La singolare questione che è stata posta all’attenzione del Tribunale e poi della Corte d’Appello di Firenze, riguardava la fertilità del marito ed in particolare l’unilaterale decisione dello stesso, nascosta alla moglie, di non procedere ulteriormente nel ciclo di cure per giungere alla fecondazione assistita, in precedenza decisa in comune e ciò nonostante che la moglie si fosse sottoposta a terapie specifiche.
Rilevava quest’ultima come la separazione dovesse essere addebitata al marito non solo per questa decisiva circostanza, ma anche perché dopo il matrimonio aveva scoperto che il coniuge aveva problemi di dipendenza dall’alcol, situazione che era perdurata nonostante l’assistenza della moglie.
IL RIGETTO DEI GIUDICI TERRITORIALI
La Corte d’Appello non aveva condiviso la tesi della ricorrente, in quanto
mancava la dimostrazione del nesso causale tra il comportamento volontario imputato al marito e l’irreversibile crisi coniugale che aveva portato alla separazione.
Inoltre il rapporto coniugale era continuato sul piano affettivo anche dopo che la moglie era venuta a conoscenza dell’intenzione del marito di non proseguire nel progetto di procreazione assistita, e d’altra parte l’aiuto prestato per la disintossicazione, rientrava nei doveri di assistenza conseguenti al vincolo coniugale.
In sostanza la Corte d’Appello rilevava che la mancanza di continuità temporale tra le condotte riferite e la decisione relativa alla separazione, portava alla conclusione di dover escludere la sussistenza del nesso causale fra gli eventi ed il fallimento dell’unione.
LA QUESTIONE DELL’INFERTILITA’ ED IL NESSO CAUSALE
Avverso la sentenza la moglie proponeva ricorso alla Corte Suprema, rilevando come fosse indubbio che l’infertilità di per sé stessa non costituiva un motivo di addebito della separazione o di scioglimento del vincolo coniugale, tuttavia la Corte d’Appello aveva omesso una valutazione globale, a parere della donna, circa lo svolgersi della vita coniugale e circa l’incidenza esclusiva del comportamento del marito sulla fiducia reciproca che si doveva trovare alla base del matrimonio.
In sostanza era stata proprio l’interruzione del sottoporsi alle cure per risanare la questione dell’infertilità che aveva dato luogo all’irreparabile deteriorarsi del rapporto, aggravato dalla questione dell’alcolismo, anche perché la Corte d’Appello non aveva per nulla considerato come, entrambe le componenti, pur svolgendosi in un arco temporale abbastanza ampio, fornivano un quadro evidente ed esaustivo circa la violazione della fiducia e della lealtà di un coniuge nei confronti dell’altro, presupposto della comunione materiale e spirituale posta alla base dell’affectio coniugalis.
Accentuava la moglie, come l’infertilità di coppia, l’aver fatto credere alla moglie che egli si sarebbe sottoposto ai cicli di cura, e viceversa avendo interrotto il progetto relativo, erano tutti fatti che aggravati dall’etilismo, davano luogo ad una costante violazione dell’obbligo di lealtà reciproca, che deve caratterizzare non soltanto la comunione materiale nell’ambito della sfera sessuale, ma anche la comunione affettiva.
La frustrazione che conseguiva al reiterato fallimento nell’affidamento riposto ed all’inosservanza degli impegni reciproci, non poteva che comportare l’addebito.
L’ACCOGLIMENTO DELLA DOMANDA DELLA MOGLIE
Contrariamente alle Corti territoriali, la Cassazione, rilevava che senza dubbio le circostanze dedotte, pur rilevabili in un arco di tempo più ampio, non potevano non costituire proprio la causa dell’impossibilità di proseguire nel rapporto matrimoniale.
A ciò si doveva aggiungere la indicata frustrazione aggravata anche sul fronte della non confessata dipendenza dall’alcool, talché non andava condivisa l’argomentazione sostenuta dalla Corte d’Appello che escludeva il nesso causale, trattandosi solo di una “grave infermità”, che doveva essere curata dalla moglie.
Andava osservato al riguardo, sostiene la Corte Suprema, (in modo conforme anche ad altre decisioni sul tema dell’alcolismo e della tossicodipendenza) che la dipendenza da alcool o droghe non può equipararsi integralmente ad una patologia sulla quale non interferisca la volontà o l’impegno del paziente. Al contrario si deve ragionevolmente ritenere che, contrariamente alle affezioni di carattere organico, nel caso di alcolismo, etilismo o di tossicodipendenza, si tratta sempre di patologie superabili esclusivamente mediante la volontà e l’autodeterminazione del soggetto che ne è colpito.
Conseguentemente la violazione del dovere solidale di lealtà e di condivisione del progetto di vita in comune era stato in questo caso duplice, sia per aver tenuto nascosta la dipendenza e comunque nell’aver interrotto il percorso di superamento e recupero intrapreso per il problema dell’etilismo, nonostante l’assistenza e la collaborazione della moglie, sia ovviamente per aver ingannato la stessa circa l’interruzione delle cure necessarie a superare l’infertilità.