8 MARZO 2008 – La Campania annega nei rifiuti e ora uno dei fallimenti più clamorosi nella storia della regione si sposta in un’aula di tribunale.
Truffa, frode in pubbliche forniture, falso e abuso d’ufficio: con queste accuse il presidente della Regione Campania Antonio Bassolino dovrà fare i conti nel processo a suo carico – e nei confronti di altri 27 imputati – che comincerà il 14 maggio prossimo davanti ai giudici della quinta sezione del tribunale di Napoli.
Le accuse si riferiscono al periodo in cui Bassolino è stato commissario straordinario per l’emergenza rifiuti in Campania: dal 2001 al 2004.
Funzionari del Commissariato per i rifiuti e imprenditori gli altri alla sbarra. L’elenco dei capi d’imputazione comprende inoltre reati ambientali e violazioni amministrative.
Imputate anche le società Impregilo, Fibe, Fisia Italia Impianti, Fibe Campania e Gestione Napoli: dal 2001 in Italia la legge ha introdotto i cosiddetti reati societari. In pratica anche le “persone giuridiche” (questa la definizione del codice per le società) possono essere accusate, come se fossero persone in carne ed ossa. Gli illeciti amministrativi contestati dai Pm riguardano per l’appunto queste aziende.
Le contestazioni non si fermano alle società: il rinvio a giudizio deciso dal giudice Marcello Piscopo, che ha accolto le richieste dei pubblici ministeri della procura della Repubblica di Napoli, riguarda anche Pier Giorgio e Paolo Romiti, in passato rispettivamente ex amministratore delegato dell’Impregilo e dirigente della Fisia Italimpianti, nonché gli ex esponenti del commissariato straordinario Giulio Facchi, Salvatore Acampora e Raffaele Vanoli. In pratica, i vice di Bassolino.
Gli avvocati difensori si sono lamentati (naturalmente) affermando che si trattava di una decisione scontata, che l’udienza preliminare non ha dato modo agli imputati, e a Bassolino soprattutto, di dimostrare la propria innocenza e che, in ogni caso, ci penserà il processo a chiarire che reati non ce ne sono e che – come diceva tanti anni fa un magistrato napoletano poi finito sotto processo – ‘e ccarte stanno apposto.
Antonio Bassolino, peraltro, ha tentato in ogni modo di scaricare le responsabilità sui vice e sui tecnici dichiarando che a lui spettavano solo le decisioni politiche e la firma dei documenti ma tutto veniva stabilito dagli esperti che non gli dicevano mai nulla (poverino! In una vecchia pubblicità diceva lo stesso Calimero, ma era piccolo e nero).
Una cosa è certa: il processo che comincerà il 14 maggio porterà ad una situazione imbarazzante. Contro gli imputati, e dunque anche contro Bassolino, si è costituita parte civile la Regione Campania, che per farlo ha dovuto nominare un curatore speciale (visto che si tratta di costituirsi contro il proprio presidente che invece la rappresenta). Per giunta gli avvocati, Pino Vitiello e Roberto Fiore (recentemente eletti al Consiglio dell’Ordine forense di Napoli), hanno chiesto il sequestro conservativo dei beni degli imputati. Una misura cautelare prevista a tutela delle parti civili quando c’è il rischio che nel corso del processo gli accusati si liberino dei beni per evitare, alla fine, di pagare il risarcimento dei danni stabilito dal giudice.
Gli avvocati hanno perciò chiesto al tribunale anche di individuare i beni da bloccare durante il processo. E per facilitare il lavoro dei giudici hanno allegato all’istanza le visure finanziarie e immobiliari relative a tutti i 28 imputati, Bassolino compreso. Da questa documentazione emerge che sono in otto a non avere nulla. Nessun immobile intestato. Tra questi otto, è chiaro, c’è anche il presidente della Regione (e ciò per alcuni dimostra che è un umile servitore dello Stato, che non è riuscito a comprare nemmeno una casetta dove trascorrere tranquillamente la vecchiaia o un orticello da coltivare quando si ritirerà (?) a vita privata come Cincinnato, l’uomo politico dell’antica Roma che secondo la leggenda si ritirò a coltivare la terra dopo essere riuscito a organizzare un buon governo: in realtà venne nominato per due volte dittatore e la seconda volta aveva ottant’anni, alla faccia del ritiro).
Tralasciando la leggenda di Cincinnato, gli avvocati hanno preferito chiedere il sequestro, sempre a titolo conservativo, del quinto dello stipendio per gli imputati che non hanno altri beni (a Napoli c’è un detto popolare secondo il quale “tre songo ‘e putenti: ‘o Rre, ‘o Papa e chi nun tene niente”: chissà qual è l’opzione giusta per Bassolino, “vicerè” e povero in canna).
Il punto, ora che la prima udienza del processo è stata fissata al 14 maggio, è un altro: cosa ci si aspetta da questo processo?
Avversari politici di Bassolino – e anche esponenti di quella che dovrebbe essere la coalizione che lo sostiene – ne hanno chiesto le dimissioni. Lui, Antonio da Afragola, non ci pensa nemmeno e lo ha detto chiaramente. Il suo partito però, che da qualche anno ormai non lo tiene più in grande simpatia, non può certo scaricarlo di punto in bianco. La decisione costerebbe, molto probabilmente, la perdita – in senso elettorale – della regione Campania e, quasi sicuramente, del comune di Napoli che, sebbene affidato – formalmente – alla nonna Rosa Russo Iervolino da Nola e figlia d’arte della vecchia Democrazia Cristiana, è rigidamente controllato dal sistema di potere messo in piedi, poco alla volta, da un Antonio Bassolino che da sindaco eletto per la prima volta nel 1993, sull’onda del nuovo che avanzava (o che era avanzato…) dopo tangentopoli, ha lentamente virato dalle posizioni di fiero oppositore di quelli che lui stesso, nella prima campagna elettorale, chiamava i vicerè di Napoli (Antonio Gava, Paolo Cirino Pomicino, Giulio Di Donato e Francesco De Lorenzo), ad approdi assai più concilianti, tanto da candidare al Parlamento europeo, nelle liste del suo partito, proprio quell’ex vicerè Paolo Cirino Pomicino, uscito con poche condanne e tante prescrizioni dai processi di tangentopoli.
In realtà il Bassolino del ’93 era diverso da quello di sette anni dopo. Nella sua prima giunta, da ex ingraiano (una corrente “dura e pura” dell’allora Partito Comunista) aveva nominato assessori tecnici, che con la politica dei partiti avevano poco o nulla a che fare. Poi, messo alle strette dalla gioiosa macchina da guerra dei miglioristi (l’altra anima del Pci, più di governo che di lotta, vicina alla Dc, che arruolava illustri esponenti tra i quali l’attuale presidente della Repubblica Giorgio Napolitano), lasciò che le vecchie posizioni tramontassero e licenziò gli assessori tecnici per dare spazio ai compromessi e ai meccanismi di controllo clientelare.
Tuttavia ciò non lo ha reso più simpatico di quanto non fosse in passato ai dirigenti cresciuti alla scuola delle Frattocchie. Così l’allora presidente del Consiglio Massimo D’Alema gli tese un trappolone proponendogli la poltrona di ministro del Lavoro proprio mentre da sindaco di Napoli aveva il suo daffare per tenere buoni i disoccupati. Antonio da Afragola, mescolando miopia e ambizione, accettò e per la felicità di sedere a Roma rischiò, proprio come Peppone di don Camillo, di naufragare al paesello.
Che c’entra questa storia con il dopo-rifiuti? C’entra: abbiamo detto che il Pd e Veltroni non possono scaricare Bassolino. Anzi, gli hanno già candidato la moglie in Parlamento per la seconda volta. Ma, a Napoli, il capolista sarà proprio Massimo D’Alema. Gli esperti di marketing la chiamano (con un termine inglese perché si tratta di scienza anglosassone) “exit strategy”: strategia dell’uscita. Un modo, insomma, per salvare capra e cavoli. Un D’Alema che arriva vuol dire la preparazione delle condizioni per l’uscita di scena dignitosa, silenziosa, ma garantita, di un Bassolino che se ne va.
Uscita silenziosa che sarà favorita da un processo, quello sui rifiuti, nato moribondo: quattro dei reati contestati sono già prescritti. Conoscendo i calendari del tribunale di Napoli, se tutto va bene il processo potrà contare su un’udienza alla settimana. Basta un minimo di conoscenza della procedura per essere certi che il primo grado non potrà durare (ammesso che non ci sia neppure un rinvio) meno di 14-15 mesi. Arriviamo così all’estate del 2009, solo per il primo grado. La prescrizione, codice alla mano, cancellerà la gran parte dei reati il 19 ottobre del 2009: tra appello e cassazione è garantita.
Intanto in Campania le tonnellate di rifiuti continuano ad accumularsi e nemmeno il super-prefetto super-commissario super-poliziotto Gianni De Gennaro detto Gianni San Gennaro è riuscito a fare nulla di sostanziale. Tra una settantina di giorni il suo mandato scadrà e ci cono ancora circa 500mila tonnellate di rifiuti che non si sa dove mettere.
E il prossimo 15 marzo scade l’ultimatum dell’Unione europea: o mettiamo tutto in ordine o l’Italia dovrà pagare 700 milioni di euro per ogni giorno di ritardo.
La raccolta differenziata è solo al 10 per cento. I due o tre impianti di compostaggio della regione (che potrebbero smaltire i rifiuti organici trasformandoli in concime) non funzionano e la Campania manda l’organico in Toscana, a pagamento, dove lo ricompra come concime. L’appalto per il termovalorizzatore, l’unico, è fermo: le società oggi imputate si sono ritirate dai lavori. In ogni caso, se fosse completato, l’accordo prevede che la regione paghi 360 lire per ogni chilo di rifiuti da “termo valorizzare” e poi paghi, pure, per ricomprare l’energia ottenuta da quei rifiuti. In tre anni il costo del servizio di rimozione è aumentato del 35 per cento. Inoltre, in una delle tante precedenti emergenze, quella del 2001, il Commissariato straordinario, governato da Bassolino, ha stoccato diverse decine di tonnellate di rifiuti in oltre un centinaio di terreni privati sparsi per la regione. Formalmente (secondo quanto dice un’ordinanza firmata dal vice Giulio Facchi che abbiamo in copia e dunque sono inutili le smentite) solo per il tempo necessario a trasferirli nelle discariche di altre regioni. In realtà sono sette anni che sono rimaste lì. E l’ordinanza prevede che ai proprietari di quei terreni venga pagato un compenso (per il deposito) di una lire e 27 centesimi per ogni chilo: per i primi due mesi il Commissariato ha pure pagato poi più nulla. C’è chi deve avere alcune decine di miliardi di lire.
I conti, sui rifiuti, sono ancora in lire, a dimostrazione che l’emergenza è tanto antica da essere ormai la regola.