La settimana appena trascorsa è stata certamente segnata da un miglioramento della situazione, o quantomeno da una tregua concessa dai mercati, in attesa di ulteriori sviluppi politici. Occorre appunto ricordare che l’economia rimane una scienza sociale, guidata da uomini e donne che devono guardare a molteplici interessi (in primis quelli elettorali) al di fuori della teoria economica: ecco perché il destino dell’unione monetaria rimane appeso a decisioni prettamente politiche. Alcune di queste decisioni sono state prese, mentre altre sono in fase di discussione.
In questa settimana la discussione planetaria ha riguardato l’implementazione e l’ampliamento dell’EFSF (European Financial Stability Facility), volgarmente chiamato “fondo salva-stati”, emerso il 21 luglio dal consiglio dei ministri delle finanze europei, con una dotazione di 440 miliardi di euro. Questi soldi, messi a disposizione da tutti i paesi dell’area Euro in ragione della propria ricchezza, dovrebbero garantire le perdite derivanti da un eventuale default di un paese, in particolare della Grecia. In altre parole, si andrebbero a risarcire i possessori di titoli del debito greco, principalmente istituti bancari, in modo da evitare crisi di panico che porterebbero ad una corsa agli sportelli. Il ragionamento è molto semplice: se una banca possiede una grande quantità di titoli greci, rischia di fallire se questi diventassero carta straccia. Una persona che ha un deposito di denaro presso quella stessa banca, semplicemente leggendo sui giornali di un possibile default, teme di perdere i propri soldi, quindi si reca ad uno sportello qualunque per ritirarli e metterli altrove. Se la maggior parte dei correntisti di questa banca ragiona in questo modo, in poche ore l’istituto non sarà in grado di rimborsare i depositi, dato che in cassa detiene solo una piccola parte dei soldi raccolti, come consentito dalla legge. Qualcosa di simile, come molti ricorderanno, successe in Argentina all’inizio del nuovo millennio. Il fondo messo a punto dall’Europa in via straordinaria dovrebbe appunto scongiurare questo pericolo, coprendo le perdite delle banche.
Le critiche a questo meccanismo arrivano da più parti e sono spesso diametralmente opposte. Gli Stati Uniti, per bocca sia del presidente Obama che del segretario di Stato al tesoro Geithner, sostengono che l’EFSF, allo stato attuale, non sia di dimensioni sufficienti per rassicurare i mercati, sottolineando tra l’altro come questa misura sia stata adottata tardivamente, ovvero quando la crisi si era già pericolosamente allargata. I 440 miliardi in questione, infatti, sarebbero appena sufficienti a gestire un eventuale default greco, ma nulla potrebbero contro una crisi italiana o spagnola. Non è un caso che dal G20 dei ministri dell’economia, tenutosi a Washington, siano arrivate voci non smentite di un fondo di 3.000 miliardi, con i quali mettere al sicuro gli istituti di credito europei maggiormente esposti. La notizia, giunta all’inizio di questa settimana, ha determinato subito un miglioramento negli indici di borsa, guidato dal repentino rialzo dei titoli bancari. Il clima tra Europa e USA resta però molto teso, come testimoniano le parole pronunciate da Juncker, presidente dell’Eurogruppo: “non sono stati i lavoratori e i disoccupati greci, irlandesi o portoghesi ad aver fatto fallire la banca Lehman Brothers (…) spesso si dimenticano le vere responsabilità della crisi attuale”.
Se gli USA ritengono che il fondo sia troppo piccolo e tardivo, molti europei credono che sia completamente inutile e controproducente. Alcuni paesi, in primis la Germania, si sono da sempre dichiarati contrari verso qualunque tipologia di salvataggio nei confronti degli stati che non sono in grado di assicurare la stabilità dei conti pubblici. Il fondamento teorico di tale posizione, che si pone alla base della “clausola di non salvataggio” inserita nel trattato di Maastricht e viene ripreso dal Patto di Stabilità, risiede nel concetto di “azzardo morale”: un governo può non badare alla tenuta dei conti pubblici, se tanto prima o poi qualcuno lo aiuta dall’esterno. Tuttavia oggi (giovedì 29) il parlamento tedesco ha approvato l’ampliamento dello strumento salva-stati, dimostrando di fatto di aver ceduto alle pressioni esterne, mentre gli elettori non vedono di buon occhio l’utilizzo massiccio di fondi pubblici per salvare l’Euro: il timore principale è che la Germania possa perdere il rating AAA che le agenzie le assegnano. I più “europeisti”, tra cui il presidente della Commissione Barroso, sono convinti invece che il fondo salva-stati debba diventare permanente, intravedendo forse l’impossibilità di continuare con una gestione economica europea a livello nazionale. Il progetto è già in cantiere, sotto il nome di ESM (European Stability Mechanism), che dovrebbe sostituire l’EFSF dal 2014. Se il nuovo fondo fosse finanziato con titoli del debito europei (i famosi eurobond), questo permetterebbe di decuplicare l’ammontare attuale in breve tempo, ma il rischio d’insolvenza sarebbe condiviso tra tutti i paesi. Chi ha un rating alto e un debito contenuto, come la Germania, è ovviamente contrario a tale proposta, poiché rischierebbe di pagare interessi maggiori rispetto a quelli attuali; viceversa paesi come l’Italia spingono in questa direzione per ridurre gli oneri.
Fuori dai giudizi delle alte sfere dell’economia mondiale, esiste un altro fronte contrario all’adozione di una misura per salvare l’Euro attraverso un’ulteriore iniezione di liquidità nel sistema finanziario, composto da cittadini sparsi in tutto il globo, ma specialmente nei paesi a rischio come la Grecia. L’altra faccia della medaglia di questi piani di salvataggio, infatti, è rappresentata dalle misure di austerità a cui sono sottoposti i cittadini, che subiscono tagli agli stipendi e aumenti delle tasse. L’accusa nasce dal fatto che, mentre i governi chiedono al popolo enormi sacrifici, si vanno ad aiutare coloro che più hanno guadagnato dalla speculazione, ovvero gli istituti bancari, dai quali è sempre più difficile ottenere prestiti e servizi.
Al di là della reale volontà del G20 di creare o meno un fondo di 3.000 miliardi, si spera che l’effetto annuncio sia sufficiente a riportare un po’ di fiducia verso i mercati europei, in attesa della valutazione della “trojka” (Commissione europea, BCE ed FMI) che si trova ad Atene per valutare l’efficacia delle misure per il rientro del deficit, tra manifestazioni e ministeri occupati. Da questi incontri dipenderà la decisione del Consiglio per il versamento della prossima tranche di aiuti alla Grecia.