco tatuato sul collo.
Daniel Nieto nel 1974 rapì Giuliana Amati, figlia di una ricca famiglia romana, ma i due si innamorarono, e quando Giuliana fu rilasciata dopo il pagamento del riscatto, la voglia dei due di incontrarsi determinò l’arresto dell’uomo tra le urla disperate della ragazza.
In questo caso la sindrome di Stoccolma sviluppata da Amati riuscì a sensibilizzare il suo rapitore a tal punto da fare breccia nel suo cuore.

Il caso di Gianni Ferrara
Un altro caso italiano fu quello di Gianni Ferrara, bambino di 8 anni figlio di un proprietario di ristoranti di Castellamare di Stabia, rapito mentre si trovava con la famiglia ai Caraibi e portato in Venezuela da 5 agenti di polizia dello Stato di Zulia che chiesero un riscatto di 650 milioni di lire.
Gianni Ferrara negli oltre 2 mesi di sequestro si affezionò a tal punto ai suoi rapitori che quando questi vennero arrestati inveì contro la polizia. E durante i giorni del sequestro si rapportò ai genitori telefonicamente con tonalità molto fredde, in netto contrasto con il calore che stava dimostrando per i suoi rapitori, testimoniato dalle sue stesse parole.
La sindrome di Stoccolma di certo ha aiutato il bambino ha vivere in maniera più “serena” durante il suo sequestro, ma la mente di un bambino è purtroppo facilmente manipolabile e le conseguenze possono essere gravi, non solo per quanto riguarda il rapporto con i genitori durante e subito dopo il sequestro.

Il caso di Clara Rojas
Un altro caso emblematico di sindrome di Stoccolma fu quello di Clara Rojas, politica colombiana, rapita nel 2002 dalla FARC (Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane). Si innamorò di uno dei suoi rapitori col quale ebbe una relazione d’amore segreta, dalla quale nacque un bambino.
In realtà in questo caso è difficile stabilire se vi fu dapprima una sindrome di Stoccolma o di Lima, oltretutto l’amore tra i due fu ostacolato dalla FARC stessa che allontanò il proprio guerrigliero dalla donna rapita.
Si noti però come dalla sindrome di Stoccolma, quando provoca un sentimento ricambiato anche nel sequestratore, possano scaturire frutti positivi.
A questo punto, ultimo avvertimento: se siete sensibili, non continuate a leggere!

Il caso di Natascha Kampusch
Uno dei casi più gravi per durata e intensità fu quello di Natascha Kampusch, giovane austriaca rapita all’età di 10 anni da Wolfgang Priklopil il cui intento era quello di procurarsi una schiava. Natascha fu tenuta segregata per otto anni, Wolfgang era per lei il buio e la luce in molti sensi: l’aveva rinchiusa in uno stanzino di 5metri per 2 e decideva quando vi dovesse essere luce e quando buio. Era per lei talvolta il suo aguzzino altre volte colui che la nutriva e le faceva compagnia. Tra i due vi erano attività di tipo familiare quali leggere, cucinare o fare le faccende di casa che però Natascha era però costretta a svolgere in abiti succinti. Wolfgang Priklopil la faceva dormire a volte nel suo stretto bunker e altre volte legata ai piedi del suo letto. Oltre a determinare tutta la sua vita come un dio onnipotente, Wolfgang Priklopil faceva anche le veci di un padre “premuroso”, si occupava infatti anche dalla cura di Natascha e della sua igiene, la lavava e in particolare era molto attento alla sua igiene dentale. Assieme decisero anche l’arredamento della “gabbia” blindata di Natasha, e vi erano talvolta piccoli battibecchi tra i due.
Alcuni psicologi hanno in verità negato che Natascha abbia sofferto di sindrome di Stoccolma, in quanto era in una condizione di sottomissione fisica, ma non mentale, tanto è vero che riuscì dopo 8 anni a scappare. Tuttavia a mio parere bisogna considerare che Natasha era stata rapita da bambina e che inevitabilmente passò dalla dipendenza per i genitori a quella per il suo carceriere, come lei stessa ha poi ammesso. Questa dipendenza è proprio la base della sindrome di Stoccolma, oltretutto Natasha scappò dopo un litigio con Wolfgang proprio come accade agli adolescenti quando litigano con i genitori, con la differenza che Wolfgang Priklopil non era suo padre. Infine quando Natascha trovò la forza di fuggire, il suo rapitore si suicidò, con rammarico di lei. Difficile essere d’accordo con chi ha negato la possibilità che vi fosse stata sindrome di Stoccolma. Piuttosto si può asserire che esistano diversi tipi di sindrome di Stoccolma, con diversi sviluppi e diverse intensità. Del resto, i casi che stiamo raccontando dimostrano proprio questo.
Il caso di Natascha evoca un
’altra atrocità austriaca: la prigionia subita per 24 anni da Elisabeth Fritzl, schiavizzata e violentata dal padre, dal quale ebbe oltretutto sette figli, due dei quali (i maggiori) furono rinchiusi per 20 anni assieme a lei senza mai vedere la luce per poi divenire nuova carne sacrificabile per i bisogni sessuali malati del padre/nonno. In questo caso diventa effettivamente più difficile stabilire se vi possa essere stata una sindrome di Stoccolma dal momento che il sequestratore era il padre e nei confronti dei genitori già esiste una sorta di dipendenza che induce spesso le vittime di tali orrori a temere la denuncia o la ribellione.

Il caso di Shawn Hornbeck
Un altro caso di rapimento di minori sfociato in sindrome di Stoccolma fu quello di Shawn Hornbeck, rapito nel 2002 e ritrovato nel 2007 mentre le autorità cercavano un altro bambino che “fortuna” volle fosse stato rapito dallo stesso sequestratore di Shawn, Michael J. Devo, soprannominato Devlin.
Parrebbe che questi inizialmente avrebbe voluto uccidere Shawn per eliminare il testimone di quella che fu una violenza carnale su minore, ma Shawn gli avrebbe proposto di divenire il suo schiavo personale in cambio della vita.
Nei quattro anni successivi Shawn ebbe molte libertà da Devo, giocava in cortile, si allontanava da “casa”, aveva un cellulare con accesso ad internet, attraverso il quale 3 anni dopo il suo rapimento, mandò anche dei messaggi ambigui alla fondazione creata dai genitori per finanziare la sua ricerca. In un primo messaggio chiedeva per quanto ancora avessero intenzione di cercare loro figlio, e nell’altro (scritto 57 minuti dopo) che era rammaricato per quanto aveva appena scritto, si scusava e chiedeva se avrebbe potuto scrivere una poesia per loro. Questi messaggi furono firmati Shawn Devlin.
Quando la polizia suonò alle porte di Devo nel 2007, durante un controllo di routine, ad aprire fu proprio Shawn, dichiarando il suo nome e cognome e nel salotto vi era anche l’altro ragazzino tredicenne rapito da pochi giorni, ovvero Ben Ownby che guardava la televisione.
Si noti come vi siano spesso emozioni contrastanti in un soggetto “prigioniero” della sindrome di Stoccolma che, per conservare una propria coerenza pur amando il proprio rapitore, si trova costretto ad odiare i suoi affetti della libertà e al tempo stesso si pente di questa sua ostilità.

Il caso di Patty Hearst
Un caso eclatante che venne dai più ritenuto come sindrome di Stoccolma è quello di Patricia Campbell Hearst, conosciuta anche come Patty, ricca ereditiera nipote di William Rudolph Hearst, magnate dei media statunitensi dell’epoca.
Nel 1974, a 19 anni, Patty fu rapita (in tutti i sensi) dallo SLA (esercito di liberazione simbionese), famigerato gruppo di estrema sinistra responsabile di molti crimini nell’America degli anni ’70.
Dopo due mesi di reclusione Patty si unì attivamente al gruppo partecipando a diverse rapine in banca, dopo poco più di un anno e mezzo dal suo sequestro fu catturata dalla polizia assieme ai membri del gruppo. Durante il processo lei sostenne di essere stata tenuta in stato alterato da LSD che ne aveva condizionato il comportamento. Successivamente il secondo avvocato che la seguì sostenne che fosse stata sottoposta a un lavaggio del cervello, unito a stupro, tortura, droga e controllo delle comunicazioni. Tutto ciò avrebbe sviluppato in lei la sindrome di Stoccolma. Grazie a queste dichiarazioni Patty beneficò di una sensibile riduzione della pena e restò in carcere per meno di 2 anni. Successivamente si sposò con la sua guardia del corpo, partecipò a molti film (in alcuni dei quali interpretò se stessa) e molti libri e articoli furono scritti sul suo caso.
E’ mia opinione che questo famoso caso di sindrome di Stoccolma sia in realtà spurio: da un lato Patty Hearst ha caratteristiche che ben si sposano con la sindrome di Stoccolma (ha dimostrato la sua attrazione per “i più forti” e il suo bisogno di protezione sposandosi la sua guardia del corpo), ma d’altro canto è molto probabile che ella avesse trovato molto eccitante la vita degli SLA. Dopo tutto stiamo parlando di una allora adolescente ereditiera e non ci sarebbe da meravigliarsi che la vita trasgressiva degli SLA sia sembrata ai suoi occhi piena di stuzzicanti emozioni. Inoltre è difficile pensare che vi sia stata una vera e propria sindrome di Stoccolma visto che a differenza dei casi classici, Patty non prese le difese dei suoi sequestratori, ma pensò a proteggere se stessa accusandoli, senza pensarci due volte, di averle somministrato forzatamente l’LSD e manipolata mentalmente con la coercizione. Nelle foto e nei filmati delle rapine compiute dal gruppo del quale faceva parte, ha l’aria di essere molto divertita il che fa supporre che in fin dei conti possa non esserci stata tutta questa costrizione.

Il caso di Maria McElroy
Un caso che fu considerato sindrome di Stoccolma a posteriori in quanto avvenne parecchi anni prima della creazione di questo concetto, fu quello di Maria McElroy, figlia del giudice Henrey McElroy del Kansas City.
Maria McElroy nel 1933 rimase sotto sequestro per 29 ore, rilasciata illesa dopo il pagamento del riscatto (contrattato alla metà della richiesta originale), si batté per evitare la pena di morte chiesta dall’accusa per uno dei suoi rapitori (per la prima volta nella storia Americana chiesta per un rapimento) riuscendo, anche in virtù della sua appartenenza a una famiglia prestigiosa, a ottenerne la grazia.
Continuò ad andare a trovare in carcere i suoi rapitori negli anni a venire e sette anni dopo, all’età di 32 anni, sconvolta per la prematura morte del padre dovuta ad un attacco di cuore conseguente ad una grave accusa di corruzione, si suicidò lasciando un biglietto in cui chiedeva che la sua morte potesse riscattare la libertà dei suoi rapitori ancora in carcere, gli unici che, stando alle sue stesse parole, l’avessero capita veramente e non la considerassero completamente pazza. Va considerato che nei primi anni del Novecento lo studio della psicologia e del meccanismi della mente non era ancora in evoluzione e non meraviglia che la vittima “innamorata” dei suoi sequestratori potesse essere ritenuta pazza provocando così in lei negatività, estraniamento sociale e senso di colpa.

Il nostro viaggio nella sindrome di Stoccolma ha cercato di illustrarne i meccanismi psicologici e le specificità di ogni caso, così che si possa avere maggiore materiale per comprenderla.
E’ vero che può essere considerata un lato positivo in quanto frutto dell’istinto di sopravvivenza, ma spesso tiene le vittime relegate in situazioni mostruose con agghiaccianti risvolti. Fortunatamente, secondo alcuni studi, chi la conosce può evitare di esserne accecato. Auspicando, comunque, di non essere mai rapiti… se non dal bello della vita.

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