Andrea è un bibliotecario pendolare. Si divide per lavoro tra Orvieto e Roma e viceversa. Ogni giorno si trova infatti a compiere dei viaggi in treno. Storie quotidiane, storie comuni. Ma il protagonista del libro ha due passioni: la scrittura ed il jazz. Due passioni che lo portano a sperimentare situazioni stimolanti per il suo percorso di uomo. Così osservando le persone che ha intorno, per svago e divertimento, inizia a scrivere pensieri, lo fa prendendo nota di azioni, gesti, conversazioni e le parole si susseguono precise fino a dare forma a racconti, e poi ad un romanzo. Il desiderio di pubblicare si fa sempre più forte e quello che sembra un sogno lontano alla fine si realizza. Trova un editore che crede in lui. Ma dietro a questo traguardo si svilupperanno paure, tensioni ed insicurezze.
L’autrice ci accompagna a conoscere la storia di un uomo qualsiasi che si trova a confrontarsi con se stesso, con la famiglia, con gli amici, con quel successo che arriva inaspettato. E non sempre si è in grado di gestire qualcosa che si fa fatica a riconoscere. Con una scrittura semplice, ma incisiva, che invita il lettore a seguire la trama, Maria Letizia Putti mette curiosità, a volte arriva a spiazzare, facendo entrare chi legge quasi in punta di piedi tra le tante fragilità umane, ci fa intuire luci ed ombre dell’essere scrittore, senza troppi giri di parole, ma con la massima onestà intellettuale. La incontriamo per una breve intervista.
Maria Letizia Putti, lei ha pubblicato un romanzo dal titolo molto curioso. Come è nato ‘Lo scrittore non ha fame’?
“Tre anni fa facevo il tifo per un mio amico scrittore, candidato al premio Campiello. Era in prima posizione nei pronostici, tanto che mi appassionai nel seguire l’iter del premio, nonostante non sia molto interessata a tali manifestazioni letterarie; ma quella volta mi sentivo coinvolta, non capita spesso di vedere un amico in cima alle classifiche di un premio letterario di rilevanza nazionale; in più ero sicura dell’esito. Per placare la tensione dell’attesa buttai giù appunti sulla vita di uno scrittore, una sorta di favola moderna, dagli esordi, ai primi momenti di gloria, alle soddisfazioni per gli apprezzamenti della critica, al successo del pubblico ecc. Mi piacque l’idea di far di uno scrittore il protagonista di una vicenda letteraria, non si era mai vista una trama del genere. Mi ci buttai con foga, quasi un esorcismo per sospingere alla vittoria il mio amico nella prestigiosa tenzone letteraria. La sorte decise altrimenti. Lui arrivò secondo…e allora continuai a scrivere, forse una rivincita; decisi di farne un romanzo, redatto in prima persona dal protagonista, una sorta di diario familiare, da cui far emergere la personalità, le incertezze e le fragilità dell’io narrante, insieme a rapide pennellate sull’umanità che lo circonda. La storia mi è cresciuta tra le mani, l’ho ambientata a Orvieto, città che conosco bene, mi sarebbe piaciuto abitarci. L’ho trovata adatta al carattere del protagonista, una realtà placida, contenuta, ricca di umanità”.
Andrea, il protagonista del libro, ha due grandi passioni: la scrittura ed il jazz. Cosa l’ha spinta a scegliere queste caratteristiche per il suo personaggio? Si è forse ispirata a qualcuno che conosce?
“Forse a me stessa, inconsciamente; me ne sono resa conto più avanti, durante la scrittura; nel personaggio riversavo pensieri miei, mie attitudini e il piacere della musica, che nel caso di Andrea ho limitato al jazz, forma musicale di estrema libertà per gli esecutori, quella libertà che il protagonista vorrebbe ottenere anche nella vita. Volevo trasmettere le impressioni musicali con le parole, descrivere le sonorità. Anche le parole sono musica. Le frasi che pronunciamo hanno un andamento musicale, fatto di toni acuti o più bassi, di ritmi, di pause. Trovo che parole e musica seguano spesso lo stesso binario e non è stato difficile accoppiarle in un unico personaggio”.
Nella narrazione è importante la dimensione del viaggio. Che significato ha per lei?
“Anche il viaggio è libertà, libertà dagli schemi quotidiani, dalle strutture imposte. Ma anche momento di socializzazione, l’incontro fortuito delle persone più disparate, il momento di osservazione privilegiato dell’umanità”.
Andrea è un attento osservatore e prende ispirazione dalle persone che incontra in treno, per scrivere. Che cosa rappresenta invece per lei la scrittura?
“Per molti anni ho covato il desiderio di scrivere, non avevo mai il tempo di assecondare questa inclinazione dell’anima. Per scrivere bisogna entrarsi dentro, nel profondo, conoscersi e razionalizzare, organizzare, riflettere. La vita mi portava a occuparmi di altro e di altri, principalmente dei figli, al di fuori di me stessa, e non lasciava spazio per l’interiorità. Avevo molte cose da esprimere, ma le snobbavo, non ne tenevo conto. Poi lo scrivere venne allo scoperto: decisi di accontentare i figli ai quali raccontavo della mia infanzia, negli anni Cinquanta del secolo scorso, in un palazzo della Roma antica, una vita piena di difficoltà, ma anche di fascino, di oggetti e sapori perduti…Mi chiesero di scrivere ciò che raccontavo, per mantenerne memoria. Così ho cominciato, con quelle memorie biografiche, un passato che sembra preistoria, in cui si scriveva con la penna con il pennino e l’inchiostro, il calamaio e la carta assorbente”.
Pubblicare un libro è un’ambizione o un’illusione?
“Né l’una né l’altra. Dal momento che si hanno milioni di cose e pensieri da riversare su carta si è consapevoli che la scrittura è esternazione; il pubblicare è il corollario. Per ogni artista, musicista, pittore, danzatore, attore, mostrarsi al pubblico, rivelarsi nella propria forma applicativa diventa un’esigenza, la conclusione del proprio iter creativo. Per gli altri, ma prima di tutto per se stessi”.
Una sua riflessione sul mondo dell’editoria ai giorni nostri.
“Non saprei, non è molto che ‘bazzico’ l’ambiente. Sicuramente sono stata fortunata nel trovare un’editrice attenta, che mi ha aiutata a venir fuori dal bozzolo della mia timidezza professionale. Leggo moltissimo e mi sento sempre inadeguata, timorosa che ciò che scrivo non sia degno di comparire in pubblico. Il mondo editoriale da un lato mi spaventa, a volte mi sembra una giungla di caimani, dall’altra mi sembra di guardare un mare agitato dall’alto di una scogliera, la tempesta è in basso, se ne sente soltanto il fragore e l’odor di salmastro”.
Qual è il suo concetto di successo?
“Lontano dal clamore, il successo non arriva, se non di rado, per caso, si costruisce lentamente sui propri meriti e non a gomitate. Non dev’essere presuntuoso, prepotente, cialtrone, ma una qualifica gratificante, un riconoscimento dei meriti personali, in qualunque campo dell’ingegno umano. Ma forse è solo utopia…”.
Maria Letizia Putti è romana, “emigrata” nella Tuscia meridionale. Laureata in Archeologia e topografia medioevale, ha insegnato storia dell’arte e collaborato con la Rai come scrittrice di testi radiofonici. Da anni si occupa di conservazione del materiale librario antico e moderno presso una biblioteca scientifica statale. Autrice di articoli tecnici e appassionata cultrice di musica, ha esordito nella narrativa con Il passato remoto (2014, riedito nel 2016 come e-book). Per la Graphofeel ha scritto la biografia romanzata La signora dei Baci. Luisa Spagnoli (2016).