Reduce dalla fortunata trasmissione “Quello che non ho”, dove ha fatto il pieno di ascolti, ma anche di critiche, Roberto Saviano continua a far parlare di sé. Deposta l’arma della parola, brandita dagli schermi di La7 in queste sere, l’autore di Gomorra ha imbracciato ben altri arsenali e ha imboccato le vie legali, citando in giudizio l’editore del Corriere del Mezzogiorno a cui ha chiesto 4,7 milioni di euro per i danni non patrimoniali e 700.000 euro per danni patrimoniali.
Non esattamente ciò che ci si aspetta da un alfiere della libertà di parola. L’inserto campano del Corriere della Sera, avrebbe, secondo Saviano, intrapreso una campagna diffamatoria nei suoi confronti ospitando, sulle sue pagine, una lettera di Martha Herling, nipote di Benedetto Croce, che smentiva una storia raccontata dallo stesso scrittore campano in tv durante il programma “Vieni Via con me” nel 2010. La storia “incriminata”, raccontata da Saviano in tv e poi riportata in un libro, ha come protagonista un giovanissimo (17 anni) Benedetto Croce, che durante il terremoto di Casamicciola nel 1883 avrebbe, su consiglio del padre morente, offerto 100 mila lire a chiunque gli avesse salvato la vita sottraendolo alle macerie della sua casa di villeggiatura. In pratica, una sorta di “mazzetta” o mancia per chi lo avesse aiutato. Questa versione è stata però smentita dalla nipote del filosofo partenopeo, Marta Herling, direttrice dell’Istituto italiano per gli studi storici di Napoli, attraverso un intervento sul Corriere del Mezzogiorno.
La versione di Croce
Secondo la Herling, la cui lettera è stata pubblicata l’8 marzo del 2011 sul quotidiano campano, Benedetto Croce non fece mai riferimento all’episodio delle 100 mila lire, né in famiglia né tanto meno nei suoi scritti. Nell’opera “Memorie della mia vita” (1902), il filosofo napoletano racconta la vicenda del terremoto in tutt’altri termini:
“Vidi in un baleno mio padre levarsi in piedi e mia sorella gettarsi nelle braccia di mia madre; io istintivamente sbalzai sulla terrazza, che mi si aprì sotto i piedi, e perdetti ogni coscienza. Compresi dopo un poco, e restai calmo, come accade nelle grandi disgrazie. Chiamai al soccorso per me e per mio padre, di cui ascoltavo la voce poco lontano; malgrado ogni sforzo, non riuscii da me solo a districarmi. Verso la mattina, fui cavato fuori da due soldati e steso su una barella all’aperto. Mio cugino fu tra i primi a recarsi da Napoli a Casamicciola, appena giunta notizia vaga del disastro. Ed egli mi fece trasportare a Napoli in casa sua”. Una versione ben diversa da quella esposta da Saviano in tv e nel suo libro, tanto che, sempre secondo la Herling, lo scopo dello scrittore era quello di far passare l’immagine di un sud immobile, inchiodato al malaffare anche nelle tragedie oggi come ieri: dal terremo di Casamicciola fino a quello dell’Aquila, una scia di mazzette che non risparmia neanche i meridionali più illustri come, appunto, Benedetto Croce. Da qui l’accusa di mistificazione rivolta dalla nipote di Croce allo scrittore campano: “Caro Saviano, mi dispiace, c’è anche chi non offre e non riceve “le mance e le mazzette” : questa è mistificazione della storia e della memoria”.
Il problema delle fonti
Dopo la presa di posizione dura, ma autorevole di Marta Herling, molti giornali e alcune trasmissioni televisive hanno ripreso la vicenda in chiave polemica, a volte strumentalizzandola per fini politici, tanto che lo stesso Saviano ha dovuto fornire dei chiarimenti in merito alle fonti della storia da lui raccontata. Secondo lo scrittore la storia di Croce e delle 100 mila lire è stata raccontata da Ugo Pirro, notissimo sceneggiatore dell’epoca, in un articolo del 1950 su Oggi. Ma nell’articolo in questione Pirro attribuisce la storia a un anonimo cronista dell’epoca che avrebbe raccolto la storia direttamente da Benedetto Croce durante la sua permanenza in ospedale, prima del trasferimento a Napoli. Costretto a chiarire ulteriormente Saviano chiama in causa il libro “Cronaca del tremuoto di Casamicciola” dello scrittore e politico Carlo Del Balzo, edito a Napoli nella Tipografia Carluccio, De Blasio &C. nel 1883. Tuttavia anche in questo caso l’autore non riporta la fonte primaria del racconto. Difficile pensare che l’episodio sia stato raccontato a Del Balzo dallo stesso Croce: in tal caso è più che probabile che l’autore lo avrebbe riportato.
Al momento dunque la versione più accreditata resta quella di Croce stesso in quanto fonte primaria e testimone diretto degli avvenimenti in questione. Secondo il Corriere del Mezzogiorno
entrambe le fonti citate da Saviano riporterebbero il racconto di anonimi, influenzati dalle polemiche dell’epoca sul cosiddetto terremoto dei ricchi. Ai posteri l’ardua sentenza, o meglio, in questo caso, ai giudici.
Saviano e la storia
Se la verità su Croce e la “mazzetta” da 100 mila lire, dovrà, oramai, dircela la magistratura, alcuni dubbi sul modo in cui Saviano tratta la Storia, rimangono. L’autore di Gomorra infatti non è nuovo a questo tipo di polemiche e più di una volta è stato accusato di essere un po’ troppo “sbrigativo” nelle sue ricostruzioni. Nell’ottobre 2010 arriva a Saviano una diffida a rettificare le parole scritte nel libro La parola contro la camorra. A diffidare lo scrittore e la sua casa editrice Einaudi, non è stato un camorrista colto in flagrante dalle parole di Saviano, bensì il Centro di documentazione “Giuseppe Impastato” di Palermo, da anni in prima linea contro la mafia, colpito dalla disinvoltura con cui lo scrittore attribuisce, nel suo libro, il recupero della memoria di Impastato esclusivamente all’uscita del film “I Cento passi”. Saviano avrebbe dunque completamente ignorato sia il lavoro del Centro “Giuseppe Impastato” sia la relazione della Commissione Parlamentare antimafia e i risultati dei processi stessi tanto che nella diffida si ritiene ci sia stata “la violazione del principio della verità storica che grava su chi fa o assume di fare informazione e pubblica notizie”.
Altro giro, altra corsa: a febbraio 2012 Saviano interviene su un noto quotidiano per recensire ed incensare il libro Gramsci e Turati. Le due sinistre, di Alessandro Orsini , diventato un caso proprio grazie alla risonanza mediatica data dall’illustre recensore. Nel libro, da alcuni accusato di scarso valore scientifico e metodologico, si paragonano le figure di Gramsci e Togliatti disegnando il primo come il padre di ogni estremismo di sinistra e il secondo invece come il riformista buono. Anche in questo caso l’intervento di Saviano è stato giudicato da molti un po’ troppo superficiale nell’aderire, ideologicamente, senza un minimo di verifica storica alle tesi dell’autore. Ma questa volta le critiche non arrivano dai soliti Sallusti e Ferrara bensì dal campo opposto. Una discussione ideologica più che altro, tuttavia la figura storica di Gramsci, l’italiano contemporaneo più letto e studiato fuori dai confini natali, meritava più attenzione da parte dell’autore di Gomorra.
Saviano è uno scrittore certamente degno di stima e di solidarietà nella sua lotta alle camorre, ma, se eccelle nel raccontare fatti di cui è testimone più o meno diretto, quando si tratta di ricostruzioni storiche si ha l’impressione che lo scrittore campano usi i fatti in maniera un po’ troppo “disinvolta”, piegandoli per renderli funzionali al messaggio che vuole lanciare. Ma il punto non è questo, chiunque può sbagliare, e nessuno può avere delle verità definitive per delle vicende così complesse: l’importante è non ritenersi infallibili a tal punto da mettere in dubbio la stessa libertà di parola. La richiesta dei danni ad un quotidiano per aver posto delle domande sulle sue affermazioni, va contro gli stessi principi che Saviano ha sempre enunciato come gli è stato ricordato dalle colonne dal Corriere del Mezzogiorno: “Nessun cittadino, sia esso conservatore, liberale, progressista, può considerare ingiuste delle domande. (…) Spero che tutti abbiano il desiderio e la voglia di pretendere che nessuna domanda possa essere inevasa o peggio tacitata con un’azione giudiziaria. È proprio attraverso le domande che si può arrivare a costruire una società in grado di dare risposte”, queste le parole che lo scrittore pronunciò giustamente sul caso delle domande di la Repubblica a Berlusconi.
Oggi il rischio, per l’autore di Gomorra, è di diventare un’icona, un personaggio mitico che non si può contraddire. Una specie di santone, portatore di verità assolute, che ha dei fedeli piuttosto che degli ascoltatori o dei lettori. Purtroppo, invece di sottrarsi a questo prematuro processo di santificazione di cui è la prima vittima, Saviano sembra essere sempre più convinto del suo ruolo profetico, tanto da chiedere 5 milioni di euro a chi si macchia della colpa di ospitare su un giornale opinioni (spesso autorevoli e fondate) diverse dalla sua.