E’ frequente ormai da qualche tempo il fenomeno dei coniugi i quali, stante il momento di crisi, si rivolgono al tribunale per richiedere la separazione consensuale non perché realmente ritengano di separarsi, ma al solo fine di trasferire, in esenzione di imposta, i beni all’altro coniuge sottraendoli così ai creditori di uno di essi.
Una interessante sentenza del Tribunale di Roma (n. 22875 del 23/11/2011) ha affrontato la questione della possibilità per il creditore di agire con l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., avverso il trasferimento dei beni operato con la separazione dai coniugi in modo fittizio e fraudolento.
L’utilizzo strumentale della separazione dei coniugi in effetti viene talvolta realizzato nella pratica per ottenere determinati benefici, in alcuni casi lecitamente ed in altri casi meno correttamente.
Capita per esempio che i coniugi attivino la procedura per ottenere le provvidenze previste per le coppie separate dalla legislazione sociale, per passare dal regime di comunione al regime di separazione dei beni, per far risultare il pagamento di un assegno di mantenimento utile ai fini fiscali, per salire nella graduatoria per le coppie disagiate, per trasferire la casa coniugale senza pagare le tasse e per far assegnare, come nel nostro caso, la casa coniugale alla moglie con quanto in essa contenuto, inibendo così i creditori dell’altro coniuge di porre in essere atti di esecuzione sul bene ormai ceduto.
L’INIBIZIONE DELLE AZIONI DEI CREDITORI
Il fenomeno in effetti sta diventando diffuso e d’altra parte non è facilmente eliminabile, apparendo impossibile distinguere, fra le tante separazioni autentiche, quelle meramente strumentali e anzi talvolta sono gli stessi tecnici del diritto che suggeriscono agli interessati di percorrere tali strade, tenuto anche conto dei costi ridotti delle procedure, comunque di gran lunga inferiori a quelli necessari per opporsi alle azioni dei creditori, siano essi privati, banche, enti pubblici o lo stesso fisco.
Come è noto del resto la legge divorzile 898/70 e successive modifiche, permette, anche nell’ambito della separazione dei coniugi, la cessione dei beni, pur di importo rilevante, da uno all’altro coniuge in totale esenzione di imposte.
AZIONE PER SIMULAZIONE DEL CONIUGE CHE CI RIPENSA
La Corte di Cassazione si è occupata della questione in varie occasioni sia sotto il profilo della tutela del creditore, sia più raramente allorchè è lo stesso cedente che “ci ripensa”.
Può accadere infatti che sia lo stesso ex proprietario ad impugnare la separazione, facendo valere la simulazione della stessa (ex art. 1414 e seg.ti c.c.).
Capita talvolta la singolare situazione nella quale il marito spogliatosi artatamente, in danno dei creditori, delle proprietà con il procedimento di separazione, dopo aver attribuito tutti i beni immobili alla moglie, successivamente a seguito di contrasti intercorsi richieda i beni indietro. Al rifiuto della moglie egli si rivolge al Tribunale, facendo valere la simulazione della separazione.
Tuttavia la Corte di Cassazione (Cass. 20/11/2003 n. 17607) ritiene quasi sempre non impugnabile per simulazione la separazione, né tantomeno l’accordo, contenuto nel provvedimento del tribunale, che comporta il passaggio di proprietà dei beni,e facente piena fede e stato sia nei confronti dei terzi che fra le parti.
AZIONE REVOCATORIA DEI CREDITORI E IMPUGNAZIONE DELLA CESSIONE CONTENUTA NEL VERBALE DI SEPARAZIONE
Ricordiamo che l’art. 2901 c.c. prevede il diritto per il creditore di poter agire giudizialmente contro il venditore e contro l’acquirente chiedendo che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti gratuiti di disposizione del patrimonio, con il quale il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni.
Nel caso più complesso di atti a titolo oneroso, va dimostrato che il terzo fosse consapevole del pregiudizio che si arrecava al creditore stesso.
L’azione revocatoria inizialmente non veniva considerata attuabile nei confronti di un procedimento giudiziale di separazione dei coniugi.
Infatti la Corte di Cassazione (ex multis Cass. 23/03/2004 n. 574), considera che “…Gli accordi di separazione personale dei coniugi contenenti attribuzioni patrimoniali da parte di uno nei confronti dell’altro e concernenti beni mobili od immobili, non risultano collegati necessariamente alla presenza di uno specifico oggetto o di uno specifico riferimento ai tratti propri della donazione, ai fini di una loro assoggettabilità all’azione revocatoria di cui all’art. 2901 c.c., ma rispondono di norma ad un più specifico spirito di sistemazione dei rapporti, proprio in occasione della separazione consensuale o del divorzio congiunto”.
Né d’altra parte la semplice circostanza che un coniuge sia sposato fa presumere, in caso di atti a titolo oneroso, che l’altro coniuge sia a conoscenza della situazione debitoria, proprio in quanto la separazione fa ipotizzare che non vi sia più convivenza o contatti fra gli ex coniugi.
Quindi deve essere data specifica prova da parte del creditore, non potendosi avvalere quest’ultimo della presunzione di conoscenza per il semplice fatto del rapporto di coniugio (per es. Trib. Roma n. 10642/09).
UN CAMBIAMENTO DI ORIENTAMENTO
A seguito forse della diffusione del fenomeno è tuttavia ravvisabile un mutamento di orientamento, nel tentativo di porre fine a tali trasferimenti di proprietà meramente strumentali.
La sentenza sopra richiamata del Tribunale di Roma (n. 22875 del 23/11/2011) affrontava il caso di due ex soci in affari contrapposti da motivi di interesse, avendo sostenuto uno di essi il pagamento di numerose tasse e volendone ottenere il pagamento da parte dell’altro.
Quest’ultimo trasferiva al proprio coniuge la sua quota di proprietà di due unità immobiliari (tutte quelle che possedeva) mediante il procedimento di separazione consensuale dichiarando di essersi separato dalla moglie e compensando il presunto credito della moglie, maturato nel corso del rapporto coniugale, con la cessione degli immobili.
Il creditore tuttavia impugnava la separazione, più esattamente il trasferimento di proprietà contenuto all’interno della separazione, rilevando che il marito continuava a vivere con la moglie nella casa familiare e quindi ritenendo pregiudizievole tale atto, considerandolo asseritamente simulatorio, finalizzato a creare pregiudizio alle ragioni creditorie.
Richiedeva quindi la pronunzia di inefficacia del trasferimento di proprietà ex art.2901 c.c.
LE MOTIVAZIONI DELLA DECISIONE
Il giudice del tribunale romano riteneva sussistere tutte le condizioni di cui all’art. 2901 c.c. affinché il creditore potesse ottenere la declaratoria di inefficacia dell’atto dispositivo compiuto dal debitore in pregiudizio delle proprie ragioni.
Ciò in quanto si era dimostrata la sussistenza del credito, ed inoltre essendo evidente la consapevolezza in capo al debitore del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore. Nel caso specifico era peraltro irrilevante la posizione dell’acquirente, trattandosi sostanzialmente di atti dispositivi non a titolo oneroso.
Rilevava il tribunale che, poiché l’atto dispositivo riguardava l’intero patrimonio immobiliare del marito, diventava impossibile per il creditore rivalersi su altri beni.
Soprattutto andava considerato che il trasferimento di proprietà all’interno di una separazione era intervenuto di fatto senza alcun corrispettivo e successivamente al sorgere del credito.
L’elemento soggettivo secondo il tribunale era dunque rappresentato dalla mera coscienza in capo al debitore del fatto che mediante l’atto dispositivo egli avrebbe diminuito il proprio patrimonio e quindi la garanzia spettante al creditore; dall’altro lato, rilevava il Tribunale come non fosse necessario dimostrare la conoscenza da parte della moglie della situazione debitoria, in quanto di fatto il semplice trasferimento con la separazione senza il passaggio di un corrispettivo economico, costituiva un atto sostanzialmente gratuito e come tale appariva irrilevante la conoscenza o meno della moglie, dei debiti del marito.
ATTO GRATUITO O ATTO ONEROSO
Il giudice del tribunale affrontava comunque anche l’altro aspetto che aveva trovato divergenti interpretazioni nella giurisprudenza.
Rilevava infatti che anche volendo considerare il trasferimento immobiliare intervenuto contestualmente alla separazione giustificato dalla volontà di voler regolamentare definitivamente l’assetto del patrimonio immobiliare dei coniugi, egualmente la consapevolezza dell’atto in pregiudizio del creditore da parte della moglie, doveva ritenersi comprovata da presunzioni consistenti nell’assenza di corrispettivo relativamente alla cessione, nell’integrale cessione dei beni da parte del marito non giustificata da risorse economiche più favorevoli dello stesso, mentre più ragionevole sarebbe stato uno scambio delle rispettive quote di proprietà tra coniugi, divenendo ognuno proprietario esclusivo di uno dei due immobili in comunione.
Pertanto conclusivamente il magistrato dichiarava l’inefficacia nei confronti del creditore dell’atto di trasferimento, condannando tra l’altro i coniugi convenuti anche al pagamento delle spese di lite.