Si chiamerà Centre for the Study of Existential Risk (Cser) e vedrà la luce il prossimo anno presso la veneranda università inglese di Cambridge. Gli ideatori del centro studi dei rischi esistenziali a cui l’umanità andrà in contro nei prossimi anni, sono l’astronomo reale ed ex presidente della Royal Society di Londra Lord Martin Rees, Huw Price, un professore di filosofia della Cambridge University e Jaan Tallinn programmatore e co-fondatore di Skype.
Già ribattezzato da molti Terminator Centre, il nuovo dipartimento dell’università britannica si propone di studiare e prevenire le minacce alla sopravvivenza della specie umana che arrivano dalle nuove tecnologie e in particolare dall’incredibile sviluppo dell’intelligenza artificiale. Secondo il filosofo Huw Price è probabile che in futuro “non saremo le cose più intelligenti in circolazione” e potremmo arrivare a dipendere da “macchine che sebbene non maligne non terranno in conto i nostri interessi”.
Benvenuti in Matrix
Un futuro prossimo simile a quello descritto dalla letteratura e dal cinema di fantascienza degli ultimi anni: come nella saga di Matrix le macchine, sempre più autonome e autosufficienti, potrebbero prendere il sopravvento sugli esseri umani fino a ridurli a meri oggetti da sfruttare per fini tutt’altro che umani. Se, a prima vista, questo scenario può sembrare un po’ troppo fantasioso o addirittura paranoico basta considerare i recenti sviluppi della robotica e dell’intelligenza artificiale per rendersi conto che la linea di confine fra realtà e fantascienza è sempre più sottile. D’altronde siamo ormai abituati ad essere surclassati da computer iperintelligenti che primeggiano in attività che credevamo esclusivo appannaggio della specie umana. Chi non ricorda Deep Blue , il supercomputer che negli anni ’90 riuscì a battere Garry Kasparov, l’allora campione del mondo di scacchi? Oggi il nuovo “cervello elettronico” targato IBM che di nome fa Watson, riesce tranquillamente a sconfiggere i campioni mondiali di Jeopardy!, un quiz televisivo americano con domande molto complesse e sofisticate sfumature di significato.
In effetti basta pensare a quanti personaggi meno intelligenti di un pc portatile si ritrovano oggi ai vertici della nostra società per rendersi conto che il sorpasso è già avvenuto. In Italia abbiamo esempi di tutto riguardo (Calderoli o Gasparri li sostituiremmo volentieri con qualsiasi cosa intelligente, fosse anche una macchina). Un mondo dominato da macchine più intelligenti dell’uomo potrebbe, a conti fatti, avere anche alcuni vantaggi. E in effetti la realtà oggi come oggi di umano ha già ben poco se il benessere di molti è sempre più sacrificato sull’altare degli interessi di pochi che si giustificano mostrando i grafici dello spread o del debito pubblico. Un dominio delle macchine contribuirebbe quantomeno a ristabilire un po’ di equità. In Europa e, soprattutto in Italia, siamo ormai abituati da tempo a convivere con rischi esistenziali di ogni tipo, il dominio delle macchine potrebbe rivelarsi solo la ciliegina sulla torta.
Mentre attendiamo di sostituire definitivamente con delle macchine intelligenti, i nostri governanti che hanno dimostrato, in questi anni, capacità da Commodore64 (per restare nella metafora informatica), dovremmo chiederci come abbiamo fatto ad arrivare al punto di rischiare l’estinzione a causa di oggetti che abbiamo creato per migliorare la vita quotidiana e che invece rischiano oggi di surclassarci.
L’Intelligenza Artificiale
Se si pensa a quanti sistemi complessi a livello industriale, militare e civile sono oggi gestiti automaticamente dai computer, ci si rende conto che la possibilità di ritrovarci a vivere in una realtà sempre più simile a un romanzo di Philip Dick, sono tutt’altro che remote. Ma come siamo arrivati a questo punto? Il desiderio di dare vita a delle macchine intelligenti è vecchio quanto l’uomo: si pensi al mito del Golem o a quello più recente di Frankenstein. Tuttavia è solo nel ‘900, con la nascita dell’Intelligenza Artificiale come campo applicativo delle scienze che siamo arrivati veramente vicini alla meta.
Il termine “Intelligenza Artificiale” nasce negli anni ’50, coniato da Johon Mc Carthey e Marvin Minsky che non a caso fu uno dei principali consulenti di 2001 Odissea nello spazio. Nel film in questione, il computer intelligente HAL 9000 prende il sopravvento sugli umani dell’equipaggio. L’Intelligenza Artificiale, come campo di studio e di ricerca, ha avuto, negli anni successivi, grande seguito perché si basa sul paragone fra il cervello umano e il computer: il computer è considerato come una sorta di cervello artificiale e il cervello come una sorta di computer biologico, e come tale è stato studiato. Oggi si è compreso che la similitudine fra cervello e computer regge solo in maniera superficiale e non è in grado di spiegare la complessità dell’intelligenza umana.
Troppo spesso ci si dimentica che il nostro pensiero si è sviluppato a partire da uno stretto rapporto con il mondo dell’uomo, un ambiente di vita da manipolare, progettare e reinventare. Gli algoritmi matematici sono arrivati molto dopo, il salto evolutivo del cervello umano si è avuto per motivi di sopravvivenza, strettamente connessi alla comunicazione e al continuo scambio di informazioni fra ambiente, individui e fra gli individui stessi. Tutte cose praticamente impossibili da fare senza un corpo. Per questo le cose che sono più facili per noi, come cucinare, guardarsi intorno, afferrare, manipolare e riconoscere oggetti sono le cose più difficili per un computer. Le cose che invece sono più difficili per noi, come la matematica, gli algoritmi e gli scacchi, sono le cose che i computer sanno già fare meglio di noi. Il pensiero astratto è solo una delle tante applicazioni della mente umana, non l’unica. Morale della favola: niente intelligenza (vera) senza corpo.
Il mito del pensiero disincarnato
Il sogno di un’intelligenza astratta, completamente disincarnata, pura e indipendente da ogni forma di limite fisico, ha attraversato la storia del pensiero occidentale fin da principio. Il primo a dividere corpo e pensiero è Platone, per il quale ci sono due mondi separati uno delle idee e l’altro della materia. Ma l’inizio della modernità vede l’apice del dualismo mente/corpo. Cartesio sostiene l’esistenza di due sostanze eterogenee: il pensiero e il corpo, il primo libero disincarnato e astratto, l’altro inconsapevole e privo di volontà, sottoposto alle rigide leggi meccaniche della natura. Da allora in poi l’illusione di poter creare un intelletto onnipotente e una scienza perfetta è arrivata fino ai nostri giorni. Ma il desiderio neanche tanto inconscio, dell’uomo moderno, di disfarsi dei limiti fisici e biologici che la natura gli impone non tiene conto dell’importanza dell’elemento fisico e corporeo quando si parla della mente. In poche parole proprio ciò che per noi costituisce un limite rappresenta contemporaneamente la chiave per l’evoluzione. Si pensi a quante scoperte sono state fatte per errore o mentre si cercava la risposta a tutt’altri problemi. Se non avessimo avuto la possibilità di fallire ripetutamente e di imparare da i nostri errori difficilmente ci saremmo evoluti fino a questo punto.
Oggi appare evidente che viviamo sempre più in un mondo completamente dominato dalla tecnica, sempre più ridotto a mero oggetto da manipolare, in tutte le sue componenti. Se da un lato lo sviluppo delle nuove tecnologie potrà, in un futuro prossimo, risolvere molti problemi che oggi ci sembrano insormontabili, sicuramente porterà con sé nuovi interrogativi e nuovi rischi, anche quello della completa estinzione del genere umano. Cosa fare dunque? Porre un limite allo spirito faustiano della scienza contemporanea sarà sempre più difficile e probabilmente solo vivendo sulla nostra pelle tutti i limiti e gli inconvenienti di una tela concezione della scienza riusciremo a liberarcene definitivamente e a dar vita a dei nuovi paradigmi. Nel frattempo non ci resta che ripetere con Husserl che “Le mere scienze di fatti creano meri uomini di fatto”.