Come è noto il codice ed in particolare gli art.li da 143 a 148 c.c. statuiscono una serie di diritti e doveri reciproci tra i coniugi.
“Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritto ed assumono i medesimi doveri”.
Gli obblighi che derivano dal matrimonio succintamente possono configurarsi nell’obbligo di fedeltà, nell’obbligo di assistenza morale e materiale, nell’obbligo di collaborazione nell’interesse familiare, nell’obbligo di coabitazione, nell’obbligo di contribuire ai bisogni familiari secondo le proprie capacità di reddito e le proprie sostanze ed infine nell’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole.
Senza entrare nel merito specificatamente nei doveri statuiti dal Codice e nell’interpretazione della giurisprudenza, rileviamo che il motivo che più frequentemente viene portato nelle aule di giustizia per richiedere l’addebito a uno dei coniugi è quello della violazione dell’obbligo di fedeltà.
Talmente comune che in Parlamento si discuterà il Disegno di Legge n. 2253 circa la soppressione dell’obbligo reciproco di fedeltà tra i coniugi.
L’OBBLIGO DI FEDELTA’
L’obbligo ed il correlato diritto alla fedeltà, trovano il proprio fondamento nella comunione spirituale e materiale del rapporto coniugale.
Per la violazione della fedeltà coniugale non necessita l’esistenza di un adulterio conclamato, né la prova di rapporti sessuale extraconiugali, mentre è sufficiente la sussistenza di una violazione, magari anche solo platonica, con caratteristiche di continuità tali da incidere in maniera rilevante nel rapporto di fiducia vicendevole e nella stima reciproca.
È pacifico in ogni caso che è sempre necessario accertare in concreto, ai fini dell’addebitabilità della separazione, se l’infedeltà di uno dei coniugi sia stata causa o concausa della frattura del rapporto coniugale, non potendosi porre a base di un’eventuale addebito un comportamento isolato che non risulti aver spiegato reale incidenza sull’unità familiare o sulla prosecuzione della convivenza.
Secondo ormai una giurisprudenza assolutamente univoca l’obbligo di fedeltà viene a cessare, non con la sentenza finale della separazione, bensì con la semplice comparizione dei coniugi avanti al Presidente e con l’autorizzazione dello stesso a vivere separati, contrariamente a quanto avveniva in precedenza.
L’ADDEBITO PER INFEDELTÀ
Come si è visto in altre occasioni, i Tribunali sono restii a pronunciare l’addebito di una separazione quanto meno perché una simile statuizione presuppone ampi mezzi istruttori, l’espletamento di prove testimoniali e la predisposizione di più udienze tutte circostanze che comportano enormi lungaggini processuali e che dilatano i tempi della giustizia.
In tal senso anche la Cassazione con varie pronunce ha chiarito che l’intollerabilità della convivenza, sia pur derivante dal tradimento, può costituire motivo di addebito della separazione, ma soltanto allorché sia questo il motivo unico del fallimento dell’unione e non allorché l’unione fosse già naufragata in precedenza e dunque la violazione dell’obbligo di fedeltà non costituisca che un effetto o una conseguenza posteriore.
LA TEMPESTIVITÀ DELL’AZIONE
Da più parti si è eccepito tuttavia in tal senso, come fosse estremamente difficile dimostrare che il fallimento dell’unione, fosse proprio imputabile al tradimento e non ad altre ragioni.
In sostanza riversare la dimostrazione della rilevanza causale in ordine all’intollerabilità della prosecuzione della convivenza su chi abbia subito l’atto di infedeltà si risolverebbe in una probatio diabolica.
Bisognerebbe dimostrare che il matrimonio era sempre stato felice fino alla vigilia dell’adulterio (o dell’omissione dell’assistenza o dell’interruzione della coabitazione) e solo al momento del tradimento l’unione è naufragata.
LA TEMPESTIVITA’ DELL’AZIONE
La Cassazione ha dunque rivisto la posizione in termini più concreti.
Appariva infatti assurdo imputare al soggetto che si assume incolpevole del fallimento dell’unione l’obbligo di dare una doppia prova, l’una della violazione dell’obbligo di fedeltà, e poi anche dell’incidenza di tale violazione nel rapporto matrimoniale.
Tuttavia, tale prova, secondo la Suprema Corte, non è più necessaria, allorché la presentazione del ricorso al Tribunale con la richiesta di addebito, segue immediatamente l’evento del tradimento.
Attualmente infatti ciò che si richiede, è il collegamento temporale fra l’azione per separazione con richiesta di addebito e l’evento che si assumerebbe alla base del fallimento dell’unione.
Nel 2016 la Cassazione (sent. N° 10823 del 10/05/2016) ha esaminato la questione relativamente ad un coniuge che aveva ottenuto l’addebito alla moglie, piuttosto facoltosa, dimostrando con accertamenti investigativi, la violazione dell’obbligo di fedeltà, fatto per il quale aveva ottenuto effettivamente dal Tribunale la pronuncia di addebito anche se i figli erano stati collocati presso la donna ed a questa era stata assegnata la casa coniugale.
LA DISTRIBUZIONE DELLE PROVE
La questione dell’addebito finiva in Cassazione in quanto l’interessata non era disponibile a vedersi addebitata la separazione, ritenendo che il matrimonio fosse fallito, ma non per l’infedeltà, bensì per fatti precedenti a tale comportamento.
La Cassazione mettendo un punto fermo alla questione, riteneva che l’infedeltà, così come la mancata assistenza o il venir meno alla coabitazione che comporta la violazione delle norme del Codice, rompe l’affectio familiae in modo da giustificare la separazione.
Perché però si possa richiedere l’addebito per tale motivo è necessaria l’esistenza dell’elemento della “prossimità” (con forbito richiamo latino “post hoc ergo propter hoc”).
LA PRESUNZIONE
In sostanza allorché un coniuge addebiti all’altro il fallimento dell’unione, è necessario che il ricorso per separazione venga depositato in Tribunale tempestivamente e cioè deve seguire rapidamente l’accertata violazione del dovere coniugale.
Se invece il ricorso risulta presentato dopo molto tempo, viene meno tale presunzione.
Solo nel primo caso sussiste una presunzione per cui il comportamento del coniuge negativo, sia effettivamente la causa del fallimento dell’unione comportando l’addebito, non necessitando l’altra prova circa il fatto che non vi erano stati altri elementi precedenti che avevano comportato l’allentamento dei rapporti coniugali.
Rileva la giurisprudenza infatti che in molti casi, la separazione fa seguito ad un lungo tempo di convivenza forzata, caratterizzato dalla crisi coniugale, (i cosiddetti “separati in casa”).
Dunque in tal caso l’allontanamento dalla casa coniugale o la violazione dei doveri di fedeltà non costituiscono che uno degli effetti successivi al fallimento dell’unione e quindi escludono l’addebitabilità.
INVERSIONE DELLA PROVA
Una volta accertato che la separazione è proposta tempestivamente dopo l’evento che si assume causa del fallimento dell’unione, il soggetto leso non avrà ulteriori obblighi, mentre spetterà all’altro e cioè al coniuge che si oppone all’addebito della separazione, dimostrare che la violazione dell’obbligo vi è stata, ma non è stata questa la ragione del fallimento dell’unione.
In sostanza la rilevanza causale in ordine all’intollerabilità della prosecuzione della convivenza in caso di tempestiva azione spetterà al coniuge incolpevole, mentre all’altro spetterà la prova circa i motivi preesistenti che, prima dell’adulterio, avevano già comportato il fallimento dell’unione.