Il caso Sallusti pone, tra le altre cose, due questioni che non devono passare sotto silenzio: una relativa al contenuto dell’articolo che ha sollecitato la querela per diffamazione da parte del giudice Cocilovo, e la seconda relativa alla manipolazione dell’intera vicenda in corso. La querela del giudice è terminata con una sentenza che gli dà ragione e che inchioda Sallusti a una serie di responsabilità previste dal Legislatore prima che Sallusti fosse Sallusti, e che questi, in quanto direttore di un giornale era tenuto a conoscere.
Punto primo: l’ editoriale pubblicato su Libero il 18 febbraio 2007 è un coacervo di false notizie, come ha dichiarato lo stesso autore, Renato Farina, radiato dall’Ordine, deputato del Pdl, che si firmava Dreyfus. E quando l’articolo è anonimo ne risponde appunto il direttore.
La storia reale è quella della madre di una bambina di 13 anni rimasta incinta da un altro minore, che si rivolge – come vuole la legge – al giudice tutelare per poterla fare abortire. Il giudice tutelare dà – come vuole la legge – la libertà di scelta alla donna, la quale opta per l’aborto della figlia viste le gravi condizioni in cui versano entrambe.
Se riflessione giornalistica ci fosse stata sarebbe dovuta essere sul perché una bambina di 13 anni nel 2007 resta incinta di uno di 15. E perché non era stata informata da nessuno su come non trovarsi in questa situazione. Solo la bambina, sulla pelle della quale si sta facendo l’ennesima vergognosa battaglia, è la vera vittima di tutta la storia. Dall’inizio alla fine. Le altre grandi vittime, anche se con diversi distinguo, sono i lettori di Libero con i quali nessuno, ad oggi, si è scusato. Trattati col massimo del disprezzo, sono quotidianamente raggiunti da questo messaggio: vi diciamo panzane, ve lo confessiamo pure, ma ci imbastiamo sopra un’altra panzana.
Il sommario dell’editoriale incriminato così recitava:
“Una adolescente di Torino è stata costretta dai genitori a sottomettersi al potere di un ginecologo che, non sappiamo se con una pillola o con qualche attrezzo, le ha estirpato il figlio e l’ha buttato via”.
La pillola è chiaramente un’allusione alla Ru486 sulla quale periodicamente si ritorna, in particolare durante le campagne elettorali della destra che – dichiarando così la sua reale impotenza – ha l’ossessione del controllo di corpi, in particolare delle donne, e del controllo della sessualità sotto le mentite spoglie “liberal”. Si noti poi l’oscena violenza dell’immagine evocata: “un attrezzo” e un “ figlio”, come se fosse già nato, buttato via.
Le parti più ripugnanti tuttavia sono quelle in cui l’autore parla della maternità tradita dagli adulti, quel giudice e quella madre:
“Strappare in fretta quel grumo dal ventre della bimba prima che quell’Intruso frignasse, e magari osasse chiamarli, loro tanto giovani, nonna e nonno. Figuriamoci. Tutta ’sta fatica a portare avanti e indietro la pupa da casa a scuola e ritorno, in macchina con la coda, poi a danza, quindi in piscina. Ora che lei era indipendente, ecco che si sarebbero ritrovati un rompiballe urlante e la figlia con i pannolini per casa”. […]
Continua dicendo che la ragazza è ricoverata “pazza” e che quindi una banda di (delinquenti) abortisti hanno puntato sulla sua educazione nelle discoteche e alle Maldive. Manco fossero tutti Berlusconi o Santanché col suo Billionaire. Nel caso di specie, in realtà, madre e figlia sono indigenti:
Ora la piccola madre (si resta madri anche se il figlio è morto) è ricoverata pazza in un ospedale. Aveva gridato invano: «Se uccidete mio figlio, mi uccido anch’io». Hanno pensato che in fondo era sì sincera, ma poi avrebbero prevalso in lei i valori forti delle Maldive e della discoteca del sabato sera, cui l’avevano educata per emanciparla dai tabù retrogradi.
Renato Farina arriva perfino a sentirsi madre lui stesso:
“ Una nausea odiosa, ma così rasserenante: più antica dell’effetto serra, qualcosa che sta alla fonte del nostro essere.”
Poi passa alla biopolitica, concetto che maneggia male essendone l’espressione perfetta:
“Per ordine di padre, madre, medico e giudice per una volta alleati e concordi. Stato e famiglia uniti nella lotta”.
Questa roba, infame per tutti i significati che contiene, è uscita nel breve periodo di vita di governo del centro sinistra e l’aborto è appunto il tema forte per recuperare i voti dei famosi “moderati”. L’ “anti aborto”, truffaldinamente chiamato “diritto alla vita”, è un tentativo di controllo delle donne verso una visione sempre meno laica dello stato, che comprende anche la tendenza a escludere le donne dalla vita professionale e politica. E’ anche una delle armi più usate dal centro destra insieme agli immigrati e i rom con una notevole possibilità di sponda anche nel centro sinistra. Basti ricordare che durante la campagna elettorale per la regione Lazio, che poi ha premiato l’ottima Renata Polverini, la questione “aborto” è stata tra la più sfruttate proprio per tessere un ponte necessario col Vaticano contro l’avversaria, Emma Bonino.
Uscito dai panni di madre Farina, entra poi in quelli di Imam integralista e passa alla fatwa (o anche istigazione all’odio):
“se ci fosse la pena di morte, e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo e il giudice”.
Infine il cuore della diffamazione:
“Quattro adulti contro due bambini. Uno assassinato, l’altro (l’altra, in realtà) costretto alla follia. Si dice: nessuno tocchi Caino, ma Caino al confronto aveva le sue ragioni di gelosia. Qui ci si erge a far fuori un piccolino e a straziare una ragazzina in nome della legge e del bene”.
Pertanto la definizione giuridica di Sallusti come “socialmente pericoloso” è assolutamente esatta. Non può non aver letto una roba simile, che non è affatto un’opinione, su due pagine ( di cui una è la prima) del giornale che dirige. O allora è come Schettino. E quindi quando evoca le “palle” dovrebbe pensare innanzitutto a se stesso.
Il secondo punto riguarda la manipolazione mediatica della vicenda in questi giorni.
L’articolo all’epoca passò praticamente sotto silenzio così come passano sotto silenzio le allucinanti istigazioni all’odio e all’omicidio espresse quotidianamente da Radio Padania e documentate con cura da Daniele Sensi sull’Espresso, nel silenzio generale.
Scoppiato il caso, in questi giorni ci si è subito posizionati sugli unici due temi che hanno animato il dibattito pubblico italiano negli ultimi dieci anni: la “libertà di opinione”(in realtà: chi ha più potere nei media di dire qualsiasi cosa) e l’altro, la solita guerra ai magistrati. Secondo Filippo Facci, che commenta sul Post.it, il giudice Cocilovo infatti non doveva neppure fare querela, e anzi, una volta fatta doveva semmai ritirarla.
Ma l’epitome dell’imbroglio tra politica potere e comunicazione ci viene dalla onorevole Daniela Santanché fidanzata della falsa “vittima” Sallusti. A Pomeriggio Cinque da Barbara D’Urso (conduttrice esperta in tette, chirurgia plastica e Isola dei Famosi) la deputata Pdl, come un’eroina Harmony, ha rivendicato la lotta per la libertà del suo attuale fidanzato (potete leggere il resoconto integrale della puntata cliccando sul titolo che compare nella colonna a destra, tra gli articoli correlati a questo). Tale fidanzato oggi è direttore del Giornale di proprietà di Berlusconi che pure l’ha nominata deputata, e che è proprietario della tv dove lei si trova a lamentarsi della “casta” dei magistrati obiettivo politico solito sempre di Berlusconi. Il che dà come un senso di vertigine ma anche della patacca che ti stanno rifilando.
Le voci a favore di Sallusti sono state unanimi: tutti rivendicano la libertà di espressione. Una conclusione falsa cui si giunge da premesse altrettanto false.
La prima premessa è che non si è trattato di una notizia ma di un’invenzione, mentre i personaggi coinvolti e accusati erano veri.
La seconda premessa falsa è che non si è trattato di un’opinione ma di una diffamazione a mezzo stampa.
La conclusione di queste due false premesse pertanto non può essere la “libertà di espressione” che finisce esattamente dove inizia “la diffamazione”.
Il decreto che oggi invocano i colleghi di Alessandro Sallusti e il mondo politico per salvarlo “affinché non diventi il simbolo di arretratezza” (più di quanto in realtà il direttore non lo sia già di suo) è perciò un decreto per garantire a alcune persone che gestiscono fette di potere mediatico la libertà di distruggere o meno l’esistenza di un individuo per ragioni di opportunità politica e di conservazione del proprio potere anche economico, senza incorrere in alcuna pena.
Questa è la battaglia di Sallusti oggi, questo è precisamente cosa si sta affermando.
Tuttavia, poiché ripugna effettivamente sapere Sallusti in galera proprio per il danno socio culturale che la cosa può generare, chiunque sarebbe pronto a firmare qualsiasi appello perché il decreto salva Sallusti acceleri il suo iter, purché però si spieghi realmente cosa si sta facendo. Oltre al dettaglio che quando parla di palle sa perfettamente già che non andrà mai in galera. Ma intanto ha rosicchiato una fetta di dibattito pubblico per prendersi altri pezzi di democrazia chiamandola al solito “libertà”.
Addirittura ci si rivolge confusamente a Monti, perché l’Italia sarebbe l’unico paese in Europa con queste tremende leggi che impedirebbero la parola. In Italia i reati di opinione non esistono più.
Come spiega Michael Braun corrispondente del quotidiano berlinese Die Tageszeitung e della radio pubblica tedesca, nell’Internazionale:
“Uno sguardo al codice penale tedesco ci dice subito che la diffamazione è reato punibile con due anni di carcere, e se avviene a mezzo stampa la pena sale addirittura fino a cinque anni. Insomma: chi, utilizzando le pagine di un giornale, denigra qualcuno ricorrendo ad affermazioni palesemente false rischia la galera anche in Germania” .
Secondo Daniele Santanché “vedere un innocente in carcere sarebbe la cosa peggiore. In Italia non vanno in galera i ladri, gli stupratori, i pedofili”.
Ci vanno però clandestini in cerca di libertà tout court . Ma è un’altra storia, che riguarda e molto Daniela Santanché.