A volte bastano poche stagioni per segnare cambiamenti epocali. Luci cinesi 1981/2011. Reportage di Enrico Rondoni ne è un esempio, una testimonianza incisiva dei grossi capovolgimenti registrati nel Paese della rivoluzione maoista entrato nel 2001 a far parte del Wto, l’organizzazione mondiale del commercio. La mostra inaugurata al Museo Nazionale Romano delle Terme di Diocleziano nell’ambito della Biennale internazionale di cultura “Vie della Seta” resterà aperta fino al prossimo 26 febbraio. Realizzata e curata dallo stesso Rondoni con l’allestimento dell’architetto Donata Tchou, l’esposizione documenta e racconta attraverso oltre 100 fotografie a colori e in bianco e nero, la trasformazione della Repubblica Popolare Cinese. Giunto a Shanghai nel 2010 per un reportage televisivo sull’Expo Universale, Rondoni resta stupito dalla spettacolare organizzazione e delle potenzialità economiche che la Cina intende mostrare. Munito per abitudine di macchina fotografica e rullini, Rondoni ha fissato quei notevoli e veloci progressi attraverso l’obiettivo. Convinto sostenitore dell’idea che uno scatto possa esprimere molto più di tante parole e fervido estimatore della fotografia come mezzo di comunicazione ed espressione artistica, Rondoni, dopo essere tornato in Italia e aver realizzato per il Tg5 lo speciale La zampata del Dragone, ha iniziato a ricercare gli scatti realizzati nel 1981 e nel 1983, negli stessi luoghi, per i suoi primi reportage giornalistici. È nato così il progetto di un viaggio per scatti che va dal 1981 al 2011, un percorso all’indietro nel tempo che presenta in modo preciso e puntuale quel progresso tanto veloce quanto inquietante, reso ancor più evidente dal confronto tra le fotografie e dal raffronto con un’epoca molto più lontana di quanto non si immagini.
Modernizzazione e paura della disoccupazione
La Cina dei primi anni Ottanta era infatti ancora completamente immersa in una civiltà contadina. Nonostante la morte di Mao Tse-Tung (1976) e le quattro modernizzazioni volute da Deng Xiao Ping, le comuni popolari continuavano a essere una realtà e venivano fatte visitare con orgoglio e fierezza, ai residenti delle città in particolar modo. L’unica differenza introdotta rispetto ai tempi della rivoluzione culturale era la possibilità di coltivare e vendere privatamente parte di quanto prodotto. Colpiva la mancanza di macchine agricole, l’arretratezza industriale e il timore che la meccanizzazione del lavoro potesse ridurre il tasso di occupazione. Il turismo straniero era quasi inesistente e gli stessi cinesi non potevano muoversi liberamente all’interno del loro Paese. Ma il paese immortalato da Rondoni nei primi anni Ottanta appare oggi un altro mondo. Sono passati solo tre decenni da allora ma le vecchie case in legno, il lavoro nei campi, il sorriso degli anziani e gli sguardi dei bambini nella scuola elementare della comune del popolo sono ormai un lontanissimo ricordo. La Cina del 2011 è il Paese dei grandi numeri, il Paese dei record con metropoli da oltre 20 milioni di abitanti, con il 9% di Pil, 200 milioni di consumatori con un reddito medio, 9 milioni di nuovi abbonati alla telefonia ogni mese, oltre 4 milioni e mezzo di auto vendute solo nel primo semestre dello scorso anno, mezzo milione di super ricchi e oltre 54 milioni di turisti che annualmente escono dai confini della Repubblica Popolare.
I contrasti che emergono da Luci cinesi 1981/2011 sono forti e inquietanti soprattutto per l’impatto sociale che comportano ma, rispondendo come farebbero i cinesi citando Deng Xiao Ping, “i primi ricchi aiuteranno gli altri a diventarlo”. Rimane tuttavia ancora vivo il ricordo dell’accoglienza di un tempo e la serenità nella modestia, ma si sa, ovunque, il ritmo frenetico cambia l’espressione nei volti. Quel che sembra rimasta invece inalterata è l’oppressione nei confronti dei monaci buddisti e non è un caso che le ultime foto del reportage siano state scattate in Tibet, nel 2011.