Sono un’insegnante, ma non uso il registro di classe. Non ho un’aula, non ho la lavagna, non ho una classe. Non vado nemmeno a scuola. La mia scuola è una scuola speciale, i miei alunni sono alunni speciali. La mia scuola è l’ospedale, il Policlinico Gemelli, ed i miei alunni sono dei giovani studenti ricoverati.

Al Policlinico Gemelli esiste la scuola superiore, nata da un progetto dell’Istituto tecnico commerciale “Piero Calamandrei” di Roma, la scuola media, la scuola elementare e perfino quella materna.

Io insegno Lettere alle scuole superiori e insieme ai miei colleghi, quotidianamente, mi confronto con delle realtà più grandi anche di me. La scuola in ospedale in Italia nasce effettivamente con la Circolare Ministeriale del 12 gennaio 1986 che sancisce di fatto la nascita delle sezioni scolastiche ospedaliere. Il 13 maggio 1986, poi, viene redatta la Carta Europea dei bambini degenti in ospedale che estende, attraverso la cultura della solidarietà, il diritto allo studio a tutti i bambini.

La scuola in ospedale, al di là delle circolari ministeriali, delle carte europee e dei protocolli, è una eccellenza di cui pochi parlano. Poche persone sanno che esiste la scuola in ospedale, dimenticando che il diritto allo studio, come il diritto alla salute, è sancito dalla nostra Costituzione. La circolare ministeriale del 12 gennaio 1986, infatti, afferma che “L’attività didattica rivolta ai bambini ricoverati nelle strutture ospedaliere riveste un ruolo estremamente rilevante in quanto garantisce ai bambini malati il diritto all’istruzione e contribuisce al mantenimento o al recupero del loro equilibrio psico-fisico” (C.M. n. 345 del 12 gennaio 1986). E proprio per l’importanza terapeutica e curativa che riveste il servizio della scuola in ospedale è importante che se ne parli.

La scuola in ospedale garantisce ai ragazzi ricoverati il diritto all’istruzione, costituzionalmente tutelato, a conoscere e ad apprendere in ospedale, nonostante la malattia. Ma le lezioni che noi docenti svolgiamo, in molti casi, hanno consentito, ai ragazzi e alle loro famiglie, di continuare a sperare, a credere e a investire sul futuro. Gli  interventi che ogni giorno mettiamo in campo hanno come fine non solo quello didattico dell’apprendimento e della conoscenza delle materie in modo da aiutare i ragazzi a completare l’anno scolastico, ma soprattutto quello di promuovere il benessere e la crescita dei ragazzi, nonostante le situazioni di grave difficoltà in cui spesso si trovano. Lavorare in ospedale è lavorare “in punta di piedi”. Nei reparti dell’ospedale, infatti, si entra davvero in punta di piedi, rispettando gli studenti e le loro famiglie, ma anche il lavoro dei medici, degli infermieri, degli inservienti. Di fondamentale importanza è l’accoglienza dell’alunno, in modo da poter agevolare il suo approccio al servizio offerto, considerato che spesso i ragazzi esprimono palesemente il disagio del ricovero ospedaliero.

Indispensabile è la personalizzazione e la diversificazione degli interventi educativi e didattici a seconda dei bisogni di ciascun alunno, dei suoi ritmi di apprendimento e delle sue condizioni di salute. In ospedale, inoltre, il rapporto con le famiglie è necessario soprattutto per aiutarle nell’approccio e nella gestione di un’esperienza che sconvolge la normale vita familiare. Ho sempre pensato che insegnare non sia un mestiere ma una missione e in ospedale questa missione è ancora più rilevante.

Noi insegnanti, in ospedale, svolgiamo una funzione molto delicata e complessa, con l’obiettivo di assicurare ai ragazzi malati la continuità scolastica, al fine di reintegrare ciascuno nel suo status di alunno, e soprattutto di normalizzare la loro vita quotidiana. In questa esperienza per me nuova e, a volte, difficile, mi sono sentita più volte dire che noi insegnanti, insieme ai medici, facciamo parte della terapia e che, le nostre lezioni sono, appunto, terapeutiche. In effetti gli alunni ci aspettano per fare lezione e spesso ci chiedono esplicitamente di portare materiale o esercizi da svolgere. La scuola in ospedale, in questo modo, diventa indispensabile nel processo terapeutico ed insegnare in ospedale significa essere portatori di un progetto culturale formativo in cui ogni ragazzo si deve sentire protagonista consapevole. Il nostro lavoro è davvero utile, ma gli alunni che incontriamo in ospedale, in particolar modo quelli ricoverati in oncologia, insegnano molto a noi docenti. Ci insegnano, attraverso il loro coraggio, la loro forza ed il loro impegno nel dare il meglio e nel lottare quotidianamente, a riscoprire il valore dello studio e ci insegnano, soprattutto, il vero senso della vita. Per molti di questi alunni lo studio è un momento di “normalità”, una finestra sul mondo, un modo per “distrarsi” dal clima dell’ospedale, una maniera per continuare a sperare e a credere nel futuro. Ed è per questo che la scuola in ospedale è necessaria. Ed è per questo che è importante che se ne parli.

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