Cambino pure i metodi per calcolare l’Isee ma ci si accordi con le Regioni che in base a quell’indicatore gestiscono gli accessi agevolati ai servizi di loro competenza.
Il legislatore della manovra “Salva Italia” per i giudici di legittimità ha fatto i conti senza l’oste. Non passano al vaglio della corte costituzionale il primo e il secondo periodo dell’unico comma dell’articolo 5 del Dl 201/2011 nella parte in cui non prevedono l’intesa con la Conferenza unificata per la revisione dei parametri sui quali si calcola l’indicatore (il cui valore è dato dalla somma dei redditi e dal 20% dei patrimoni mobiliari e immobiliari dei componenti il nucleo familiare).
Il ricorso – A sollevare la questione era stata la regione Veneto lo scorso 21 febbraio, denunciando la violazione degli articoli 3, 117, terzo e quarto comma, 118, primo e secondo comma, e 119 della Costituzione. Per l’amministrazione sarebbe stato violato il principio di leale collaborazione con la decisione di incidere sulla disciplina statale dell’indicatore della situazione economica equivalente, «idoneo a costruire un reddito utilizzabile come soglia per l’accesso a prestazioni agevolate di assistenza sociale», si legge in sentenza, in primo luogo perché il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, di concerto con il ministro dell’Economia e delle Finanze, per rivedere le «modalità di determinazione e i campi di applicazione » dell’Isee.
L’impostazione della sentenza – Nella trattazione concisa della materia, i giudici non tralasciano di ripercorrere per sommi capi la storia della normativa statale sull’Isee. Atti che prendono forma sia prima che dopo la riforma del Titolo Vi, parte II, della Costituzione con cui si è rivisto in modo radicale il riparto delle competenze legislative dello Stato e delle regioni in materia di «servizi sociali».
Inizialmente infatti la competenza legislativa era concorrente tra Stato e Regioni per tutto ciò che riguardava la «beneficenza pubblica», ridefiniti «servizi sociali» con il Dlgs 112/1998. In questo quadro sono stati fissati i principi che regolano la creazione e gli obiettivi dell’Indicatore economico, istituendo poi il piano nazionale triennale degli interventi e dei servizi sociali e entrando nel dettagli delle aree in relazione alle quali «il piano deve specificare gli interventi integranti i livelli essenziali delle prestazioni di assistenza sociale (Liveas)».
I giudici spiegano che la normativa ha natura di principio e non ha in concreto determinato le prestazioni dei Liveas: ha insomma lasciato campo libero agli enti erogatori del servizio di indicare la soglia reddituale per poter accedere ai servizi agevolati.
È intervenuta poi la legge costituzionale n. 3/2001 e l’assetto precedente delle competenze in materia di servizi sociali viene spazzato via. Competenza esclusiva allo Stato per la determinazione dei livelli essenziali «delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale»; residuale per le Regioni. Cambia anche la procedura per la determinazione dei Liveas: «Nei limiti delle risorse ripartibili del fondo nazionale per le politiche sociali, tenendo conto delle risorse ordinarie destinate alla spesa sociale dalle regioni e dagli enti locali e nel rispetto delle compatibilità finanziere definite per l’intero sistema di finanza pubblica dal Documento di programmazione economico-finanziaria, […] sono determinati i livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale», si legge nell’articolo 46 n. 289/2002. L’articolo impugnato dalla regione Veneto però elimina il riferimento alla decisione coordinata con la Conferenza Unificata e attribuisce al decreto del presidente del Consiglio dei ministri e non più agli enti erogatori la possibilità di determinare le soglie di accesso alle agevolazioni fiscali, tariffarie ed assistenziali.
La decisione della Corte di legittimità – Posta quindi l’esclusività della competenza, i giudici vagliano l’incidenza delle decisioni statali sull’attuazione dei cambiamenti in materia di Isee. Dalla teoria alla pratica, una materia così trasversale non può che avere una «forte incidenza sull’esercizio delle competenze legislative e amministrative delle regioni, tale da esigere che il suo esercizio si svolga attraverso moduli di leale collaborazione tra Stato e Regione».
Chi paga, alla fine dei giochi, sono le Regioni. Per questo è considerata fondamentale la ricognizione delle situazioni locali e la valutazione della sostenibilità finanziaria nella determinazione dell’Isee. La riforma è tutta da rifare.
Corte Costituzionale, sentenza 297 depositata l’11 dicembre 2012