Allorché uno dei genitori richieda che venga sentito il figlio prima di assumere le decisioni circa l’affidamento e il collocamento, il Tribunale non si può esimere dall’accogliere l’istanza.
Ciò tanto più se il figlio non è stato sentito neanche dal Consulente Tecnico d’Ufficio. Tale obbligo sussiste anche se il minore è prossimo ai dodici anni ed è capace di discernimento.

Dopo un primo periodo di grande pubblicità sui mass media circa il diritto dei figli ad essere sentiti dal giudice, introdotto per la prima volta  dalla normativa sull’affidamento condiviso ed attualmente dall’art. 337 octies del codice civile, posto all’interno di tutta una serie di normative (337 bis e seg.ti c.c.) a tutela dell’esercizio della responsabilità genitoriale, l’istituto non aveva più ricevuto l’attenzione che meritava sui mass media, mentre invece la giurisprudenza si è pronunciata più volte fino a raggiungere un orientamento unitario.

IL DIRITTO DEL  MINORE AD ESSERE SENTITO

La norma in tema di ascolto del minore prevede espressamente che “Prima dell’emanazione anche in via provvisoria dei provvedimenti di cui all’art. 337 ter, il giudice può assumere ad istanza di parte o di ufficio mezzi di prova. Il giudice disporrà inoltre l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni 12 ed anche di età inferiore ove capace di discernimento…il giudice non procede all’ascolto se in contrasto con l’interesse del minore o  manifestamente superfluo

L’ASCOLTO DEL MINORE

La questione dell’obbligo dell’ascolto del minore è stata in effetti oggetto di forti contrasti in giurisprudenza.
Il problema nasce dal d.lgs. n. 154/2013 che appunto introduceva l’art. 337-octies.
L’obbligo di sentire i figli minori da parte del magistrato era stato invero già introdotto nel 2006 con la legge n. 54/2006 che aveva sostituito, al precedente affido esclusivo, l’affidamento condiviso.
L’applicazione pratica della disciplina tuttavia aveva trovato scelte difformi non solo tra Tribunale e Tribunale, ma anche tra giudici dello stesso Tribunale.
L’opportunità di trascinare il bambino avanti al magistrato è sempre stato un punto controverso sia in dottrina che in giurisprudenza.
Ora con il d.lgs. n. 154/2013 e con gli artt. 315-bis c.c., 336-bis c.c. e 337-octies la situazione cambia, in accoglimento dell’osservazione di molti, come appariva estremamente singolare, che il soggetto più interessato e danneggiato dalla crisi del matrimonio o della convivenza, cioè il figlio, rimaneva sempre estromesso dal giudizio, tanto più che la realtà portata all’attenzione del giudice era quella mostrata dagli avvocati e che non sempre corrispondeva con la situazione reale e talvolta con l’interesse del minore.
La questione era già stata soppesata in ambito internazionale dalla Convenzione di New York del 20 novembre 1989 sui Diritti del fanciullo ratificata con la legge n. 176 del 27 maggio 1991 ove all’art. 12 era stato riconosciuto il diritto del minore ad essere ascoltato, secondo le capacità di discernimento dello stesso. La Corte costituzionale aveva recepito tale normativa con la sentenza n. 1/2002 statuendo che si trattava di una norma precettiva, immediatamente applicabile nei processi in corso, sembrando ovvio e giusto che il minore, il quale appunto è il soggetto più leso dal fallimento del rapporto tra i genitori, avesse il diritto almeno di ottenere le informazioni su ciò che stava accadendo e certamente il diritto a poter esprimere il proprio parere e la propria opinione su ciò che avrebbe statuito il Tribunale in merito alle conseguenze ed ai provvedimenti per ciò che riguarda la sua persona.
Dopo la promulgazione della legge n. 54/2006 emanata proprio sulla spinta delle associazioni dei padri che lamentavano la monopolizzazione da parte della donna di tutti i ruoli sul minore, e dopo quindi l’introduzione dell’affidamento condiviso veniva inserito l’obbligo di sentire il minore ultradodicenne.
Rimaneva però il problema dell’interpretazione e dell’applicazione pratica della norma, ma soprattutto dell’opportunità di sentire obbligatoriamente o meno il minore nel processo di separazione dei coniugi o di divorzio o a tutela dei figli nati fuori dal matrimonio.
Se si pensa che attualmente un matrimonio su due fallisce ed altrettanto avviene per ciò che riguarda le convivenze, la questione non appariva certamente di poco conto.
 diritto del minore ad essere ascoltato: un trauma spesso irreversibile

La questione aveva dato luogo a soluzioni contrastanti.
Ciò in quanto, come detto in altre occasioni, il minore che sa di essere l’ago della bilancia delle decisioni del giudice, vive l’attesa del suo “interrogatorio” in una situazione di grave malessere psichico.
Egli subisce le pressioni del padre e della madre, ciascuno dei quali lo spinge a dichiarare al giudice la volontà di rimanere con l’uno e con l’altro, ben sapendo che l’attribuzione del “collocamento” comporterà per il beneficiario l’assegnazione della casa coniugale con l’estromissione dell’altro ed un adeguato contributo economico.
Nella prima applicazione della legge, emersero situazioni di gravi stress in danno dei minori, i quali non volendo danneggiare né l’uno né l’altro genitore, si ritrovavano seduti di fronte al magistrato (tra l’altro non erano neanche chiarite le modalità processuali dell’ascolto) consci della grave responsabilità di quanto stavano dichiarando, e combattuti tra la volontà di non nuocere né all’uno né all’altro e la paura delle punizioni che sarebbero pervenute in seguito o peggio della perdita dell’affetto del genitore estromesso dall’alloggio.
Ciò ha fatto sì che i magistrati divenissero estremamente cauti e restii nell’ascoltare il minore e l’interpretazione di molti fu che l’ascolto poteva essere disposto solo in presenza di fattispecie particolari, ma non doveva costituire la norma.
La questione finiva ovviamente avanti la Cassazione.

LA DECISIONE A SEZIONI UNITE

Quest’ultima rimetteva la questione alle sezioni unite e con sentenza n. 22238/2009 la Suprema Corte dichiarava sostanzialmente ineludibile il diritto di essere sentito per il minore ed il corrispondente dovere del giudice di provvedere in tal senso, a meno che il giudice non ritenesse di non procedere.
In tal caso tuttavia il magistrato avrebbe dovuto motivare tale rifiuto, sulla base di presunti danni al minore o di contrarietà ai suoi interessi fondamentali.
Anche in seguito la Suprema Corte con sentenza n. 13241/2011 ulteriormente precisava che, nel rifiutare l’ascolto del minore, il giudice avrebbe dovuto valutare se vi fosse un interesse superiore del figlio a non essere esposto al danno derivante dal coinvolgimento emotivo della controversia tra i genitori, (situazione che tuttavia sussiste sempre).
Altri giudici di merito si sono occupati della questione con varie decisioni precisando che l’ascolto del minore non è soltanto un dovere del giudice, ma un vero e proprio diritto soggettivo del figlio in quanto i provvedimenti riguardano in primis proprio lui.
Ciò ferma restando la possibilità di procedere al cosiddetto “ascolto indiretto”, e cioè, così come avviene spesso nelle aule dei Tribunali, incaricando un neuropsichiatra infantile o uno psicologo o figure equiparate, di valutare preventivamente la capacità di discernere del minore e l’assenza di pregiudizio nella richiesta di un’opinione circa il suo affidamento e solo dopo sentire lo stesso per ciò che riguarda le modalità di collocamento ed il diritto di visita.
La revisione della materia dopo il d.lgs. N. 154/2013
La questione è stata riesaminata totalmente riprendendo le novità in tema di filiazione introdotte dalla legge del 10 dicembre 2012, n. 219 e completate quindi con il d.lgs. n. 154 del dicembre 2013.
Secondo tale attuale indirizzo normativo, l’ascolto del minore costituisce la condicio sine qua non della stessa validità del procedimento, ma con determinate limitazioni.
Attualmente l’obbligo di sentire il minore è contenuto oltre che nell’art. 337-octies di cui si è detto, altresì nell’art. 315-bis, comma 3, c.c. che riconosce il diritto dell’ascolto del minore in tute le controversie che lo riguardano e nell’art. 336-bis c.c. che dispone analogo diritto nei procedimenti che interessano il minore, salvo che l’ascolto sia in contrasto con il suo interesse o manifestamente superfluo.

SEPARAZIONE, DIVORZIO E CASI DELLA CONVIVENZA

Dunque in sostanza l’ascolto va concesso  sia in tema di separazione, divorzio e affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio, sia nei procedimenti di modifica delle condizioni relative, purché l’ascolto sia ritenuto necessario, non superfluo o in contrasto con gli interessi del minore.
Escludendo la questione circa la partecipazione del minore nelle cause di riconoscimento di paternità o in tema di adozione, che non riguardano il nostro thema, qui è sufficiente ricordare che, nell’applicazione concreta della norma i Tribunali, attualmente, solo su richiesta dei legali e sempreché ne sussista l’opportunità, procedono direttamente all’ascolto, ma con determinate cautele, quali l’assenza dei genitori, al più la presenza degli avvocati che non possono interloquire in alcun modo o tramite l’assistenza di uno psicologo in aula.
In via alternativa è possibile procedere “all’ascolto indiretto”, incaricando un CTU con adeguata specializzazione.
Si noti che sotto tale profilo la giurisprudenza ha precisato che anche allorché l’audizione avvenga mediante l’incarico ad un Consulente tecnico, tale circostanza non può essere considerata come una limitazione alla libertà personale del minore o di uno dei genitori, ma costituisce al contrario un’espansione del suo diritto alla partecipazione nel procedimento che lo riguarda, per valutare le opinioni ed i bisogni reali del bambino.
Se dunque l’ottica della normativa è quella di imporre al giudice in assenza di accordo tra i coniugi, l’ascolto del minore, resta ovviamente la questione di determinare le modalità di audizione, anche perché non infrequentemente (a noi capita spesso) il minore è facilmente influenzabile dall’uno o dall’altro genitore, riferendo in Tribunale circostanze o situazioni o ancora valutazioni, del tutto difformi dalla realtà.
Si tratta spesso di ragazzi che hanno delle problematiche derivanti dal trauma di aver dovuto assistere alle liti dei genitori e che si lasciano facilmente influenzare in un senso o nell’altro, essendo l’unico scopo dei contendenti interessati quello di gettare più fango e discredito possibile sull’altro genitore, al fine di potersi garantire l’utilizzo della casa coniugale o un adeguato assegno di mantenimento.
Attualmente sono stati previsti nell’ambito dei vari Tribunali dei protocolli che prevedono una serie di comportamenti da utilizzare nell’effettuare l’ascolto.
Di norma il magistrato è tenuto a mettere al corrente il minore di  cosa chiedono i genitori e cosa dovrà decidere il giudice, chiarendo bene che la valutazione del ragazzo verrà raccolta, ma non costituirà l’unica base sulla quale verrà assunta la decisio

IL MANCATO ASCOLTO DEL MINORE

Dunque l’ascolto del minore, se ritenuto opportuno, non è più considerato come una mera facoltà, ma come un vero e proprio obbligo del magistrato ove sussista contrasto fra i genitori o richiesta specifica di costoro.
Non procedere all’ascolto può sicuramente comportare la legittima impugnazione della sentenza  ed è ciò che è avvenuto con la decisone della Cassazione n. 10774 del 17/04/2019 che ha confermato il diritto del minore ad essere sentito quantomeno dal C.T.U.
Va tuttavia ricordato, che il magistrato non è tenuto a rispettare i desideri del minore, in quanto, proprio perché è necessario perseguire l’interesse della prole, è suo compito prendere atto della situazione, comprenderne i bisogni ed adottare i provvedimenti per tutelare i figli ai fini di una crescita equilibrata e serena.
In sostanza l’ascolto serve al magistrato così come dispone la legge, affinché questi possa prendere cognizione della situazione e valutare, ma non è certamente tenuto ad adempiere ai desideri dei figli sic et simpliciter, rimettendosi ogni sua decisione ad una prudente valutazione della situazione de quo.

ASCOLTO SUPERFLUO

Ciò premesso va precisato tuttavia che l’audizione dei minori se da un lato è un provvedimento che, se ne sussistano i presupposti, il giudice dovrà assumere obbligatoriamente, è altrettanto vero che egli può egualmente procedere nella decisone anche senza sentire i minori.
Tuttavia tale possibilità che è prevista dalla legge allorché l’ascolto sia manifestamente superfluo ed in contrasto con gli interessi del minore, deve essere specificatamente motivata con apposite determinazioni circostanziate.
Tuttavia è pacificamente legittimo il mancato ascolto dei figli ove il magistrato del merito, motivandolo in modo adeguato e preciso come si è detto, adotti la scelta di non sentire i figli secondo la valutazione rapportata all’età, alle condizioni, ai disagi già manifestati dai minori e quindi dovendo attribuire prevalenza all’esigenza di tutela dei figli rispetto all’interesse dei genitori.
Ciò anche per non esporre i bambini ad ulteriori pregiudizi derivati dal rinnovato coinvolgimento emotivo della controversia.
Sul punto si annovera anche Cassazione a sezioni unite che ha statuito espressamente come possa essere omessa l’audizione, allorché l’ascolto dei figli sia contrario ai loro interessi, pur restando obbligatorio motivare la valutazione e nel caso specificare l’assenza di consapevole discernimento del bambino in modo da giustificarne l’omesso ascolto.
È legittimo inoltre non procedere all’ascolto dei minori, allorché la volontà degli stessi sia già stata manifestata ampiamente, ovvero i figli abbiano dichiarato espressamente di non voler essere coinvolti alle vicende che li riguardano trovandosi i genitori su posizioni contrarie ed la fine di escludere un rinnovato trauma fra i figli stessi.
Ovviamente non c’è alcun bisogno di ascoltare i figli allorché i genitori siano d’accordo ovvero si sia in presenza di una separazione consensuale o comunque di un accordo fra i coniugi in qualsiasi procedimento in tema di diritto di famiglia.
Resta anche in tal caso ferma la possibilità per il magistrato di disattendere la richiesta dei genitori e provvedere egualmente all’ascolto dei minori.

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