Una guida improvvisata, il signor Franco ci porta negli angoli più nascosti della città, che nessuna guida riporta, dove storia e tradizione si parlano una lingua misteriosa e sconosciuta.
Scicli, dall’architettura barocca all’insediamento rupestre. E’ il set della popolare serie televisiva del commissario Montalbano ed è uno scrigno di bellezza barocca ben custodita, perla dell’Unesco da qualche anno.
La cittadina siciliana di Scicli, meno conosciuta delle vicine Noto e Modica, ti conquista se sai scoprirla vicolo dopo vicolo e ti fermi a parlare con la gente del posto.
Può capitare, per esempio, che sulla piazza di fronte al Palazzo del Municipio, in cui si trova la famosa “stanza di Montalbano”, si avvicini all’improvviso un signore sulla sessantina e con fare discreto manifesti la sua disponibilità a portarti in giro per farti conoscere quello che di Scicli le guide non scrivono.
“Avete già visto la chiesa di San Giovanni Evangelista con il Cristo in gonnella, la chiesa Madre con la Madonna a cavallo e la chiesa di San Matteo lassù in cima al colle?” – ci domanda. “Ovviamente sì!” rispondiamo noi.
Il giro delle splendide chiese è il primo itinerario che si batte arrivando a Scicli, colpiti dall’architettura religiosa che s’impone su tutto creando uno skyline unico di campanili giallo barocco siciliano.
Quello che le guide non raccontano sono le tante storie che ogni palazzo nobiliare nasconde, ogni balcone animato di figure mitologiche, mostri e putti è un aneddoto di vicende locali, di antiche antipatie o di amori clandestini tra i componenti delle famiglie nobili dirimpettaie.
“Ah se queste statue potessero parlare!”. Il signor Enzo, la nostra guida casuale, sa tutto degli sciclitani e passeggiando con lui tra i palazzi delle famiglie Penna e Iacono, dove si trova la questura dell’immaginaria Montelusa inventata dallo scrittore Andrea Camilleri, si vengono a scoprire storie incredibili di secoli fa. Le figure dei balconi parlanti sono un concentrato di superstizione, ripicche e sfarzo esibito.
Tradizione sacra e tradizione profana convivono perfettamente a Scicli. Il centro storico, patrimonio dell’Unesco, è pieno di palazzi barocchi come di chiese. E si avverte quella religiosità, tutta siciliana, molto terrena che faceva scrivere a Leonardo Sciascia in “La corda pazza” che una festa religiosa in Sicilia “è tutto tranne che una festa religiosa”.
La cerimonia più importante dell’anno di Scicli ne è un esempio. Si svolge a fine maggio e viene portata in processione la Madonna delle Milizie, una grande statua in cartapesta – unica raffigurazione della Vergine guerriera della cristianità e unica manifestazione in cui si commemora la discesa della Vergine a cavallo che, armata di spada, salva la città dalle invasioni degli arabi (il fatto storico è la vittoria dei soldati cristiani, guidati dal normanno Ruggero d’Altavilla, sui saraceni nel 1091).
Per ricordare l’evento gli sciclitani, divisi in due gruppi con cavalli e abiti storici, simulano la gloriosa battaglia, mescolando la tradizione popolare con tradizione religiosa.
Per scoprire fino in fondo la città e capire le sue contraddizioni, bisogna lasciarsi alle spalle le tracce di barocco e tuffarsi nella tradizione rupestre che vive ancora oggi in quel che resta delle grotte di Chiafura, un insediamento meno conosciuto dei Sassi di Matera, ma ugualmente interessante.
Pier Paolo Pasolini, che visitò per la prima volta il quartiere nel ’59, lo descrisse così: “Che cosa dovevo vedere a Scicli? E cosa invece ho visto? È presto detto. Le caverne. (…) da lontano non si nota nulla, ma salendo per sentieri che sono letticciuoli di torrenti, sopra le ultime casupole di pietra della cittadina, si sale una specie di montagna del purgatorio, con i gironi uno sull’altro, forati dai buchi delle porte delle caverne saracene, dove la gente ha messo un letto, delle immagini sacre o dei cartelloni di film alle pareti di sassi, e lì vive, ammassata, qualche volta col mulo (…)”.
Salendo lungo il torrente, è incredibile osservare la parete rocciosa della conca tutta bucata da grotte dove è difficile pensare che potessero vivere delle intere famiglie. Erano circa 800 le persone che vivevano in ciascuna di quelle bocche di pietra grandi al massimo 30 mq, dei loculi che in epoca bizantina erano utilizzati come cimitero e che solo dopo le invasioni saracene furono utilizzate come abitazioni.
E così fino a metà agli anni ’60 quando, grazie al dibattito creato dalla visita di alcuni intellettuali, tra cui Pasolini, Carlo Levi e Guttuso, divennero un caso di vergogna nazionale da rimuovere. Seguì lo sfollamento e l’abbandono delle grotte, fino alla riscoperta negli anni ’80 e alla riqualificazione negli ultimi anni.
I ricordi della vita all’interno delle grotte sono ben scalfiti nella mente degli sciclitani e il signor Enzo ci tiene a farci conoscere Carmelo Raimondo che ha vissuto lì insieme alla famiglia condividendo gli spazi con gli animali. Oggi che una casa vera ce l’ha, ha voluto ricreare nella grotta lo stesso ambiente della sua infanzia. Il risultato è uno straordinario museo privato, “a rutta ri Ron Carmelo” dove si possono vedere “la casa e le cose ri na vota”: il letto di paglia (dove dormiva tutta la famiglia), a “naca o viento” (la culletta che scendeva giù dal soffitto), il braciere, suppellettili di ogni genere, il telaio, un antico lavabo, la macina, la trebbiattrice e altri attrezzi da lavoro.
Accanto, in un’altra nicchia, la mangiatoia. “Quando la grotta non bastava più per accogliere la famiglia che diventava numerosa – racconta il signor Raimondo – si scavava la parete per ricavare spazi nuovi dove sistemare i figli”. Un’organizzazione degli spazi rudimentale, ma molto efficiente. L’area dell’insediamento di Chiafura comincia ad essere riqualificata e oltre alla grotta-museo di don Carmelo è stato realizzato, con fondi strutturali europei, un percorso archeologico e storico-antropologico.
E comincia anche ad esserci un mercato di vendita delle grotte. “Per una di circa 30 mq con vista sulla vallata – ci dicono – il prezzo di partenza è 50mila euro, ma si può trattare!”.
Sono molti gli stranieri che decidono di trasferirsi a Scicli. C’è un fermento di artisti e fotografi rinomati – lo si nota dalla presenza di molte gallerie d’arte contemporanea nel centro storico e ce lo conferma il signor Enzo. Visitando la città si crea un’insolita alchimia con le persone che sprigionano una vitalità e una saggezza antica.
E’ uno dei pochi posti rimasti in Italia dove è possibile ancora visitare la bottega dello stagnino con le sue infinite “opere” e storie da raccontare. “Zingaretti veniva sempre qui a trovarmi tra una ripresa e l’altra di Montalbano. Ci facevamo delle lunghe chiacchierate” – ci tiene a ricordare. “Sono l’unico rimasto a fare questo mestiere qui e il problema è che neanche mio nipote, sono sicuro, avrà voglia di impararlo” – conclude con amarezza.
Certo è che ha ragione il saggio signor Enzo, grazie al quale abbiamo scoperto molto altro oltre all’architettura barocca di questa città: “Chi viene a Scicli gli piace, chi la visita ci vuole restare, chi ci sta è fortunato”.