Riusciranno i nostri eroi (nell’intento di ammorbarci)? Ma senza ombra di dubbio sì! Senza alcuno sforzo. Lo avevano definito “il ritorno del grande varietà” su Raiuno.
Ed in effetti così è stato: una varietà di sfumature di noia per il programma che vede Max Giusti nell’infelice ruolo di mattatore, di “one man show” alla guida di uno spettacolo che ha il suo punto di forza in un solo, fondamentale assunto: la totale assenza di un’idea! Anzi no, un’idea c’è perché la dichiarano nei comunicati stampa ed è questa: un live show per premiare il talento ma anche i vizi degli italiani, raccontati e celebrati in ogni puntata dai tanti ospiti che affiancheranno il conduttore come veri e propri protagonisti, interpreti ognuno di un proprio ruolo. Non è bello essere assoluti, ma quando vedi una squadra coi controfiocchi, un “dream team” che va dal regista cinematografico prestato alla tv (ma perché?) Giovanni Veronesi, a ben 3 autori comici (Losito, Terenzi e Rinaldi) e una vecchia gloria come Ivano Balduini che mette in scena la puntata come quella di venerdì, cominci ad interrogarti sullo stato di salute della tv. Ti chiedi, “e ci voleva cotanto ingegno” per inanellare dei monologhi (neanche troppo esilaranti) e delle ospitate?
Pierfrancesco Favino che imita “Bombolo” è un’operazione finissima di recupero intellettuale del trash attraverso la citazione di un bravo caratterista o, per dirla con il ragionier Ugo Fantozzi, è “una cagata pazzesca”? Rocco Papaleo osannato come fosse un superospite di Sanremo è un esempio di comicità naif o fa ridere solo una stretta cerchia di suoi collaboratori e tutti gli altri si adeguano per non fare la parte di chi non ha capito la battuta? Il problema forse è alla base: nella volontà di riferirsi ad un pubblico di una certa età (il famoso pubblico della rete generalista per eccellenza) al quale è obbligatorio dare un prodotto che ricordi quei bei programmi di una volta, da “Studio Uno” a “Teatro 10” tornando indietro a “Un due tre” con Vianello e Tognazzi. Peccato che quei programmi non fossero vecchi nello spirito o rassicuranti nell’intento, peccato che quei programmi avessero una dirigenza marchiata a fuoco dalla Democrazia Cristiana che ti rompeva le palle anche solo se scoprivi una coscia ma chissà perché (forse perché non capivano i testi) faceva passare le gag che ancora oggi ci incantano se le rivediamo.
Anche oggi la dirigenza è molto attenta ma questi spettacoli e le loro gag (gag? quali gag?) non hanno un intento se non quello catastrofico di “intrattenere”. E il problema è proprio questo: nel significato delle parole. Oggi l’obiettivo è tenerti incollato su quella cacchio di sedia. Non importa se stai dormendo, non importa se sei svenuto dalla noia. L’importante è che stai lì. Il significato di intrattenere è preciso: “tenere tra, tenere a bada (da cosa poi? Mistero che andrebbe approfondito) indugiare, ritardare, ma soprattutto ritenere presso di sé”.
Un tempo quei programmi che tanto fungono da punto di riferimento avevano un’altra missione: “divertire”. Divertire ha un significato altrettanto preciso: “Volgere altrove, ricreare, far prendere altra direzione distraendo l’animo da cure e pensieri molesti”. Per divertire entrano in campo forze creative, forze che danno allo spettatore la facoltà di giocare con il proprio pensiero, di riflettere ed infine “andare altrove”, di-vertendosi appunto. E’ tutto qui! Semplice ma complesso allo stesso tempo. Non so se è per l’incapacità della materia prima autoriale o attoriale che è avvenuto il passaggio da “divertire” ad “intrattenere” oppure se è la variabile tempo ad aver calato la mannaia; prima si avevano a disposizione mesi per produrre un “varietà” oggi se hai tre settimane reali puoi considerarti fortunato. Per non parlare del fatto che c’è questa abitudine orrenda di lavorare contemporaneamente sta su altri due tre progetti manco avessimo a che fare con dei Leonardo o dei Michelangelo Buonarroti. Il personaggio funziona? Si spreme, si sovraespone, si prosciuga, riducendone il ciclo di vita. Gli autori firmano un programma di successo? Non importa se questo è accaduto nel secolo scorso, li rivedremo ciclicamente e senza un’idea a riproporci lo schema migliore, quello studiato per non farci cambiare canale. Il risultato: oggi guardiamo con affetto i programmi di 40 anni fa ma tra 40 anni chi avrà il coraggio di rivedere tre ore di “Riusciranno i nostri eroi?”. Detto questo Andalù vi saluta e si porta via Laura Chiatti e Donatella Finocchiaro, messe in questo programma per rappresentare la settima arte ed utilizzate per insulsi siparietti e per cantare, male, Mina, e per ricordare, moscia, Gabriella Ferri. Provo a riportarle nel loro mondo: il cinema non può fare a meno di loro, la Tv sinceramente sì, ma ringrazia per educazione.