La sentenza Torreggiani è stata resa dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo l’8 gennaio 2013. La Corte è stata adita, ex art.34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, da sette detenutia causa della violazione da parte dello Stato italiano dell’art.3 della Convenzione.
In particolare i ricorrenti, alcuni detenuti nel carcere di Busto Arsizio altri in quello di Piacenza, lamentavano che le condizioni nelle quali avevano scontato il periodo di reclusione costituivano trattamenti inumani e degradanti in violazione dell’art.3 Convenzione.Invero asserivano che ciascuno di loro aveva scontato la pena in celle delle dimensioni di appena 9 mq, condividendo lo spazio con altri due detenuti, disponendo pertanto di uno spazio personale di 3mq,inferiore a quello minimo di 4 mq previsto dal Comitato per la Prevenzione della Tortura.Asserivano inoltre i detenuti, i quali al tempo della pronuncia della Corte non erano più tali ad eccezione di uno, che l’accesso alla doccia era limitato a causa della penuria di acqua calda e vi fosse insufficienza di luce naturale.
La Corte,ritenendo che i ricorrenti non avessero avuto un trattamento dignitoso poiché lo spazio vitale era effettivamente insufficiente e non conforme a criteri accettabili, ravvisava sussistente la violazione dell’art.3 Convenzione per il quale “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.
Invitava, pertanto, l’Italia ad adottare misure, all’interno del proprio ordinamento, idonee a risolvere il problema “strutturale e sistematico” del sovraffollamento carcerario nonché a ridurre il numero dei detenuti prevedendo, in particolare, l’applicazione di misure punitive alternative e non privative della libertà personale, riducendo al minimo il ricorso alla custodia cautelare in carcere.La Corte evidenziava, infatti, la circostanza che in quel periodo ben il 40% dei detenuti fosse in attesa di giudizio.
La Corte, inoltre, ritenendo che i ricorrenti avessero subito un danno morale certo, derivante dalla detenzione in tali condizioni, liquidava lo stesso in via equitativa, ex art.41 Convenzione, tenuto conto del tempo che essi avevano trascorso in cattive condizioni detentive, e condannava lo Stato Italiano al pagamento di somme varianti dai 10.000 ai 20.000 euro circa per ogni detenuto.
La suindicata sentenza Torreggiani è una sentenza cd.pilota ovvero una sentenza che viene emanata in presenza di ricorsi attinenti ad una stessa fattispecie, in particolare alla stessa violazione da parte di uno Stato membro, degli articoli della Convenzione. L’obiettivo delle sentenze pilota è quello di ridurre il numero di distinti ricorsi per la stessa violazione.
E’interessante notare come la predetta pronuncia segue la sentenza Sulejmanovic c.Italia del luglio 2009 con la quale il nostro Paese era già stato condannato sempre a cagione del sovraffollamento delle proprie carceri.
Analizzando i dati numerici forniti dal Ministero della Giustizia, va evidenziato che alla data del 30 aprile 2014, su un totale di 59.683 detenuti, ben 10.389 (17,40% sulla popolazione carceraria complessiva) sono in attesa di giudizio. Di fatto sono sottoposti ad una misura cautelare senza aver subito alcun processo.
A fronte di tale situazione, si osservi che il costo medio giornaliero di un detenuto per lo Stato italiano è pari nel 2013 ad €.124,96, che in un anno ammonta ad €.45.610,40, come riportato dalla tabella ufficiale del Ministero.
Il calcolo è effettuato considerando il bilancio consuntivo del mondo penitenziario diviso per la presenza media dei detenuti.
Sempre secondo quanto comunicato ufficialmente dal Ministero della Giustizia si scopre che solo la somma di €.9,26 viene impiegati per il mantenimento dei detenuti, mentre la restante somma viene per lo più assorbita dal costo del personale (€.101,69 per detenuto).
Parliamo dunque di somme ingenti e di un problema concreto che necessita di soluzioni tempestive.
Analizzando i dati reperibili dal Ministero della Giustizia si può facilmente notare che dal gennaio 2013, mese di emanazione della sentenza Torreggiani, in cui c’era un sovraffollamento di 18865 detenuti, siamo passati, nel mese di aprile 2014 ad un esubero di 10592 detenuti, pertanto gli interventi del legislatore iniziano a produrre i loro effetti e fanno ben sperare.
Il dato un po’ meno confortante è invece costituito dal fatto che, nel mese di gennaio 2013, i detenuti in attesa di giudizio, circa 12439 (18,87%) su un totale di 65905 detenuti, si sono ridotti nell’aprile 2014, ai 10389 (17,41%) su un totale detenuti di 59683.
Guardando all’Europa il più recente dato di comparazione europea sul sovraffollamento carcerario è quello elaborato dal Consiglio d’Europa, aggiornato al 1 settembre 2012, dove in tale triste e ingloriosa graduatoria, siamo posizionati penultimi, con un coefficiente di 145,40.
Peggio di noi solo la Serbia con un coefficiente di 159,3. Ciò vuol dire che nominalmente su una capienza di cento posti in realtà ci sono 145,40 detenuti.
Per quanto riguarda gli altri Paesi europei, risalta il coefficiente tedesco pari a 88,60% quello spagnolo di 89,40% per poi passare alle situazioni di sovraffollamento di Albania di 110,70% e quello francese di 117%.
E’ anche vero che dal settembre 2012 all’aprile 2014 la situazione è migliorata, scendendo tale coefficiente dal 145,40% al 121,58%. Tuttavia siamo ancora ben lontani dalla situazione imposta dalla CEDU.
Il 28 maggio 2014, è scaduto il termine entro cui l’Italia è stata chiamata ad eseguire quanto stabilito da tale sentenza-pilota della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ed invitata a dotarsi di misure idonee ad eliminare il problema del sovraffollamento carcerario.
Si apre adesso la strada a tutte le procedurerelative ai ricorsi pendenti per gli analoghi motivi e “congelate” dalla Corte proprio in attesa che l’Italia adottasse le richieste e raccomandate misure.
E’facile prevedere che ai ricorsi pendenti si aggiungeranno quelli di nuova proposizione, con la conseguenza che l’Italia dovrà sborsare ulteriori ingenti somme relative ai risarcimenti. Somme che potrebbero essere utilizzate per migliorare il sistema carcerario italiano e che invece verranno impiegate solo per i risarcimenti dei detenuti.
Occorre pertanto l’adozione di provvedimenti strutturali che rispondano a logiche capaci di incidere nel profondo del sistema giudiziario e carcerario del nostro Paese e che, soprattutto, non siano adottati sulla spinta di emergenze di vario tipo. Serve dunque una inversione di rotta che conduca l’Italia, anche in questo settore, oltre il contingente e consenta di traguardare un futuro che sia dignitoso per tutti i cittadini, anche per quelli costretti in carcere.
In questa ottica suscitano interesse e qualche legittima speranza le misure adottate, negli ultimi mesi, a livello parlamentare e di governo.
In particolare è doverosa una riflessione, svuotata dai furori ideologici, sugli effetti del recente decreto svuota-carceri, n. 146/2013, che, tra le altre misure, aumenta lo sconto di pena concesso per ogni semestre (da 45 a 75 giorni) e soprattutto dispone un utilizzo del braccialetto elettronico più frequente.
Da pena alternativa eccezionale, il braccialetto diventa uno strumento ordinario.
Viene istituita la figura del Garante Nazionale delle persone detenute al fine di vigilare sul rispetto dei diritti dei detenuti e sulle condizioni in cui scontano la pena.
Analoga attenzione deve porsi alla proposta di legge AC631 rubricata “Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali. Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di visita a persone affette da handicap in situazione di gravità, e al decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, in materia di illeciti disciplinari e relative sanzioni” attualmente in seconda lettura alla Camera dei Deputati, nonché alla L.94/2013 di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 1° luglio 2013, n. 78, cd “Decreto carceri” recante disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena con il quale è stato anche rimodulato il piano carceri del 2010 prevedendo un incremento strutturale complessivo che permetta di portare la capienza regolamentare delle carceri italiane a 57000 posti con la creazione di circa 12324 nuovi posti.
Da ultimo si consideri la L.67 del 28.4.2014 “Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili” pubblicata in G.U il 2 maggio 2014 entrata in vigore il 17.5.2014.
Tali misure sono state giudicate idonee ma non sufficienti dalla “Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni”(Commissione LIBE) europea che in data 26-28 marzo 2014 ha fatto visita ad alcune strutture carcerarie italiane.
La delegazione pur apprezzando gli sforzi fatti dall’Italia negli ultimi mesi, ritiene che molto di più si possa e si debba fare per ridurre il problema del sovraffollamento carcerario.
A questo punto dinanzi al reiterarsi di pronunce che mettono alla sbarra il nostro Paese, ci chiediamo se il problema del sovraffollamento carcerario, oggettivamente esistente ed allarmante, sia solo una questione di edilizia carceraria o piuttosto non derivi dall’eccessivo ricorso alla misura della custodia cautelare.
La risposta è evidente ed è per questo che si deve puntare a sistemi alternativi al carcere capaci di incidere altresì sulla recidiva: il terzo settore in questo senso deve essere maggiormente valorizzato all’interno degli istituti e trovare nei fondi europei un aiuto fattivo per un modello di impresa sociale che nel rieducare il detenuto, avvicinandolo al lavoro in carcere, rieduchi la società intera.
*Avvocati – Giunta nazionale Aiga (Associazione italiana giovani avvocati)