Si è spento lunedì al Royal Free Hospital di Londra, all’età di 95 anni, lo storico inglese Eric Hobsbawm. Fra i più importanti intellettuali dell’ultimo secolo, Hobsbawm è stato un interprete fondamentale della Storia europea e mondiale, uno scrittore poliedrico e controverso, capace di studiare fatti e dinamiche dell’età moderna e contemporanea guardando al di là degli schemi precostituiti. Durante la sua lunga vita non ha mai rinnegato l’adesione al marxismo nonostante le difficoltà incontrate nel mondo accademico inglese durante la guerra fredda. Appassionato di jazz, dotato di grande abilità letteraria e di una chiarezza espositiva tipicamente anglosassone, Hobsbawn è stato autore di opere fondamentali come “Il Secolo Breve”, probabilmente oggi il libro di storia più noto del mondo.
Un marxista poliglotta dalla parte degli ultimi
Eric John Ernest Hobsbawm nasce nel 1917 ad Alessandria d’Egitto,da una famiglia ebraica. Trascorre la sua infanzia fra Vienna e Berlino. Nel 1933 si trasferisce in Inghilterra per sfuggire alle persecuzioni naziste. Dal 1947 insegna all’università di Birkbeck, di cui diviene poi preside. Per qualche anno tiene dei corsi anche al King’s College e alla New School for Social Research di Manhattan ma gli viene negata la cattedra a Cambridge , secondo lo stesso Hobsbawm, a causa delle sue convinzioni politiche. Apolide e cosmopolita per necessità, Hobsbawm parla correntemente cinque lingue: inglese, francese, italiano, tedesco e spagnolo.
Inizia la sua carriera di ricercatore negli anni ’60, distinguendosi per i suoi studi sul movimento operaio inglese durante la Rivoluzione Industriale. Fin da subito la sua analisi storica si concentra non sui personaggi più noti o sulle forme di rappresentanza politiche e istituzionali, bensì sulle condizioni materiali e sociali della vita degli operai inglesi del tempo. Ma i suoi studi prendono in considerazione anche gli outsider, coloro che si pongono ai margini della società tentando una prima, rudimentale forma di reazione all’avvento della nuova società capitalistico-industriale. Banditi, briganti, mafiosi, movimenti di contadini e gruppi millenaristici, rappresentano per Hobsbawm i primi, irriconoscibili nuclei dei futuri movimenti operai. Da qui il suo forte interesse per l’Italia, ai margini delle grandi trasformazioni europee di quegli anni ma laboratorio sociale per tutti i movimenti di opposizione al nascente sistema capitalistico. Sempre negli anni 60′ pubblica in Italia la trilogia edita da Einaudi: “Le rivoluzioni borghesi” – “I ribelli. Forme primitive di rivolta sociale” e infine “I banditi. Il banditismo sociale nell’età moderna”, opera che gli dà un’immediata notorietà.
Con il nostro Paese mantiene, nel corso del tempo, un ottimo rapporto come sta a testimoniare il frequente richiamo alla figura ispiratrice di Antonio Gramsci e la cordiale amicizia con l’attuale Presidente della Repubblica Napolitano. Nel 1983 esce “L’Invenzione della Tradizione”, scritto assieme a Terence Ranger, in cui viene esaminato il concetto di tradizione dal punto di vista storico e antropologico. Sopratutto nei periodi di crisi e di incertezza la tradizione si “inventa”, secondo i due autori, per dare coesione al gruppo sociale e per affermare una nuova forma di autorità. È il caso delle tradizioni inventate dai vari nazionalismi europei nel XIX e nel XX secolo.
Il lungo ‘800 e il secolo breve
Dal punto di vista della storiografia contemporanea Hobsbawm è un innovatore: ridefinisce i termini temporali dell’età moderna e contemporanea, con la sua “L’Età degli imperi. 1875-1914”, del 1987. La fortunatissima tesi dello scrittore britannico colloca l’inizio dell’età contemporanea in Europa nella seconda metà del XVIII sec. , quando due eventi, uno di natura economico – sociale ovvero la Rivoluzione Industriale inglese a partire dal 1750, l’altro di natura politica: la Rivoluzione Francese (1789), cambieranno per sempre il modo di vivere del vecchio continente. Un secolo “lungo”, l’800 che vede il trionfo della borghesia e delle sue istanze, e uno “breve”, il ‘900. Il XX è il secolo del Comunismo e della sua lotta per affermarsi come modello alternativo rispetto alla società liberale creata dalla borghesia. Esso ha inizio solo nel 1914, nella visione dello storico britannico, con la Prima Guerra Mondiale e termina nel 1991 con la caduta dell’URSS. Questa breve ma intensissima fase storica è descritta magistralmente nel saggio più noto dello storico inglese: “Il Secolo Breve”, 1995. A partire dagli anni ’90 il mondo è entrato in una fase di instabilità inedita, caratterizzata dal declino economico e politico del modello occidentale e dall’emergere di nuovi protagonisti come le potenze asiatiche. Questa, secondo Hobsbawm, la cifra della fase storica attuale in cui il capitalismo, piuttosto che estinguersi, sta mutando pelle sperimentando nuovi modelli, fino ad ora inediti, come il cosiddetto “Capitalismo di Stato”.
Nel 2011 esce l’ultima raccolta di saggi dei Hobsbawm “Come cambiare il mondo. Perché riscoprire l’eredità del marxismo” , che assieme all’autobiografia “Anni interessanti”del 2004, rappresenta il testamento dello storico inglese. Nel suo ultimo scritto Hobsbawam rivendica l’efficacia dell’analisi marxista della realtà nel mondo globalizzato del XXI sec. pur condannando gli esiti nefasti del comunismo storico: “bisogna porre le stesse domande che si pose Marx, rifiutando al contempo le risposte dei suoi vari discepoli”, scrive nel saggio.
Una voce critica e autorevole, capace di mostrarci la realtà da punti di vista a cui da soli non avremmo mai pensato e di spiegarci dinamiche e processi spesso nascosti alla cronaca di tutti i tempi, sempre incentrata sulle “gesta” dei “grandi” attori della storia. Proprio la capacità di Hobsbawm di essere l’interprete e il narratore della Storia “dal basso” lo hanno reso un punto di riferimento in questi anni declinati all’insegna del pensiero unico, in economica così come in politica e nelle ricostruzioni storiche.
L’eredità di Hobsbawn
La sua eredità intellettuale è di fondamentale importanza in un momento storico di grande incertezza e disorientamento collettivo. La Storia che ci lascia Hobsbawn è la Storia con la S maiuscola che cammina sulle gambe e non sulle nuvole. A dispetto delle tante suggestioni contemporanee sul ruolo dei cosiddetti “poteri forti” nel tracciare il destino dell’Europa e del mondo, Hobsbawn ci ricorda che la Storia è sempre il frutto di una dialettica fra gli interessi delle élite emergenti e le speranze degli ultimi, delle classi economicamente subalterne. Mentre sul web e sui media nostrani impazzano (soprattutto dopo l’ascesa al potere del governo Monti) leggende metropolitane sulla Trilaterale, il gruppo Bilderberg e altre organizzazioni occulte che governerebbero segretamente il mondo, una certa politica gioca ad alimentare il sospetto e soffia sul fuoco del populismo.
Traditi dall’ignoranza e dal desiderio di trovare la fonte unica dei mali del mondo, molti coltivano l’inconscia speranza che qualcuno, da qualche parte, abbia ancora un piano, benché malvagio. Hobsbawn ci mostra un’altra Storia, più complessa e meno consolatoria, fatta di tempi e di processi lunghi e tortuosi, spesso dolorosi. Una Storia più affascinante delle chiacchiere paranoiche, capace di smascherare, sul serio, i meccanismi dell’ideologia. È da augurarsi che l’opera di Eric Hobsbawm non cada nel dimenticatoio ora che lui non c’è più e che anzi venga portata avanti e divulgata in maniera sempre più capillare. Ottimo antidoto sia contro le ricostruzioni storiche superficiali e fantasiose sia contro ogni forma di dogmatismo, i libri di Hobsbawm rappresentano una lettura piacevole oltre che utile e istruttiva: “il miglior punto di partenza per chiunque voglia iniziare a studiare la storia moderna”, per dirla con le parole dello storico e collega di Hobsbawm Neil Ferguson.