Caro direttore,
sia i fautori sia i detrattori della prospettata riforma costituzionale fortemente voluta dall’attuale premier Matteo Renzi e dal maggior partito dell’opposizione, dimenticano o meglio rimuovono il referendum costituzionale del giugno 2006.
Sette anni fa il 61,3 per cento degli italiani ha bocciato la modifica costituzionale del titolo V varato dal Centrodestra. Stranamente quel disegno costituzionale assomiglia tantissimo a quello che si sta discutendo oggi. Come se sette anni dopo il referendum sul divorzio del 1974 Berlinguer e Forlani – rispettivamente capo dell’opposizione e della maggioranza – avessero deciso di comune accordo di ritornare alla indissolubilità del matrimonio. Va bene che la legge sul divorzio era stata scritta da un liberale e da un socialista e che la stagione del compromesso storico era finita… Perché questo accanimento nel voler modificare la Carta del 1948? Sembrerebbe che l’opinione pubblica, sottoposta a sondaggi per campione abbia cambiato idea dopo sette anni. Un po’ volubili e superficiali in nostri concittadini? Che riflessi avrebbe sul bilancio dello Stato, la riduzione delle spese della cosiddetta Casta? Un impatto modesto di 100 milioni di euro e il rischio che il rodaggio del nuovo sistema con le incognite di una legge elettorale poco liberale allontani ancora di più i cittadini dalle istituzione. Troppa fretta e risultati troppo modesti consiglierebbero di prendere tempo . Renzi, quando era aspirante segretario del Pd aveva altre idee. Dimezzare gli stipendi dei parlamentari e il numero dei deputati e dei senatori. Oggi la minoranza del suo partito propone al Senato il vecchio disegno del Rottamatore. Se le emergenze del paese sono altre – rilancio dell’economia e dell’occupazione – forse sarebbe necessario mettere in agenda queste priorità senza inasprire il clima politico. La riforma costituzionale forse può aspettare ed essere rinviata a tempi migliori con una rappresentanza nuova di una prossima legislatura non inficiata dall’illegittimità costituzionale !