Una buona parte delle separazioni deriva dal disgregamento della compagine familiare a seguito del tracollo finanziario o comunque della crisi economica di uno dei coniugi.
Infatti alla base di un rapporto sentimentale deve sempre essere presente la stima che un coniuge o convivente deve mantenere nei confronti dell’altro.
Caduta la stima a seguito di vicende economiche burrascose che coinvolgono la famiglia, frequentemente gli interessati finiscono avanti al Tribunale per la pronuncia della separazione.
In queste condizioni è naturale che un coniuge, in genere la donna, tenda a conservare gli ultimi beni rimasti o non sottoposti ad esecuzione, anche allo scopo di preservare per la famiglia e per i figli l’habitat domestico.
La cessione in proprietà della casa
Così uno dei meccanismi più utilizzati nella pratica, è quello di pattuire nella separazione dei coniugi il trasferimento di uno o più immobili in favore dei figli o della moglie da eseguirsi subito dopo avanti al Notaio senza nulla dover versare all’Agenzia delle Entrate ai sensi della legge divorzile n° 898/70 e successive modifiche, applicabile per ciò che riguarda l’esenzione fiscale, anche al procedimento di separazione dei coniugi.
È frequente dunque nella pratica che i coniugi pattuiscano, anche in considerazione dell’incapacità economica del marito, coinvolto in crac o dissesti finanziari, di poter pagare un adeguato mantenimento, il trasferimento alla moglie del 50% dell’immobile se in comproprietà o dell’intera proprietà dell’immobile, in modo da compensare in qualche maniera la mancanza di un adeguato mantenimento.
Sotto tale profilo ricordiamo incidentalmente che, ormai quasi tutti i Tribunali non operano più direttamente la trascrizione relativa al trasferimento di proprietà, ma dispongono che l’atto venga formalizzato avanti ad un Notaio successivamente.
Quindi, immediatamente dopo la pronuncia della separazione consensuale e l’omologazione della stessa le parti, producendo una copia autentica dell’atto, (attualmente è possibile effettuare la stessa cosa con la nuova procedura di cui al DL. 132/14), stipulano il trasferimento di proprietà e quindi di fatto il marito, in genere il soggetto inadempiente e coinvolto in procedure esecutive o fallimentari, rimane privo di beni sottoponibili a pignoramento, salvando per esempio la casa coniugale che viene trasferita alla moglie o ai figli.
L’azione revocatoria
Il problema a questo punto è come gestire i creditori, che avevano fatto affidamento sul patrimonio immobiliare, da tali azioni che, di fatto inficiano le legittime aspettative di costoro.
A tutela dei creditori, la giurisprudenza si è orientata inizialmente in modo discontinuo ed attualmente in modo più costante, nel ritenere applicabile la possibilità prevista dall’art. 2901 c.c. anche ai trasferimenti di proprietà effettuati nell’ambito della separazione dei coniugi o nel divorzio.
Ricordiamo che la norma precisa, come il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine, possa domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti, gli atti di disposizione del patrimonio del debitore (e quindi anche un trasferimento di proprietà), purché, in caso di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio.
Nei trasferimenti viceversa a titolo gratuito, non è neanche richiesto tale presupposto, in quanto è sufficiente dimostrare che il debitore fosse a conoscenza del pregiudizio che il debitore arrecava al creditore.
L’azione può essere esercitata al massimo nell’arco di cinque anni dalla data dell’atto di trasferimento.
L’evolversi della giurisprudenza
Inizialmente, i trasferimenti di proprietà effettuati con le separazioni o il divorzio, non venivano ritenuti soggetti all’azione revocatoria, in genere promossa dalle banche o da altri istituti creditori, in quanto rilevava la Cassazione che l’atto di trasferimento di proprietà, veniva effettuato nell’ambito di una regolamentazione più complessa dei rapporti patrimoniali fra coniugi e pertanto, da un lato tale negozio giuridico non potesse ritenersi a titolo gratuito e dall’altro fosse necessaria la prova specifica dell’accordo in frode ai creditori del beneficiario o comunque della conoscenza da parte della beneficiaria del dissesto del marito.
Di contro in tempi più recenti la giurisprudenza si è orientata in senso nettamente favorevole ai creditori e ciò anche per evitare trasferimenti di proprietà, nell’ambito di separazioni, fittizi o comunque posti in essere solo e proprio al fine di pregiudicare gli interessi del creditore, ritenendosi applicabile la normativa di cui all’art. 2901 c.c. anche nell’ambito del diritto di famiglia.
Il presupposto dell’inefficacia dell’atto compiuto in danno al creditore ex art. 2901 si basa proprio sul presupposto della conoscenza presunta dell’altro coniuge circa il debito esistente.
L’ordinanza n° 1404 del 26/01/2016 della Corte di Cassazione
La questione che era stata posta all’attenzione della Corte di Cassazione e decisa con l’ordinanza n° 1404 del 26/01/2016 ripercorreva la situazione comune a molti trasferimenti di proprietà tra coniugi posti in essere nell’ambito della separazione o del divorzio in pendenza delle azioni della Banca finalizzate a recuperare i propri crediti.
La Banca aveva ottenuto con sentenza della Corte d’Appello di Venezia la revocatoria ex art. 2901 c.c. e quindi la dichiarazione di inefficacia del trasferimento di proprietà della casa coniugale effettuata in favore della moglie da parte del marito indebitato con l’Istituto finanziario.
Il marito ricorreva in Cassazione rilevando che detto trasferimento non potesse considerarsi a titolo gratuito, bensì a titolo oneroso compensando l’obbligo di mantenimento che egli avrebbe dovuto versare al coniuge, obbligo che rispondeva ad un interesse superiore e giuridicamente tutelato come appunto la protezione della moglie e della prole.
In effetti la Corte di Appello non aveva contestato la circostanza dell’onerosità e dunque rilevava il coniuge cedente ed indebitato, la Banca avrebbe dovuto dimostrare la piena conoscenza da parte della moglie separata, dei debiti del marito, circostanza che non era stata provata affatto.
Tuttavia la Cassazione ha ritenuto che la prova della conoscenza (la cosiddetta scientia damni) del terzo necessaria ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria, nel caso in cui l’atto dispositivo sia a titolo oneroso e successivo al sorgere del credito, può essere ricavata anche per presunzioni semplici.
Tra queste, secondo la Cassazione e secondo la Corte d’Appello di Venezia, va sicuramente compresa la sussistenza di un vincolo parentale così stretto tra moglie e marito, rendendo verosimile che la moglie fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul marito.
Conseguentemente riteneva la Cassazione legittima e fondata l’azione proposta dalla Banca sul presupposto presuntivo che la moglie, in quanto tale, fosse a conoscenza dei debiti del marito, (in senso analogo ricordiamo anche Cass. n° 5359/09, n° 1727/11; n° 27546/14).
Aggiungiamo che tutt’altro ovviamente è il discorso allorché si dimostri che il marito e la moglie da tempo non coabitavano più insieme e non si frequentavano da numerosi anni prima della formalizzazione della separazione, ipotesi che tuttavia nel caso in essere non sussisteva.
L’assegnazione della casa coniugale
Accanto alla questione dell’inefficacia dell’atto di compravendita, resta l’altra, scarsamente esaminata dalla giurisprudenza, relativa alla opponibilità ai creditori del diritto di assegnazione della casa coniugale, in genere attribuito alla moglie quale collocataria dei figli.
Infatti, se è pur vero che la compravendita può essere dichiarata inefficace ex art. 2901 c.c. è estremamente dubbio se tale inefficacia possa estendersi all’attribuzione della casa coniugale, in forza della normativa che tutela la prole e la famiglia.
La questione non è di poco conto, in quanto la dichiarazione di inefficacia da parte del Tribunale del trasferimento di proprietà comporta poi la possibilità per il creditore di procedere all’esecuzione forzata e cioè al pignoramento, e previa perizia sull’immobile, alla vendita all’asta.
È chiaro tuttavia che, quanto all’interesse all’acquisto, nessun possibile acquirente sia disponibile a comprare un alloggio con all’interno dello stesso una persona con diritto di abitazione attribuitogli dal Tribunale e come tale opponibile erga omnes soprattutto se trascritto alla Conservatoria dei Registri Immobiliari (come attualmente di norma deve essere fatto), sempreché la trascrizione dell’assegnazione disposta dal Tribunale, non sia successiva alla trascrizione dell’ipoteca del creditore o della Banca.
Ciò anche perché il diritto all’assegnazione potrebbe essere revocato esclusivamente dal Tribunale in sede di regolamentazione dei rapporti familiari e quindi rendendo dubbia anche la legittimazione attiva di un eventuale acquirente dell’immobile in una causa contro la moglie occupante.
Molti ritengono che, nel contrasto fra l’interesse del creditore del marito e l’interesse della donna beneficiaria del diritto di abitazione in favore della prole, rispondendo quest’ultimo ad una tutela di più ampio respiro, debba privilegiarsi la pretesa ed il diritto della prole a rimanere nella casa coniugale.